Si dice che un drago possa volare per un intero anno con un solo battito d'ali, si crede anche che sia un drago il nostro dio e che con le sue ali permetta l'inesorabile trascorrere delle giornate: si festeggiano tali leggende nelle Isole dei Soli il giorno di Niord, durante il quale spirano i venti più potenti che sradicano alberi e provocano frane sulle montagne; il mare è varcato da onde pericolose, le isole più piccole ne sono devastate. I vecchi di ogni villaggio si radunano sulle colline per discutere e osservare gli astri; sostengono con forza che durante la notte si possa intravedere una lunga figura purpurea in quel punto di cielo tra Orione e le Pleaidi... Il drago Niord. Ogni città festeggia a modo proprio, anche il più piccolo borgo contadino, un evento che si ripete da anni e che, per tradizione, non va dimenticato.
"Tutte dicerie" pensa Elias mentre si fa strada tra la folla di persone "i draghi non esistono, l'uomo è malvagio e cerca di discolparsi lanciando le proprie colpe su un dio, dimenticandole col bere e sollazzandosi in feste inutili". Il ragazzo camminava per il proprio piccolo paese, guardava con disprezzo le capanne addobbate a festa, i barili di vino pronti sulla strada, la grande quantità di animali morti, uccisi per sfamare centinaia di bocche ingorde. Non mangiava quasi mai la carne, non solo perché era un alimento a caro prezzo e non poteva permetterselo, ma soprattutto perché non sopportava l'idea di dover uccidere un altro vivente quando aveva la possibilità di sfamarsi in altro modo: in casa cucinava lui, la madre era morta quando era solo un bambino e il padre, dopo essere partito per un paese straniero come delegato delle isole, non era più tornato. Viveva con il nonno Alf, un uomo saggio e sdentato che raccontava al giovane molte storie antiche: queste un tempo lo avevano affascinato, ora le riteneva solo simpatici vagheggiamenti, utili a distrarsi dalla disgrazia terrena.
"Elias, sei tu?" il ragazzo si volta di scatto e vede un piccolo uomo, gobbo e senza più i capelli di un tempo, doveva essere uno degli amici del nonno "da quanto tempo non ti vedo, sei cresciuto ormai, dimmi un po', quanti battiti d'ali quest'anno?" gli ci vuole un po' per riconoscere l'anziano, ma infine gli viene in mente chi sia: “Gunnar! Da quanto tempo non ci si vede; io ho già raggiunto i 15, suvvia, seguimi. Alf vorrà sicuramente incontrarti”. Il ragazzo, ora spensierato, guida l’altro tra lunghi viali e stretti sentieri tra le capanne, fino a che non raggiunge un piccolo appezzamento di terreno, semplice e caro, al cui centro vi è una modesta casa in legno: le finestre sono piccole, ma numerose, il tetto di paglia e tarracotta, la porta sembra reggere l’intera struttura poiché smisuratamente grande, il suo legno massiccio contrasta quello debole e rovinato delle pareti, è inoltre decorata a bassorilievo con elementi naturalistici. Elias guarda la terra, quasi a scoprire nuovi germogli nonostante sia autunno, poi si avvia e apre il portone: cigola, è pesante, fa tremare anche il tetto. “Nonno! Nonno! C’è qui Gunnar, vuole vederti” in tutta risposta il nipote ottiene un gran sospiro che proviene dall’altra stanza e un rumore di passi strascicati. Oltre il varco che portava in camera da letto si mostra l’anziano: alto e senza gobba, ma con una postura sofferente, una mano sul fianco, l’altra a reggersi su un bastone. Il viso era contratto dallo sforzo, gli occhi piccoli e chiari cercano dei tratti conosciuti nell’uomo gobbuto che gli sta di fronte “Tre battiti d’ali e dieci lune. Cosa hai fatto durante tutto questo tempo oltre a dimenticarti di me?” I due si guardano negli occhi e scoppiano in una risata grossolana. “Perdio, Alf, la conosci Astrid? Quella un po’ strana, la nera alle Punte di lancia...” “la puttana?” ribatte Alf “ non sei un po’ vecchio per certe cose?” ora un colpo di risa colpisce Elias che era ancora lì con loro “vai via ragazzo, ci rivediamo più tardi” comanda il nonno. Scocciato, il giovane esce dalla stanza, lasciandoli soli. “Sì beh” riprende il gobbo “adesso diciamo che ha cambiato… professione. È una maga, o almeno, si proclama veggente; quel che è certo è che sa molte cose e ha fonti ovunque: insomma, le sue bimbe la informano” “con questo cosa volevi dirmi?” “La donna mi ha detto che il nostro paese verrà sconvolto. Il pericolo è imminente, credimi, ma nessuno mi ascolta qui a Yival, credono tutti che io sia un vecchio pazzo, incastrato da una maga ingannatrice” “Oh Gunnar, vecchio mio, tu sei un vecchio pazzo quanto me. Per questo ti credo, ma anche sapendo di essere in pericolo, cosa posso farci?” “Aiutami a diffondere la voce!” “Certo, due vecchi che credendo alle parole di Astrid urlano la fine della città sono molto credibili” “oh Alf, dovresti fidarti di me” “Amico, se credo a quanto mi dici non è per le parole di Astrid, né per la cieca fiducia che provo nei tuoi confronti, ma perché questo dubbio tormenta anche me da lune… Da lune tento di convincermi di star delirando, purtroppo allora avevo ragione…” “Tu… Come… Come hai fatto a intuirlo?” “Devi sapere, Gunnar, che viaggiando poco e ascoltando molto si capiscono tante cose. I commercianti parlano, le acque del mare non sono più calme come un tempo, tra poco giungerà la tempesta.”
Elias intanto misura a grandi passi la propria stanza, tenta di carpire qualche parola da quei discorsi attraverso il silenzio, ma inutilmente. Preso dalla noia si infila le scarpe di pelliccia, alla festa avrebbe forse incontrato qualcuno di più interessante. Sta per varcare il portone quando Alf lo ammonisce “non tornare tardi.” Senza neppure voltarsi, il giovane prende una bisaccia e sbatte il portone alle proprie spalle: si sentiva in una prigione, legato da catene invisibili ai piedi, ai polsi, alla gola. Il nonno lo trattava come un servo: cucina qualcosa, semina, ara la tua terra, pulisci ogni tanto questa catapecchia. Non aveva ancora capito che il suo posto non era il piccolo villaggio? Voleva viaggiare, aveva un animo forte, come il padre, e la bellezza della madre: avrebbe potuto unirsi facilmente ad un’ambasciata e non tornare più a Yival; ma non riusciva ad abbandonare Alf. In fondo, era l’unico familiare rimastogli; lo aveva allevato in assenza del padre, gli doveva davvero qualcosa. Con l’amaro in bocca Elias torna nella piazza centrale. Era già stato disposto un grande tavolo, imbandito di pietanze: focacce, pani, cinghiali, cervi e vacche cotti in mille modi. Molte donne e uomini di mezza età gli ronzano attorno, li scruta in cerca di qualche volto conosciuto con cui passare il tempo. Elias non ha una buona fama in paese: è l’orfano povero che vive con un matto; fatica a vendere il grano conservato anche nei periodi di più grave carestia. Per questo si rifugia nelle grandi vallate che circondano Yival, con la natura vive un rapporto fantastico. Ha solo un’amica, la conosce da quando sono nati: Asi, maggiore di lui per 3 battiti d’ali e 2 lune. Ella vive nell’Isola Bassa, nella città di Jahar, grande base commerciale. Tredici paesi separano i due, una sola ora di strada.
Elias decide di andare da lei: perché aspettare? Lì in paese vi era solo il tanfo del fango misto all’odore di carne morta. Quando si incammina alle sue spalle iniziano i balli, si alza la musica di corni e cornamuse, le voci delle filatrici, il rumore dei piedi pestati per terra. Più si allontana più quei rumori diventano quasi ricordi e l’immagine di Asi si forma della sua mente. Passata mezz’ora, i campi iniziano a diradarsi e le colline scompaiono una dopo l’altra, i pochi alberi diventano ancora più rari e si inizia a sentire il rumore dei fiumi.