t.

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lui non era bello.

non era il ragazzo che, se ti passava accanto per strada, catturava la tua attenzione, e ti voltavi a guardarlo per qualche secondo.

non era talentuoso in qualcosa.
non suonava uno strumento, non disegnava, non era uno sportivo, giammai.
lungi da lui appassionarsi e praticare una qualsiasi attività extrascolastica.

non era bravo a scuola, nè popolare.
non brillava in nessuna materia, era una stentata sufficienza, solo alcuni professori si ricordavano di lui, e quasi nessuno lo conosceva. aveva la sua cerchia di amici - erano in quattro -, e a volte si annoiava di stare con loro.

non era ricco.
non indossava abiti di marca, non aveva un telefono costoso, non partecipava a tutte le feste, non aveva la macchina.
girava sulla sua bici blu per la città, e faceva lunghe pedalate soprattutto in autunno, sulle strade coperte di foglie.

non aveva mai amato.
o almeno credo, non l'avevo mai visto con nessuna ragazza - o ragazzo -, nè a scuola, nè al bar dove andava tutti i pomeriggi, nè da nessun'altra parte.
abitavamo nello stesso quartiere, avrei notato qualcosa, se fosse accaduto.

non aveva un buon rapporto con il fratello.
più grande di tre anni, si era diplomato al nostro liceo l'estate precedente, per poi trasferirsi in inghilterra a studiare giurisprudenza.
quando tornava, nelle vacanze di natale e quelle di metà semestre, lui lo salutava sempre con sufficienza, e non ci parlava mai.

lui trascorreva il suo tempo in maniera tutt'altro che produttiva.
apriva la finestra della sua stanza, di fronte alla mia, e se ne stava li seduto sul davanzale, con i suoi stravaganti maglioni a righe e una sigaretta in mano.
fumava e respirava l'aria di pioggia che c'era sempre nel periodo tra settembre e marzo.
poi, da aprile ad agosto spariva, si rintanava, dava tutti i test da casa e stava sempre a letto.

pensavo avesse una malattia, come quella del film "everything everything".
invece no, era solo pigro e annoiato dalla primavera e dall'estate.
lo annoiava il caldo, il dover mostrare le sue gracili braccia, il dover andare al mare.

lui amava i suoi maglioni larghi, gli alberi spogli e gli scarponcini da montagna.
era un tipo piuttosto bizzarro, probabilmente nemmeno la sua dolce mamma riusciva a comprendere del tutto cosa gli frullava in testa.

era una signora sulla quarantina, dai capelli nero corvino tagliati recentemente a caschetto, che ogni sera si sbracciava per salutarmi dall'altra parte della strada.
il più delle volte lanciavo il sacchetto della spazzatura nel bidone le correvo incontro.

le chiedevo sempre di lui, e lei a sua volta.
non parlava quasi con nessuno, di niente.
"perchè non uscite, qualche volta?"
mi diceva spesso, ma non mi andava.

non volevo uscire con lui.
non mi andava di camminare in centro con il rischio di essere vista da qualche nostro compagno.
ma non perchè io mi vergognassi, ma perchè un'ipotetica relazione era una cosa mia e sua.
non la volevo di dominio pubblico, la volevo segreta, come i montecchi e i capuleti.

non volevo sentire opinioni o giudizi, non mi andava di sentirmi sotto gli occhi di tutti, non avevo intenzione di dare attenzioni e cura a nessuno, chiunque fosse.
non volevo motivare i miei sentimenti.

lui non rispettava i canoni di bellezza, ma per me era il più affascinante ragazzo che avessi mai incontrato.
non era uno sportivo, pazienza. le sue gracili braccia non mi allontavano in nessun modo.
non seguiva nessun corso pomeridiano, non era eccellente e conosciuto, beh meglio cosi.

la mia idea di lui era completamente diversa da quella degli altri, distorta, lontana.
se dovevo relazionarmi in qualsiasi modo con lui, l'avrei fatto a modo mio.

"lo vorrei tanto, ma lo vedo sempre sulle sue e mi dispiace interrompere i suoi pensieri."
risposi quella sera, come tutte le precedenti.

risalì nella mia stanza senza badare a mia sorella che si chiedeva dove fossi, e mi affacciai alla finestra con discrezione.
la donna era nella stanza del figlio, presa in una discussione animata.

ecco perchè non mi ero ancora fatta avanti.
il suo disturbo mi spaventava.
la sua gestione mi spaventava.
non sapevo come fare.

"disturbo dissociativo dell'identità."
cosi lo aveva definito lo specialista, un anno e mezzo fa, quando, dopo un attacco d'ansia, lo avevano portato all'ospedale.
passai a trovarlo, ma solo una delle sue cinque personalità lo ricorda.

è cinque persone diverse, accomunate da enormi maglioni e sigarette.
la solitudine e l'allontanare tutto e tutti, il non curar l'aspetto, il non riuscire a concentrarsi a scuola.

era pazzo.
era pazzo nei corridoi, nello spogliatoio, nel campo da atletica.
però pochi lo conoscevano davvero.
forse solo io lo conoscevo davvero.

e lo amavo. lo amavo da quando, a sette anni, si trasferì nella casa di fronte alla mia e mi lasciò la sua corda per saltare.
la mamma era spaventata che gli venissero strane idee, cosi decisa a sbarazzarsene.
lui la sollevò dallo scatolone e me la lasciò tra le mani, correndo in casa.

lo scorso capodanno mi ha abbracciata cosi forte a pochi secondi dalla mezzanotte che ero convinta che uno dei rumori di esplosione attorno a noi fosse stato un mio organo interno.
ci riparammo sulla sua veranda.
lui mi baciò sulla guancia, sorrise e rientrò.

una parte di lui, una piccolissima, se lo ricorda, lo so.

le sue personalità sono collegate anche da un'altra cosa: hanno tutte il nome che inizia per "t". t minuscola, perchè le maiuscole lo spaventano.

t minuscola, il mio primo tatuaggio, sull'anulare.
il secondo, sulla spalla, è il giorno del suo compleanno, perchè coincide con un momento magico sotto diversi punti di vista.

è nato il primo gennaio.
quando si chiude un libro e si butta via la chiave, e se ne apre uno nuovo, bianco, pronto per scrivere la tua nuova storia.

ecco cosa faceva lui, scriveva.
scriveva di mostri, principesse e castelli.
scriveva gialli, romanzi.
scriveva poesie.

sarebbe stato un grande scrittore se non si fosse ucciso un mese fa.

t. → (chalamet)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora