Aiòn

285 30 24
                                    

Aprì gli occhi con naturale sincronia.
L'accolse una luce accecante e prepotente a tal punto che del resto poté distinguere soltanto i contorni e le forme. Per quello, attese paziente che gli iridi si abituassero e dessero forma agli arredi della sua cameretta, e poi, solo allora, inspirò a fondo l'aria intorno a lei notando come fosse calda e pesante. Quella mattina era estate.

Francesca Vivaldi sobbalzò nel letto: tardissimo, era tardissimo! Non era mattina, era mezzogiorno! Come aveva fatto a dormire così tanto? -si chiese- forse non le era suonata la sveglia, o più semplicemente era stata lei a spegnerla in un eccesso di pigrizia e sonnolenza. E così, fece leva sui gomiti e si portò a sedere.

Portò in alto le braccia incrociandole, e poi, quando furono completamente distese, le allontanò l'una dall' altra descrivendo due archi fino a che non furono entrambe cadute esanimi ai suoi fianchi. Mosse il collo a destra, quindi a sinistra e prima di affidare alle sue gambe il quotidiano compito di sorreggerla, sgranchì anche queste. Dunque, senza perder altro tempo, scese dal letto con un unico slancio.

Si mosse lasciando che il rumore delle sue ciabatte fosse l'unica cosa udibile fino a quando non raggiunse quell' unica grande finestra che illuminava la sua camera. Doveva necessariamente rimanere chiusa la notte. Sarebbe stato da incoscienti fare altrimenti. Poi, quando l'aprì, i suoni arrivarono tutti insieme come in un'orchestrata sinfonia.

Tutt' intorno a lei, la regione di Aiòn pullulava e riecheggiava meravigliosamente.

I monti all' orizzonte si lanciavano in alto verso un cielo terso e limpido, per convincersi di raggiungerlo con la loro alta vetta ma ricadendo puntualmente su se stessi ogni volta. E da sconfitti, non restava loro se non lasciare al fratello accanto la libertà di un ulteriore tentativo.

D'indole esattamente opposta era chi invece, piuttosto conscio delle limitazioni della propria natura, si lasciava scorrere verso il basso senza opporre la minima resistenza. E così quel fiume s'insinuava tra i pendii dei monti, scomparendo di tanto in tanto per poi spuntare finalmente a valle, rinvigorito dalle acque dei suoi affluenti e intenzionato a dirigersi verso casa di Francesca per bagnare i bordi dei campi che avevano deciso di accoglierlo in cambio d'un po' di vita e freschezza, e scappare, infine, verso il mare.

E in ultimo, come tante linee parallele al suo corso, quasi a riverbero della sua portata vitale, le strade del paese di Francesca correvano tra i campi di grano dorato e splendente sotto il sol leone. A volte incrociandosi, altre dividendosi per raggiungere ognuna il proprio traguardo. E di tutte, una soltanto giungeva fino a casa sua, se pure si fermasse molto prima dell'inizio delle radici del suo grande amico.

Di fatto incompatibile con la costruzione di qualsiasi strada, il giardino intorno alla casa di Francesca era irregolare come la superficie del mare, le cui onde però avevano una forma peculiare, avviluppandosi armoniosamente e perfettamente lungo un unico fulcro: il tronco del grande albero che torreggiava al centro del giardino. E quanta fierezza trasmetteva quel giorno! Così possente ed imperturbabile in tutta la sua enorme mole, eppure pieno di grazia e delicata eleganza. Un fusto grande e spesso, e tuttavia slanciato verso l'alto, dove venature dorate intarsiavano una corteccia rigata e ruvida e seguivano lo slancio dalle solide radici che sprofondavano nel terreno, fino ai rami che s'aprivano a ventaglio diretti in ogni direzione della volta celeste. Francesca sapeva bene che anche quell' albero, come i monti, agognava il cielo; ma lui, a differenza degli altri non ricadeva, no, lui restava a metà, rivolto verso l'alto e in attesa. Fiducioso di crescere ancora un po'. E ci metteva tutto l'impegno e la tensione che la sua linfa gli conferiva, senza arrendersi mai. Così che lei non potesse che ammirarlo.

Più in alto, un passerotto più piume che carne s'esibiva in coreografiche capriole conscio d'esser il momentaneo protagonista dello sguardo della ragazza. Deviò la sua rotta e si portò al limitare del balconcino dove era affacciata la sua nuova spettatrice e si posò lievemente. Si gonfiò di se stesso e quando ebbe fatto il pieno d'ossigeno, soffiò fuori il tutto rimodulandolo in una dolce melodia. Francesca, dal canto suo, fu grata al passerotto per lo spettacolo in cui s'era cimentato con tanto impegno e allora gli lanciò come compenso la briciola di un biscotto che aveva trovato sulla sua scrivania. Per cui, felice di quel suo successo, l'uccello si librò in volo ancora una volta e con altri tre o quattro ghirigori scomparve tra le fronde del grande albero che torreggiava al centro del giardino così che l'attenzione della ragazza tornasse nuovamente su di lui.

AiònDove le storie prendono vita. Scoprilo ora