CAPITOLO 1

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Mi risvegliai mezza frastornata in un letto morbido e confortevole in una grande stanza, piena di letti come quello dove ero stesa io. Mi guardai in torno, per cercare di capire dove mi trovavo. La stanza era grande e fresca, con la luce calda del sole di luglio che entrava dalle grosse finestre aperte. Il vento faceva ondeggiare le tende bianche nell'aria e portava dentro un piacevole profumo di fragole e mare. Ma ancora non capivo dove mi trovavo. Non ricordavo assolutamente nulla degli altri giorni anzi, non ricordavo niente del mio passato. Solo un nome continuava a frullarmi per la testa, come un insetto fastidioso: Leo. Non sapevo chi fosse questo Leo né perché ricordavo solo il suo nome.

-Finalmente! Grazie agli dei stai bene!- esclamò un ragazzo affianco a me. Era alto, con i capelli biondi e due bellissimi occhi azzurri. Portava una maglietta arancione indosso e aveva una piccola cicatrice sul labbro.

-Tu sei... Leo?

-No. Io sono Jason. E tu sei...?

-Allison.

-Non hai fatto che ripetere il nome di Leo per tutto il giorno- disse lui, versandomi del liquido in un bicchiere e soffocando una risata. Io arrossii.

-Davvero? Be' non so perché. Non ricordo nulla.

Mi porse il bicchiere e io rimasi li a fissarlo qualche secondo. -Bevi, è nettare, ti farà stare meglio.

Nettare? Che roba è? Decisi comunque di berlo. Sapeva di fragole, crostata di frutta e cioccolato, ma era buonissimo. Finii di bere e mi alzai dal letto.

-Ehi, calma. Dovresti stare a riposo...

-Devo parlare con qualcuno. Possibilmente con questo ahm... Leo.

Jason annuì confuso, ma mi portò fuori da quella che pensai fosse l'infermeria. Fuori, tantissimi ragazzi e ragazze passeggiavano chiacchierando tra di loro, dei ragazzi invece trottavano allegri... aspettate, trottavano?! Quei cosi avevano le zampe da capra? Era una cosa assurda, scientificamente impossibile, eppure loro si comportavano in modo normale, e gli altri ragazzi non sembravano turbati. Decisi che era meglio non fare domande, anche se... man mano che mi guardavo in torno iniziavo a riconoscere sempre più cose: la grande arena di scherma, il campo di tiro con l'arco, il muro dell'arrampicata con della...lava? Sperai di non doverlo mai scalare, ero una frana nello sport, soprattutto poi quando c'era di mezzo la lava. Jason continuava a spiegarmi a cosa servisse quello, a come usare quell'altro e bla bla bla. Non lo stavo ascoltando.

Camminammo, fino ad arrivare a quella che Jason chiamò "Casa Grande"

Il segreto dell'OlimpoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora