Capitolo Tre

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Mi osservava in ogni mio minimo gesto, aveva un'aria pensierosa come se stesse cercando di risolvere un enigma antico di mille anni, sembrava quasi una persona affabile e non una stronza senza cuore, come aveva dimostrato di essere; quando si accorgeva che la stavo guardando, però, quell'espressione così umana lasciava spazio ad un sorrisetto beffardo che odiavo così tanto e che in futuro avrei imparato ad amare ancora di più. Rimase lì tutta la notte, seduta accanto a Regina su un divanetto nero al lato del locale fino alle due e mezza, quando chiamammo un taxi anche per l'ultimo cliente ubriaco rimasto.
-Che stanchezza, mi viene quasi da piangere a pensare che dobbiamo pulire e sistemare ancora tutto.- disse Lisa con aria sconvolta.
-Anche a me, non ne ho proprio voglia, poi domani mattina mi devo anche svegliare presto per andare a lezione.- risposi io.
-Continui ad avere quel problema di insonnia?- mi chiese preoccupata.
-Sì, ma sono certa che stanotte crollerò appena arriverò a casa- dissi io ridendo leggermente. Intanto mi girai e andai verso dove era seduta Ava: -Mi scusi, vostra maestà, potreste essere così gentile da alzare il vostro regale fondo schiena da questo divanetto e tornare a casa?- il disprezzo e l'ironia nella mia voce erano palesi e la tensione palpabile; non aspettai neanche una risposta da parte sua e ripresi a parlare -o forse vuole che la prenda in braccio?- lei mi guardava e non rispondeva, il sorrisetto beffardo che fece quando mi diressi verso di lei aveva lasciato posto ad un'espressione di rabbia.
-Senti, ragazzina, dovresti portarmi un po' più di rispetto, non credi?- era furiosa, glielo si leggeva in faccia, ma parlava comunque senza alzare la voce, con una pacatezza e freddezza agghiaccianti.
-Io sono rispettosa solo con chi merita la mia stima, non con chiunque si presenti davanti a me con un completo costoso addosso.- ormai tutto il personale mi stava guardando a bocca aperta: non potevano credere che io stessi parlando in questo modo a colei da cui il mio futuro in questo locale dipendeva.
-Senti, sgualdrina da quattro soldi, non ti permetterò di rivolgerti in questo modo ad Ava.- era Regina a parlare per la prima volta in tutta la serata, pensavo fosse muta quella ragazza.
-Non intrometterti, Regina.- le disse Ava secca. La ragazza scocciata alzò gli occhi al cielo, ma rimase in silenzio.
-Potremmo parlare da sole in un posto più appartato?- mi chiese poi la donna, io risposi di sì e la seguii nell'ufficio di Frank che, ovviamente, se n'era già andato.
Si appoggiò sulla scrivania ed iniziò a parlare: -Senti, Sophia- voleva farmi sapere che aveva scoperto il mio nome, un lavoro da Sherlock Holmes, proprio -tu mi piaci più di tutti qua dentro, hai fegato, sei carina e mi hanno detto che molta gente viene qui solo per vedere te, da questo ne deduco che sei anche brava a trattare con le persone; vorrei farti tenere questo lavoro, gioverebbe ad entrambe, ma ci sono delle regole che dobbiamo stabilire: innanzitutto, quando ti faccio una domanda, gradirei una risposta senza essere costretta a chiederla ai tuoi colleghi e, soprattutto, non puoi parlarmi in quel modo, specialmente non di fronte al resto dello staff.- aveva un tono di voce autoritario, voleva farsi rispettare e aveva ragione, in fondo non mi aveva fatto niente di male se non apparire in un mio sogno che non poteva, neanche lontanamente avvicinarsi alla realtà, o almeno così credevo allora. Dopo una breve pausa riprese a parlare, i suoi occhi percorsero la mia figura dal basso verso l'alto, fino a fissarsi nei miei: -Sei una ragazza speciale, più di quanto tu non te ne renda conto.- lo pronunciò quasi in un sussurro, il suo tono era completamente diverso da quello usato prima, era carico di curiosità e allo stesso tempo gentile, non pensavo che un tale suono potesse uscire dalle sue labbra. Io rimasi sorpresa: voleva farmi rimanere anche se le avevo mancato di rispetto in quel modo, io ero già pronta ad andarmene, ma non avrei fatto trapelare né la mia gratitudine, né la mia meraviglia.
-Quello che ti hanno detto su di me è vero. Sono brava nel mio lavoro, sarebbe una tua grande perdita non tenermi qui.- nonostante lei mi avesse fatto un'offerta di pace io non riuscivo ad abbandonare l'ascia di guerra, ero sulla difensiva e non riuscivo neanche a controllare le mie azioni o le mie parole. Ava mi guardò divertita e poi mi congedò. Prima di uscire, però, dovevo togliermi una curiosità: -Non ti ho mai vista né qui né a Colddale prima d'ora, ti sei appena trasferita?
-Sì.- fu tutto ciò che mi rispose.
-Regina vive con te?- mi diede la stessa risposta di prima, niente di più.
-Cosa ci fa una donna sofisticata come te in un luogo così sperduto?- vidi l'evidente seccatura nei suoi occhi e nell'espressione del volto.
-Ti preferisco quando sei scontrosa, ora smetti di fare domande e vai a mettere a posto con gli altri.
-Tecnicamente non sei ancora il mio capo, non puoi dirmi che cosa fare.- nonostante le avessi risposto in quel modo, tornai ad aiutare i miei colleghi cercando di finire il prima possibile. Appena tornai a casa, mi misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte e, per la prima volta in una settimana, caddi in un sonno senza sogni: ero stravolta dalla stanchezza.
Il mattino seguente arrivai a scuola e mi presentai nell'ufficio del preside, dove avrei incontrato la nuova alunna per cui provavo così tanto interesse; quando arrivò non potevo credere ai miei occhi e dalla sua espressione capivo che neanche lei riusciva a capire come fosse possibile. La persona su cui avevo un così brutto presentimento era Regina: avrei dovuto essere amica, o almeno fare finta per qualche tempo, di quella ragazza che mi detestava a morte, sentimento che era ricambiato; rimanemmo a fissarci per qualche istante, lei con i suoi occhi neri fissava i miei grigi, i suoi capelli erano scuri come anche la sua carnagione, si poteva capire dai lineamenti del viso e dal suo fisico che aveva origini sudamericane, era una ragazza molto bella ed ero sicura che avrebbe riscosso molto successo nella scuola. Il preside, notando lo scambio di sguardi tra me e la mora, ci chiese se ci conoscessimo, entrambe rispondemmo di no all'unisono.
-Bene, allora, questa è la signorina Sophia Thompson- disse indicandomi -Signorina Thompson, lei è la Signorina Regina Ravenscroft che dovrà accompagnare nelle diverse zone della scuola per mostrarle la struttura e le nostre diverse attività, poi andrete alle vostre rispettive lezioni. Lei ha già il suo orario signorina?- chiese il preside a Regina, lei annuì. Ero rimasta molto sorpresa dal cognome della ragazza poiché non sembrava affatto sudamericano, mi feci una nota mentale di chiederle questo dettaglio in seguito; iniziammo il giro e poco dopo lei ruppe il silenzio: -Un lavoro illegale eh? Pensavo fossi solamente un'irrispettosa maleducata, ma a quanto pare sei proprio una pessima persona.- rise -adesso mi piaci un po' di più.- era ironica e detestavo il tono di voce che stava usando con me.
-La predica non mi dovrebbe arrivare da te, visto che ti trovavi anche tu lì dentro a fare la leccapiedi ad Ava; forse ti dovrei ricordare che è illegale anche per te?
-Non parlare di ciò che non puoi sapere e poi, cara, mi dispiace, ma qui sono io che ho il coltello dalla parte del manico, non cercare di imbrogliarmi, perché non ci riesci. Il tuo datore di lavoro lo sa che non hai ancora l'età giusta per servire lì dentro?- rimasi in silenzio, senza rispondere e con un'espressione mortificata -Come immaginavo. Il tuo licenziamento dipende solo da me.- sorrise soddisfatta. Un'improvvisa sensazione di rabbia si impossessò di me, presi la ragazza dalle spalle e la sbattei contro al muro; non riuscivo a capire che cosa mi stesse succedendo in questo ultimo periodo, sembrava che quando si trattasse di Regina o di Ava tutti i miei freni inibitori non funzionassero più, come se fossi ubriaca. Le misi una mano stretta intorno al collo, mi avvicinai pericolosamente al suo viso e le dissi: -Senti cara, io non so che cosa tu abbia contro di me, visto che non ti ho fatto nulla, però so che non mi piacciono né le minacce né i ricattatori, quindi la prossima volta che provi a insinuare qualcosa in questo modo non finirà molto bene per te, hai capito?- lei mi spinse lontano dalla sua figura, era molto forte, non capivo perché non l'avesse fatto prima, non disse niente, semplicemente mi guardò con un'espressione colma d'odio e di risentimento.
