«Quando ero piccola sorridevo sempre. Chiunque non faceva altro che ripetermi quanto fossi piacevole da guardare. La mia allegria era contagiosa. Mi ricordo, in particolare, di quella volta in cui decisi di fare un piccolo spettacolo. Era estate, faceva molto caldo. Con la mia famiglia stavamo passando le vacanze nella casa a mare dei miei nonni materni insieme ai miei zii. Tre famiglie costrette a condividere una casetta da tre stanze e una cucina: all'epoca trovavo tutto troppo divertente, giocare giornate intere con le mie cugine, stare al mare ad ogni ora e mangiare anguria fresca e saporita. Oggi, invece, ripensandoci non lo era poi così tanto. Comunque, è stata una di quelle sere in cui il caldo era insopportabile, l'odore del mare aleggiava nell'aria insistentemente e in lontananza si sentivano i cani abbaiare che decisi di fare uno spettacolo. Avevo progettato tutto nei minimi dettagli. Con l'aiuto delle mie cugine sistemammo la veranda a mo' di palcoscenico e utilizzammo tutto quello che riuscimmo a trovare per la scenografia. Io indossai il mio costume preferito, quello verde con i fiori, e usai il copricostume di mia madre per farmi un vestito. Per tutta la sera ballammo seguendo le note dell'unico CD disponibile in casa, un vecchio album di Anastacia che tanto piaceva a mamma, e riuscimmo ad intrattenere non solo la mia famiglia, ma anche alcuni vicini. Più applaudivano, più sentivo di essere importante. Più si complimentavano con me, più mi convincevo di essere amata. Era tutto molto semplice all'epoca. Quando si è bambini non si colgono certe sfumature. Ogni cosa sembra al suo posto e niente può distruggerti. Io più di tutti mi sentivo tremendamente felice. Vivevo nel sogno di una famiglia felice e piena d'amore, in cui io ero la principessa essendo da lato materno la più piccola e da quello paterno l'unica femmina. Mia madre era per me un esempio, mio padre era il mio universo. Un giorno, però, è cambiato tutto. Non so dire precisamente come siano andate le cose, avevo appena compiuto tredici anni e i miei ricordi di quel periodo tendono ad essere offuscati. Quel che so con certezza è che quel giorno il sogno è finito e per la prima volta ho varcato i confini della realtà. A tredici anni sono dovuta crescere troppo velocemente e quel che mi resta oggi è solo un grande vuoto. In genere, a quell'età iniziano a intravedersi i segni dell'adolescenza. Io ho li ho avuti tutti: un'acne terribile, capelli mai al loro posto, sbalzi d'umore e tanti, tantissimi peli. Se a questi uniamo una profonda timidezza è comprensibile che fossi per alcuni miei coetanei un bersaglio facile. A tredici anni, infatti, sono cambiata ed insieme a me anche il mio modo di percepire le cose. Ho iniziato a vedere oltre certi scogli e, adolescenza a parte, ho capito che tutto quello in cui avevo creduto era falso. La mattina in cui iniziò tutto ero appena uscita da scuola. Per la prima volta e con mia grande sorpresa ad aspettarmi davanti il cancello non c'era mio padre. Avanzai lungo il cortile a passo svelto. "Che ci fai qui zia?", fu la prima cosa che dissi. Una domanda spontanea, priva di qualsiasi malignità. Mia zia Antonina mi sorrise e prendendomi per mano mi rispose che aveva semplicemente voglia di vedermi. Ne fui felice, pensai quanto fosse piacevole sentirsi amata. Mia zia, allora, mi prese per mano fino alla macchina, mi aprì lo sportello e mi aiutò a salire. Ripensando oggi a quei momenti, alla lunga chiacchierata che facemmo durante il tragitto verso casa, se fossi stata anche solo qualche anno più grande mi sarei accorta dell'espressione contratta nel volto di mia zia, dei suoi occhi lucidi e della sua voce tremante. Sicuramente avrei evitato a me stessa certe spiacevoli sorprese e sarei stata pronta, per quanto possa esserlo una ragazzina di tredici anni, a vedere ciò che mi circondava. Invece, non mi resi conto di nulla. Ero felice che mia zia fosse venuta a prendermi, che mi avesse pensato e fatto una sorpresa. Tutto il resto non contava. Non mi accorsi neanche che mia zia imboccò la strada che portava a casa sua. Quando arrivammo, spense la macchina e per qualche minuto rimase ferma a guardare il manubrio. Le chiesi perché eravamo lì e lei mi rispose che la nonna aveva preparato il pranzo per tutti. Dentro casa, però, non c'era alcun pranzo. Mia zia mi spinse verso la sua camera con una certa fretta, ma passando il corridoio vidi di sfuggita mia madre seduta in cucina circondata dai miei zii e i miei nonni. Aveva la testa chinata su dei fogli e non parlava. Non riuscii a vedere che espressione avesse, ma capii che non fosse contenta.
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La strada che porta alla fine
Short StoryLa crescita è una fase inevitabile della vita umana, ma quando diventa dolorosa e incontrollabile anche per gli adulti l'unico scenario possibile è quello della desolazione, l'unica soluzione è la fine. Questa è, quindi, la triste storia di una rag...