Non si torna indietro, dopo tutto quello che mi hanno fatto

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Le prime luci dell'alba filtrano nella mia stanza. Mi sveglio, riprendo coscienza: l'ho aspettato a lungo, purtroppo è il giorno. Il giorno di un uomo che alla vita non ha più molto da chiedere, un uomo chiuso e circondato in un vicolo cieco, con un ultimo misero pertugio per andarsene con dignità.

Non so come sono arrivato a questo punto. La valle che mi ha dato i natali "mi sta stretta", dice mia moglie. Le rispondo sempre che si sbaglia, la gente buona non manca qui, la voglia di cambiare nemmeno. Il problema è che, qualunque scelta abbia intrapreso, alla fine si è ritorta contro di me, riducendomi sul lastrico.

Sono stanco. Stanco dei soprusi di certi personaggi. Stanco di gente che si oppone all'iniziativa, al progresso, a nuovi metodi di produzione, a idee come quella che ho messo in pratica nel paese poco più giù nella valle, San Giovanni Bianco. Un piccolo mulino elettrico: velocità di rotazione costante, macinatura migliore in tempi più brevi. Ma a quelli non sta bene, è "farina del diavolo". Sono stanco di gente che, in seguito a queste dicerie, si sente autorizzata a giudicarmi, insultarmi, provocarmi in ogni modo, non corrispondermi quanto mi spetta per un servizio. Sono stanco di gente che in nome della purezza e del buon costume impedisce alla gente quel meraviglioso svago dalla durezza della vita di ogni giorno che è il ballo.

Anche il vostro Dio balla, si diverte un mondo. Ma state tranquilli, lo vedrete tra poco, con i vostri occhi.

Scendo le scale, dove incontro mia moglie. Si era svegliata da poco ma aveva già preparato il caffè. Me ne porge una tazza con la sua consueta gentilezza. Sa quello che sto per fare, eppure non agisce diversamente dal solito. Non sembra turbata, e questo mi preoccupa, visto che a breve uscirò di casa probabilmente per l'ultima volta. Apre il cassetto di quel mobile che le ho riparato qualche giorno fa, estrae un foglio e lo appoggia sul tavolo: è la mia lista.

- Manca qualcuno? - mi chiede.

- No, ci sono tutti.

Mi ha già perdonato per ciò che ancora devo fare, è una donna straordinaria, comprensiva. Non credo cercherà più di fermarmi nonostante abbia già provato a farmi ragionare. In fondo è anche per rispetto verso di lei che sono arrivato a tanto. In questi ultimi tempi sono stato tutto quello che un buon marito non dev'essere: arrivavo a casa già arrabbiato, alzavo la voce, non m'interessavo di lei. Una sera, pieno di alcool per l'ultima ingiustizia subita, sono arrivato a metterle le mani addosso. Me ne vergogno ora e me ne vergognerò sempre. Ma lei mi ha perdonato, anche quella volta: - Non sei tu ad aver alzato le mani, sei un uomo buono, Simone -. Non credo di essere un uomo buono, fin da giovane mi sono sempre portato dietro solo problemi. Però è vero, non sono cattivo, agisco sempre per i miei cari. Quanto è certo è che negli ultimi mesi stavo affondando e stavo portando mia moglie giù con me, non lo meritava. Dovevo fare qualcosa e in fondo, molto in fondo, lei mi avrebbe quasi appoggiato, se non fosse per le conseguenze, che sarebbero interamente ricadute su quel poco di buono che lasciavo.

- Che ne sarà dei nostri figli? - mi chiede, guardandomi seria, come se mi leggesse nel pensiero.

Non ho accennato a nessuno di loro di quello che intendo fare. Innanzitutto, non voglio che scoprano già da ora quello che loro padre è diventato. Sarebbe troppo difficile uscire da questa casa con quel peso sulle spalle. E poi i primi sono già grandicelli, avrebbero la forza di fermarmi e di impedirmelo. Non sono ancora le sei del mattino, ma a breve si alzeranno e insisteranno per aggregarsi a quella che per loro dovrebbe essere una normale battuta di caccia.

È in questo momento però che il mio pensiero cade sulla più piccola, Carolina. Ha solo 4 anni e mezzo, è così piccola, graziosa, così... innocente. Non riesco ad andarmene senza averla prima salutata. Mi intrufolo nella stanza dei miei figli più piccoli, la prendo in braccio ancora dormiente e la porto appena fuori. Si strofina gli occhi, com'è possibile che una creatura così bella sia opera mia?

- Che succede papà?

- Nulla, tesoro, volevo solo salutarti prima di uscire -. La stringo forte, un lunghissimo abbraccio, sarebbe potuto durare delle ore. Cosa dovrà affrontare nell'immediato futuro per causa mia? Come potrà crescere con un marchio di vergogna come quello che a breve le lascerò?

Uno sparo di un cacciatore, proveniente dai pendii delle nostre montagne mi riporta alla realtà: tra non molto i più grandi saranno in piedi. - Puoi dormire ancora un po' se ti va, torna a letto... Ti voglio bene -. Sono preso dai ripensamenti, non sono più sicuro che ne valga la pena. Ma la decisione è ormai presa, non si torna indietro dopo tutto quello che mi hanno fatto. Mentre richiude la porta alle sue spalle, le dico addio, senza che possa sentirmi.

Esco di casa, vado nello sgabuzzino e prendo il mio fucile da caccia. Sono un buon cacciatore, anche se di questi tempi sono costretto a vendere la selvaggina e porto a casa ben poca roba. Ma non è la selvaggina che vado cercando quest'oggi, no, non è la selvaggina. Mia moglie mi attende sulla porta. Mi ha preparato qualche provvista, sa che ne avrò bisogno. Prima di consegnarmele mi guarda, cupa e mi domanda: - Non hai alcuna intenzione di tornare sui tuoi passi, te lo leggo in volto. Ma dovresti farlo.

- Arrivato a questo punto, non credo di potermi fermare. Proteggi i nostri figli, sii la donna forte di cui mi sono innamorato.

- Darò tutte le mie forze per loro. Addio Simone, sta attento.

La abbraccio, la bacio un'ultima volta. Guardo la mia modesta abitazione, costruita con pietre locali perlopiù recuperate col carretto dalla Pianca. È tutto ciò che mi è rimasto e francamente non so per quanto resterà alla mia famiglia.

- Addio Carlotta, ti amo.

M'incammino, lasciandomi alle spalle quanto di più caro abbia. M'incammino alla ricerca della più genuina forma di giustizia: la vendetta.

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⏰ Last updated: Oct 31, 2019 ⏰

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