-Bene, continuiamo il giro.- dissi poi con voce dolce e felice. Quando finimmo le chiesi che lezione avesse e l'aula della mia classe era vicino alla sua, quindi mi offrii di accompagnarla; mentre ci dirigevamo verso l'altra ala della scuola c'era un silenzio tombale tra noi che era anche imbarazzante, entrambe non sapevamo che cosa dire.
-Ascolta, mi dispiace per prima, so che abbiamo iniziato con il piede sbagliato e sinceramente non ho né la voglia né le forze per odiarti in quel modo. Possiamo trovare un accordo di pace?- lei mi guardò, sembrava avesse la morte negli occhi: -Sentimi bene, Sophia, l'errore che stai commettendo tu adesso è quello di pensare che io e te siamo pari, ma non è così: io sono superiore a te e lo sarò sempre, quindi- si fermò un attimo a fissarmi dritta negli occhi, come se volesse ipnotizzarmi -perché non ti levi dalle palle e non vai alla tua lezione senza mai più rivolgermi la parola?- che grande stronza, io risposi subito, ma senza perdere la calma -Regina, io ti stavo semplicemente chiedendo una tregua, non di essere amiche del cuore per sempre e, in ogni caso, dovrai sopportare la mia presenza per almeno altre due settimane, quindi preparati a rivedere il mio bel faccino tra due ore a pranzo, perché dovrai sederti al mio tavolo.- mi diressi verso la mia aula lasciando una Regina stupita e spaesata in mezzo al corridoio; quando entrai in classe, vidi che si riprese dalla meraviglia e che fece anche lei lo stesso.
All'ora di pranzo mi feci trovare davanti alla classe della nuova arrivata prima del suono della campanella, la vidi uscire dalla classe mentre parlava con William, un bellissimo ragazzo come avevo previsto, appena mi vide il suo sorriso si spense e salutò il suo accompagnatore. Camminammo in silenzio fino alle porte della mensa, poi lei mentre io stavo entrando mi strinse in una potente morsa il braccio e mi costrinse a girarmi verso di lei: - Che cosa sei?- aveva una voce profonda e seria, quasi minacciosa come lo era il suo sguardo, con i suoi occhi mi trapassava l'anima, come se volesse leggermi dentro e tirare fuori la risposta a quella domanda.
-Cosa intendi?- ero confusa, non capivo il perché del suo atteggiamento né dell'improvvisa aggressività, anche se non le avrei potuto dire nulla a riguardo, visto il mio atteggiamento di quella mattina. Allentò la stretta della sua mano sul mio braccio, sentii un rumore strano come di qualcosa che si spostava e veniva ritratto, abbassò il capo a terra guardando il pavimento e poi entrò in mensa da sola lasciandomi confusa e in mezzo al passaggio -Prima o poi dovremo smetterla di lasciarci sbalordite in mezzo ai corridoi a vicenda- sussurrai pensando ad alta voce. Durante il pranzo Regina era totalmente un'altra persona rispetto a quella che si era mostrata davanti a me, era amichevole e divertente, riusciva senza problemi ad intrattenere una conversazione durante la quale era al centro dell'attenzione; aveva uno strano fascino che prima d'ora non aveva manifestato. Siamo riuscite, persino, a parlare e a ridere insieme senza che nessuna delle due diventasse violenta con l'altra; in realtà era molto facile rapportarsi con lei per me, eravamo più simili di quanto non volessimo ammettere e riuscivo a percepire che quella ragazza aveva qualcosa di speciale anche se non riuscivo a capire se la sua essenza fosse buona o malvagia: era la persona meno definita da quel punto di vista che avessi mai incontrato, non era né bianco né nero, era un grigio dove il male e il bene erano in perfetta armonia.
-Alla fine non sei poi così male.- le dissi mentre stavamo andando alla lezione seguente che avremmo avuto insieme.
-Neanche tu fai tanto schifo.- mi rispose lei, sorridendo timidamente, poi riprese -ma questo non vuol dire che siamo diventate amiche.
-Non ti ho mai chiesto di esserlo.- sorridemmo entrambe e, nonostante non volevamo ammetterlo l'una all'altra, saremmo diventate buone amiche, anche se avremmo continuato sempre ad avere i nostri piccoli litigi più o meno violenti.

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