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Entrammo nella stanza di mia zia dove c'erano già mia sorella Ilenia e Giovanna. Ivonne, che all'epoca aveva solo qualche mese, non vedendola ipotizzai fosse di là con mia madre. "Aspettate qui, d'accordo?", ci ordinò mia zia e uscì chiudendo delicatamente la porta alle sue spalle. Posai lo zaino e mi sedetti sul letto confusa. Non sapevo cosa pensare e mi angosciava l'idea di essere all'oscuro di ciò che stava accadendo due stanze dopo la mia. Provai ad origliare, ma arrivavano solo leggeri mormorii. Le mie sorelle sembravano tranquille, si comportavano normalmente. Io, invece, per la prima volta provai ansia e paura. Ormai sono passati quasi dieci anni da quella volta e sono abituata a convivere con certi stati d'animo, come se fossero sempre stati una parte di me, ma all'epoca fu abbastanza difficile. Lo ricordo come se fosse accaduto ieri perché è come la prima volta che fai sesso, lo ricorderai per sempre. Credo che fu in quel momento che smisi di essere la ragazzina sorridente e spensierata che tutti conoscevano. Vedere mia madre piangere e dimenarsi tra le braccia di mia nonna sotto gli occhi dei miei zii che se ne stavano ai lati del tavolo in silenzio, fu un colpo fortissimo. Ero uscita di nascosto e mi ero messa a spiarli dalla toppa della porta dopo aver sentito il tonfo di qualcosa che era caduto per terra e poi le grida di mia madre. Ilenia e Giovanna si erano nascoste sotto la scrivania, ma io ero uscita fuori con il cuore alla gola e la testa stracolma di pensieri. Mentre guardavo mi sentivo come se avessi appena ricevuto un pugno in pieno viso. Sentivo frasi come "se n'è andato" o "non ci sono più soldi" e il mio cuore perdeva un battito. Non capivo concretamente cosa i loro discorsi significassero, ma sapevo che non erano di certo buone notizie. La cosa che mi angosciava di più era l'assenza di mio padre. Così collegai. Tra i miei genitori quello con cui avevo avuto un rapporto più stretto era lui. Se dovessi descriverlo con gli occhi della me tredicenne, mio padre era un uomo perfetto: era alto, magro, con gli occhi azzurri e aveva un carattere amabile, soprattutto nei miei confronti. Essendo la prima figlia e, tra l'altro, femmina si comportava come se non avesse bisogno d'altro nella vita se non di me. Era con lui che mi sono sempre confidata ed è da lui che prendevo esempio su come comportarmi con gli altri. Lui era sfacciato, parlava con tutti e di tutto senza problemi e sembrava avere sempre il controllo della situazione. Probabilmente le mie sono memorie distorte di un'infanzia che si è via via sgretolata crescendo e quel ricordo che ho di mio padre all'epoca è solo un'idea di come io volevo e forse ancora oggi voglio mio padre. Il mio era un complesso di Edipo basato sulla mia stessa immaginazione. Oggi, ad esempio, non riuscirei a dire che mio padre sia stato affettuoso con me perché gli avvenimenti che si susseguirono a partire da quel giorno non sono altro che brutti ricordi. Quel momento, quindi, quando capii che dietro le lacrime di mia madre e le facce serie dei miei familiari c'era lui, l'idea alterata che mi ero fatta si è di colpo spezzata. Tornai dalle mie sorelle e poco dopo venne mia madre. Ci abbracciò tutte e tre insieme non smettendo mai di piangere. "Mi dispiace", continuava a ripetere. Avrei voluto chiederle per quale motivo si stesse scusando, non era colpa sua, lei non aveva fatto nulla, ma non lo feci. Lasciai che piangesse fino alla sua ultima lacrima sulle nostre spalle. Giovanna, presa alla sprovvista, si unì a lei, mentre Ilenia cercava di liberarsi. Furono momenti difficili quelli che seguirono. Andavamo a scuola, mia madre dopo qualche giorno tornò a lavorare e insieme a