"No! Basta!"
Ed è cosi che mi sveglio, spaventato. Chi sta urlando?
"Non ce la faccio ok?! Toglimi quella cazzo di siringa di dosso, toglimela!"
Mi alzo dal lettino con la coperta sulle spalle e dal finestrino della mia porta vedo una ragazza girata di spalle. E' circondata da medici e infermieri e sta dando di matto. Si graffia la faccia e le braccia, cerca di strappare il camice che indossa per poi finire con il tirarsi i capelli.
"Calma, non vogliamo farti del male. Credici, non è nostro intento farti soffrire." le dicono.
La ragazza ad un certo punto si volta verso la porta della mia camera/cella e per un millesimo di secondo i nostri sguardi s'incrociano. Oddio! Oddio! Sei viva! Perché cazzo sei in questo stato? Cos'altro ti hanno fatto?
"No! Dovete starmi lontano, tutti quanti!" e appena un infermiere si avvicina leggermente inizia ad gridare.
Urla strazianti. Lacererebbero anche il cuore più forte di tutti.
E non riesco a non tapparmi le orecchie, e non per il mio cuore; è uno dei più malati di questa fottuta clinica. Semplicemente perché a differenza degli altri non merito di soffrire.
Né con lei, né come lei.
Ma non serve a nulla, perché noi due patiamo in simbiosi. Non importa tutto l'impegno che mettiamo per non farlo. Il nostro dolore è un qualcosa che ci lega come l'acciaio.
E inizio ad urlare con lei. Inizio a prendere a calci la porta, sbatto i pugni fino a sbucciarmi i palmi. Urlo e urlo ancora.
"Lasciatela stare! Mi avete sentito figli di puttana?! Non toccatela più!"
Ad un certo punto, quando il cerchio di persone intorno a lei si restringe ancora di più, lei tira fuori un coltellino e alla velocità della luce inizia a farsi tagli profondi sulle braccia, sulle mani. Ogni straccio di pelle visibile lei lo distrugge.
Poi si ferma. "Avvicinatevi ancora e io mi uccido." dice con il petto che le si alza come se avesse corso una maratona. Nell'aria si levano grida sconvolte quando poggia la punta della lama proprio dov'è il cuore.
Il sangue le cola dappertutto, il colore bianco del camice che indossa ormai è un ricordo e mentre i minuti passano, la piccola pozza rossa sotto di lei piano piano diventa sempre più grande.
Poi inizia a ridere, la risata del diavolo. E io rido con lei.
Pazzi, ormai solo questo siamo. "Brava cazzo! Continua! Non l'avrete più capite?" dico ridendo, poi do una testata al vetro. Lei ride ancora più forte, e io ne do un'altra, non smettendo mai di ridere. Si gira verso di me e con gli occhi fuori dalle orbite, occhiaie che ormai ha disegnate perennemente sulla faccia da quando è qui, mi guarda intensamente.
Poi d'un tratto i lineamenti del suo viso si addolciscono, una sola lacrima che le scende dall'angolo dell'occhio sinistro mentre mi sorride dolcemente.
Le sorrido anch'io, e vorrei stringerla a me per sempre. Un per sempre così malato, ma così profondo.
Una piccola parte di me, microscopica direi, sa che tutto questo è sbagliato, orribile come poche altre cose al mondo. Noi non eravamo così, ma ora lo siamo e rimarremo tali fino alla nostra morte.
Poi sento qualcosa che cola dalla fronte, fino ad arrivare all'occhio. Me lo tocco con il dito e riconosco il sangue dovuto alle testate. Sembra di piangere rosso e la cosa mi entusiasma così tanto che il mio sorriso diventa sadico.
Lei capisce e tutta la dolcezza di prima svanisce nel nulla, e annuisce facendo delle risatine isteriche. Oh si, mi piace, dovrei farlo per davvero.
Così mentre fuori dalla stanza il trambusto ricomincia più forte di prima, io mi dirigo verso il comodino. Guardo la lampada, rimasta accesa tutto il tempo, e non preoccupandomi del calore, svito la lampadina.
Sento le mani ustionarsi e questo non fa altro che farmi ridere di più. Poi lancio la lampadina contro il muro, e i pezzi di vetro taglienti volano ovunque. Mi abbasso per cercare quello più affilato e quando lo trovo, mi preparo a piangere come si deve... a piangere il vero colore della morte. Guardo per pochi secondi fuori dalla finestra e il cielo sereno sembra dirmi tutto tranne cose rassicuranti. Anche perché non credo ce ne siano più.
Mi giro verso la porta e lei è sempre lì. E guardandola, faccio una taglio che parte dall'angolo dell'occhio fino all'orecchio. "Lo vedi come sto piangendo? Mi dona vero?" le chiedo.
Arrivo a saltellare per la felicità, solo che anche lei si fa prendere così tanto dall'entusiasmo che fa cadere il coltello per poter battere le mani. Stupida!
E in un attimo le sono addosso, un medico la prende per il collo e le spinge il volto sulla mia porta. No, no, no!
Istantaneamente lascio cadere il pezzo di vetro. "Lasciatela, ora! Non avete il diritto!" urlo sbattendo i pugni contro la paratia che mi divide da cosa le sta accadendo. Perché non riesco mai a salvarla? Non di nuovo, no!
Grida come una dannata, e in realtà lo è per davvero... lo siamo entrambi.
"Voi non capite! Non potete capire!" Dico piangendo disperatamente non spostando gli occhi da lei, da cosa le stanno facendo.
E dopo qualche secondo da quando le hanno iniettato il contenuto della siringa, lei sviene. Io so cosa le volete fare! Basta!
Sono devastato, e dalla rabbia inizio a colpire ogni cosa che mi capita a tiro.
"Io vi uccido, avete capito? Vi ucciderò con le mie stesse mani!"
Scalzo vado sui cocci di vetro della lampadina che ho rotto, raggiungo la lampada e la tiro verso la porta. "Prendete me! Prendete me!"
E ora è il mio pianto, sono le mie urla ad essere strazianti. Le orecchie fischiano, non riesco a sentire più nulla se non il male che sovrasta ogni cosa, un male che ormai mi appartiene. Il dolore lancinante che provo non può andarsene, non se ne andrà e non voglio che lo faccia.
E' un tormento troppo grande e profondo, è semplicemente troppo e l'unica persona in grado di comprenderlo ora la stanno portando via da me, di nuovo.
Ormai esausto, mi accascio per terra e poco prima che la porta venga aperta riesco a sussurrare una sola frase.
"Il tuo sogno è stata la cosa più tranquilla e serena che tu abbia mai vissuto."
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Oltre
Short StoryFor all my good intentions, there's a shadow in this dark; it comes to me infrequently, and breaks your perfect heart.