November

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"Cupo è il colore del cielo d’autunnoluce delle pupille di un cavallo neroL’acqua si secca, i gigli cadonoAh, quale vuoto nel cuoreNon un dio c’è, non un segnalealla finestra una donna è mortaCieco era il cielo biancofreddo era il vento biancoQuan...

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"Cupo è il colore del cielo d’autunno
luce delle pupille di un cavallo nero
L’acqua si secca, i gigli cadono
Ah, quale vuoto nel cuore
Non un dio c’è, non un segnale
alla finestra una donna è morta
Cieco era il cielo bianco
freddo era il vento bianco
Quando lavavi i capelli alla finestra
il tuo braccio era soave
Filtrava la luce del mattino
al suono dell’acqua gocciolante
Nel mormorio che si levava dai villaggi
si confondeva il vociare dei bambini
Se è così, che succederà a quest’anima?
Fino al nulla si diraderà nel cielo?"
(Chuuya Nakahara, L'ora estrema)

Chuuya Nakahara contemplava i colori caldi di quel cielo in fiamme, che si potevano ammirare dalla finestra di quella piccola stanza che si affacciava alla sua amatissima Yokohama, città che lo aveva visto nascere ed arrivare al punto dove era ora. Il tramonto scaldava l'animo straziato di quell'uomo, tanto tormentato dalle angosce umane. Lui aveva paura dei momenti morti, proprio come questi; dove i pensieri ed i ricordi - solitamente latenti - nascosti negli abissi della propria mente, riemergevano. E come tutte quelle volte in cui si ritrovava da solo a dover affrontare quell'io. Si ritrovava fermo e inerme, a subire i suoi pensieri; un flusso di coscienza intangibile, una corrente impetuosa, di cui solo quell'uomo poteva udire quella voce, quel grido proveniente dalla sua anima deteriorata e stanca. Un brivido gli oltrepassò la colonna vertebrale un po' incurvata che sosteneva quel corpo ossuto sempre più esile. Si rannicchiava sulle lenzuola sfatte, per finire in una posizione fetale. Era vulnerabile; spoglio da ogni corazza ad ascoltare la voce della sua coscienza.
Occhiaie color ametista marchiate sulla zona perioculare contornavano la sclera di entrambi gli occhi arrossata e secca, decorata da quelle iridi cerulei e sfavillanti, che si illuminavano al buio, come lucciole di notte.
Altre voci dominavano la sua mente, sempre più rumorose ed assillanti. Gli sarebbe piaciuto non udire più nulla, se non fosse che quelle voci erano solo il frutto della sua mente. Del resto non si può ignorare da qualcosa che non sia esterno, nemmeno eliminando i sensi.
E proprio nel momento in cui era saturo di quelle grida, il panico consumava subdolamente l'aria nei suoi polmoni; quest'ultima sembrava mancare. Ogni battito era un conseguire di tonfi di meteore schiantate sul suolo, sempre più frequenti. Credeva di essere sul punto di morire, ucciso dai suoi stessi pensieri, ma no, questo non sarebbe successo. Era solo la sua mente che si prendeva gioco di lui, di nuovo.
Tra le dita dalle unghie quasi inesistenti, divorate da quel vizio che lo accompagnava sin dall'infanzia, spuntavano ciocche mogano. Chiudeva gli occhi, attendendo che quei minuti finissero.
L'ansia nel petto sembrava divorare lentamente ogni singolo organo, ogni singola cellula che componeva quel corpo.
E quando quel momento terminava, lasciando solo stanchezza e sollievo rilassò gli arti, che fino a poco prima erano tesi. Il respiro tremava ancora a causa dei pensieri che lo portavano a stare così male da ingannarlo. Solitamente non voleva morire - ad eccezione di quei momenti - durante le lotte contro sé stesso; mente contro anima. Era proprio in quelle circostanze che emergeva la codardia, che era solito a nascondere dietro un finta fermezza.
Chiuse gli occhi e provò un leggero sollievo per quegli occhi stanchi che sembravano ardere dall'arsura. Quel buio metteva in evidenza il suoni di quella stanza; il ticchettio delle lancette dell'orologio segnava il tempo che passava in quel quadro colorato dai medesimi colori delle foglie d'autunno che si posavano a terra, durante quel tramonto di novembre.

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𝐍𝐎𝐕𝐄𝐌𝐁𝐄𝐑 | 𝐁𝐔𝐍𝐆𝐎 𝐒𝐓𝐑𝐀𝐘 𝐃𝐎𝐆𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora