Impotenza appresa

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Help.

Scritto maiuscolo. Col pennarello nero. Sottolineato.

Spicca marcato su quel giallo tipico del post-it.

L'ho pubblicato sul social, come estrema richiesta d'aiuto. Nessuno ha risposto mai. 

Primo giugno duemiladiciotto.

Ero al lavoro, seduta alla scrivania. La mia scrivania era stata incastrata in un angolo strategico dell'open space che accoglieva i clienti. Davo la schiena ad una porta scorrevole che poteva aprirsi da un momento all'altro svelando nei minimi particolari ogni attività io potessi svolgere in quel momento. Di fronte, a neanche un metro di distanza, lo stagista con evidenti segni di nevrosi che all'occhio distratto di un qualsiasi avventore poteva tranquillamente sembrare un membro della 'famigghia'. Di lato, i clienti che entravano ed uscivano mi imponevano ad ogni loro movimento uno sforzo cervicale perpetuo. Compensato, nel lato opposto, da quello per guardare il monitor del mio computer. Per lavorare ero costretta a ruotare continuamente la testa e spesso venivo distratta dai rumori del collo in movimento sperando fossero solo fisiologici assestamenti e non l'esordio di qualche malattia professionale. Da aggiungersi eventualmente al fastidioso effetto sfuocato della vista: la finestra imponente, proprio dietro al dispositivo, proiettava una luce abbagliante persino nei giorni di pioggia e spesso dovevo chiudere gli occhi per attenuare il fastidio dell'abbaglio. Ho provato più volte a spostare lo schermo verso il centro della scrivania: ma la mattina successiva, immancabilmente, tornava in quella posizione usurante.

Per utilizzare il telefono dovevo ogni volta alzarmi dalla sedia, protendermi verso il collega e chiedere gentilmente di trattenere lo schermo per evitare che i fili dell'apparecchio potessero farlo cadere dovendo giocoforza dipanare il groviglio tipico della cornetta in quella posizione precaria. Non facevo in tempo a terminare la conversazione che il legittimo detentore dell'apparecchio se ne usciva con un 'rimettilo subito a posto'.

Da buona scolaretta avevo già provato ad adottare tutte le tecniche di comunicazione assertiva imparata nei relativi corsi per ovviare a questi inconvenienti con il collega: sia cercando di trasmettere a lui la mia totale intenzione di lavorare in un clima sereno e professionale, sia cercando di far capire alla titolare le mie difficoltà a raggiungere gli obiettivi prefissatici. Ma ad ogni osservazione seguiva una reazione peggiorativa delle condizioni lavorative.

Ogni mattina durante il percorso che mi portava al lavoro facevo leva sul mio spirito di autosacrificio, convinta che quell'opportunità lavorativa, dopo tanto buio e fatica, mi avrebbe portato ad individuare altre opportunità che stando a casa, in una città a me sconosciuta e troppe volte avversa, non avrei mai potuto trovare, come esperienza mi aveva insegnato.

Persino il giorno in cui ottenni il mio primo successo professionale, proficuo e soprattutto inaspettato considerata la totale mancanza di mezzi e risorse per poterlo anche solo immaginare, venni punita con l'invito a fare di meglio e prima. Non solo. Il progetto venne cancellato seppur rinunciando ad un sostanziale introito che avrebbe ovviato alle continue lamentele circa il progetto che non decollava. Non capivo. La mia mente non era abbastanza malata da permettermi di capire.

Fino al giorno in cui tutto quel macabro rituale quotidiano di abuso si è palesato come qualcosa di familiare. Tanto familiare. Troppo familiare.

"Fammi pensare....questi al colloquio ti fanno capire che diventerai la pedina fondamentale per sviluppare un'area aziendale pressochè allo stato embrionale. Accolgono ogni tua idea con un entusiasmo sopra le righe, complimentano i tuoi abiti, i tuoi pensieri, le tue parole, le tue opere, ogni cosa di te. Per, d'improvviso, affermare e comportarsi esattamente all'opposto. Dopo neanche un mese.

Nessun saluto alla mattina. Oggetti sulla scrivania spostati. Se devi andare in bagno sei inseguita dalla titolare che ti aspetta fuori dalla porta. Se devi prendere un caffè lo devi consumare alla scrivania perchè i seicento euro al mese sono per otto ore al giorno e non un minuto di meno. Non importa se la mattina arrivi trenta minuti prima. Tu non devi uscire due minuti (due, letteralmente) prima per non aspettare poi 40 minuti altre coincidenze sulla strada. Tu sei sua. Tu sei oggetto. Sei approvvigionamento. Ogni tuo successo ti verrà estirpato e firmato da altri. Perchè devono distruggerti."

Guarda un po'. Si comportano come sta facendo Lui. Che strana cosa. Prima tanto amore. Poi tanto odio. E tu che resti lì senza avere la forza di scappare. Come l'elefante, che pur avendo la forza fisica di spezzare la corda che lo tiene legato non se ne va.

Ho piantato un NarcisoWhere stories live. Discover now