Vivere col terrore di vivere

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Berlino est - 29 Aprile 1978
Ore 18 circa

Il marciapiedi è semideserto, largo, pulito e perfettamente lastricato, gli alberi che lo costeggiano sono stati piantati da poco, si vede, sono tutti perfettamente della medesima altezza. I palazzi sono alti, grigi, tutti uguali, perfettamente ordinati in monotone e ripetitive file indiane, con centinaia di finestre che si susseguono l'una dopo l'altra, perfettamente identiche tra loro come piccole arnie di un immenso alveare umano. La strada, percorsa da un esiguo numero di automobili tutte uguali tra loro, è silenziosa, ampia, non ci sono buche, è perfettamente asfaltata. Tutto è perfetto qui a Berlino est, ma di quella perfezione angosciante, inquietante, di quella perfezione che incute paura perché così perfetta da essere soprannaturale. Se abitassi qui vivrei nel terrore costante, sì, nel terrore costante di non riuscire a essere all'altezza di questa inumana perfezione.

Ho sempre pensato che la perfezione non sia di noi esseri umani: noi sbagliamo, commettiamo errori giorno dopo giorno e per questi errori che commettiamo veniamo puniti dalla vita stessa con la sofferenza, il dolore, la tristezza. Ma se venissimo puniti con la perdita della nostra stessa vita? Se un nostro errore, anche piccolo, banale, ci costasse la cosa più cara che abbiamo, l'esistenza, come vivremmo? Vivremmo così come vivono gli abitanti di questa città, cioè male, molto male. Quelle poche persone che camminano adesso intorno a me lo fanno tutte a testa bassa, con le mani infreddolite imprigionate nelle tasche dei loro cappotti vecchi e consumati. Nessuno ride, nessuno scherza, nessuno chiacchiera con qualcun altro, no, sono tutti soli. Ma come si può vivere così? Come si può vivere col terrore di parlare con qualcuno, di fare una confidenza a un amico perché se fosse una spia potrebbe denunciarti e farti sbattere in galera? Come si può vivere col terrore di dire liberamente ciò che si pensa perché potrebbe essere fatale? Come si può vivere col terrore costante di commettere quell'imperfezione che può costare la vita? Come si può vivere col terrore di vivere? E' per cercare di dare una risposta a queste domande che sono ritornato qui a Berlino est. Ci sono già venuto questa mattina con Roger e Paul Prenter, ma mi sono distratto troppo a sentirli parlare di automobili, concerti e altre stronzate, quindi non sono riuscito a capire ciò che avrei voluto capire: le persone.

Sì, le persone, i berlinesi che vivono a est come fanno a sopportare tutta questa oppressione, questa sopraffazione, questa costante violenza psicologica mascherata da amorevole e materna premura? Come fanno a sopportare questa immutabile e tormentosa perfezione? Certo, per poterlo capire dovrei parlare con qualcuno, conoscere qualcuno che vive in questa zona della città, ma come faccio? Le uniche persone con cui ho scambiato due parole sono stati i militari di controllo al Checkpoint Charlie, ma erano americani e mi hanno anche riconosciuto, tant'è che non mi hanno nemmeno chiesto il motivo per cui oltrepassavo il muro una seconda volta nella stessa giornata. Quanti vantaggi dà l'essere una rock-star!

L'aria è umida, fredda, il cielo non è limpido, è offuscato, nebbioso, grigio, grigio come i palazzi di questa città che infonde solo tristezza e malinconia a chi come me è abituato alle luci e ai colori della vita dall'altra parte del muro. Ma non devo farmi assalire dalla paura e dallo sconforto, devo capire, sì, io devo capire cosa pensa questa gente, cosa prova questa gente. Infondo, anche se vivono al di là della barricata sono pur sempre donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini, sono pur sempre persone come me.

Un'insegna al neon, l'unica insegna al neon di questo desolato quartiere, il quartiere sovietico Mitte, cattura d'improvviso la mia attenzione. E' giallina, ma di un giallino spento, sbiadito, molto probabilmente sarà vecchia e quasi del tutto consumata, ma riesco comunque a leggere nitidamente di che tipo di negozio si tratta.

-Cafè- mormoro sottovoce -E' un bar. Bene, forse è il posto giusto per capirci meglio qualcosa-

Rincuorato da questa inaspettata quanto propizia carica di positività, attraverso e raggiungo il marciapiedi al lato opposto, identico ovviamente a quello che ho appena lasciato. Distrattamente do un'occhiata alla vetrina di quello che dovrebbe essere un negozio di articoli per la casa e che fa bella mostra dei pochi articoli disponibili, qualche scatola scolorita dal tempo e tre flaconi di detersivo per piatti. Quando arrivo dinanzi alla porta chiusa del bar ho un attimo di titubanza: sto facendo la cosa giusta o mi caccerò nei guai?

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