mia nonna cercavamo di continuare le nostre vite normalmente. Solo a me venne rivelato che mio padre era scomparso lasciandoci con tanti debiti e pochi soldi. Sebbene non avevo capito del tutto quello che mi era stato spiegato, iniziai a vivere in uno stato d'angoscia e di insicurezza. Mi chiusi in me stessa e difficilmente parlavo con qualcuno. A scuola cominciarono a definirmi strana e venni lasciata dietro anche da alcune amicizie che portavo avanti dalla scuola materna. Cercavo di nascondere il mio malessere agli occhi di mia madre. Volevo essere per lei un supporto e non un peso, così inizia a fingere che andasse tutto bene. Non smisi mai di studiare, né assunsi un atteggiamento particolarmente ribelle. Aiutavo mia madre come potevo. Mio padre tornò dopo una ventina di giorni. Lo trovarono su un autobus diretto in Puglia. Lo incontrai subito dopo accompagnata da mia madre e i miei nonni. Aveva un aspetto malandato, la barba lunga e il viso sciupato. In un primo momento ho faticato a riconoscerlo e sebbene una parte di me avrebbe voluto mandarlo al diavolo, l'abbracciai e piansi. I miei rimasero separati per un po' ed io, per tutto il tempo, ricoprii il ruolo di tramite. Se potessi tornare indietro, direi alla me tredicenne di non farlo. Le direi di rimanere a casa e di occuparsi solo di mamma ed evitare a tutti i costi di farli tornare insieme. Mio padre, infatti, riuscì a convincere mia madre a trasferirsi insieme in una casa in affitto in un paese lì vicino. Rimanemmo lì senza alcun contatto con i miei nonni materni fino ai miei diciassette anni. Sembrava che tutto fosse tornato al suo posto, avevamo riparato con lo scotch le nostre ferite e la nostra famiglia e mio padre si comportava correttamente. Ma le illusioni, si sa, sono destinate a svanire. Per ben altre due volte subimmo quella stessa tragedia. Finimmo con il cambiare casa quasi una volta al mese a causa dei debiti e della cattiva reputazione di mio padre e con il non avere soldi per fare la spesa. Mia madre era rimasta del tutto sola. Mio padre era riuscito ad allontanarla da ogni amicizia e dalla sua stessa famiglia. In casa la situazione era giunta ad un livello di disagio insostenibile. I miei litigavano spesso, le mie sorelle sfogavano la loro disperazione con violenti attacchi isterici che finivano sempre con botte e grida e mio padre era arrivato al punto di fingere di star lavorando. Ripeteva continuamente che a lavoro le cose andassero bene, che non ci fossero problemi. Ogni giorno si assentava per ore e ore e quando tornava aggrediva mia madre e la accusava di fatti accaduti solo nella sua mente. Puntualmente veniva scoperto e le sue risposte si limitavano ad un "non lo so" o ad un assoluto silenzio. A volte cominciava a piangere e ci ripeteva quanto ci volesse bene. Quante volte mi sono sentita dire "non accadrà più, questa volta ho capito". Una volta si è persino fatto ricoverare. Era scappato da qualche giorno ed i carabinieri lo hanno trovato alla stazione centrale di Catania addormentato su una panchina. Ci hanno riferito che versava in condizioni pietose, come un barbone, e in uno stato mentale confusionario. Così lo hanno portato in un ospedale psichiatrico e dopo qualche giorno sono riusciti a contattarci. Lo abbiamo riportato a casa, ma tutto è tornato come prima. Anzi, la situazione è degenerata perché dalla violenza verbale è passato a quella fisica.»

«È per questo che lo ha ucciso?»

«Anche. Volevo proteggere la mia famiglia, è vero, ma forse dietro il mio gesto c'è più egoismo di quanto si possa pensare. Uccidendolo sono riuscita a cancellare l'idea di un padre che nella realtà padre non era affatto.»

La strada che porta alla fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora