Vorrei non esplodere come le balene

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«Fra, ti voglio bene.»

Luce. Ombra che si allunga. Buio.

È un'alternanza malsana, molesta. Odio il modo in cui risulta incontrollabile. L'ho odiato per così tanto tempo che ormai è come convivere con un animale selvatico cresciuto in cattività. Quieto in una cuccia troppo piccola per lui e pur sempre selvaggio.
Sono giorni strani. Lo sono in automatico quando succede che ti penso. Qualcuno che conosco userebbe il termine "dissonanza", ma il mio comportamento con te non cambia, malgrado ti pensi tanto ogni volta che proseguo per questa stradina. Solo una fila di lampioni la illumina, ed io la percorro sempre con passo svelto, mentre la luce genera un'ombra che mi segue e poi sparisce, alternativamente.

Luce. Ombra. Buio.

Odio questo, per intero, senza riserve e sfumature romantiche. È facile ripudiare il dolore ma per molti è difficile farlo con tutto ciò che viene prima, che ci sta attorno. È facile per molti cedere alla notte e crollare nelle braccia di Morfeo, ma non lo è altrettanto farlo di giorno in balia di cose ben più impellenti. Ma io odio tutto. Odio quel giorno, quell'ombra, quella notte. Il pensiero di te, lontano o lontana nel mio passato, è la stessa cosa... Ancora oggi hai la stessa natura, lo stesso processo vitale. Dei parassiti che crescono tra le piume di un'ala.

Luce. Ombra. Buio.

Ero questo. Emergevo per dell'aria e poi mi inabissavo, sempre più lontano dalla superficie, tempo fa. Un'apnea forzata, stupida. Con me il mio banco. Tanti me che affondavano insieme, con nomi diversi. Marco che si laurea, Marco che non è un peso, Marco che non è un fallito, Marco che è la migliore versione di se stesso. Affondavamo tutti, assaporando un sale che diventava orribilmente più familiare ad ogni immersione. Un giorno però ho deciso di rimanere più in superficie e di riposare un po', di guardare un po' in alto, lasciarmi trasportare dalla corrente, di non scendere più, di ignorare tutti i miei echi. Allora ho creduto di essere cambiato. Speravo di non sentirmi più in obbligo di seguire i miei desideri verso il basso e di trascinarli, con rinnovata forza. Ma tu continui ad esistere.

Luce. Ombra. Buio.

Percorrere questa strada ha lo stesso processo di quelle immersioni. Dalla luce del mio tempo, arrivi in mente tu, una spina minacciosa, un'ombra oblunga che oscura piano piano la mente, nel lasso di tempo di pochi passi. Non faccio in tempo a rendermene conto e sto già pensando al me dell'anno scorso che andava a fondo, a te che sei sparita lasciando da solo uno che ti considerava amica.

Io che affondo.

Tu che sparisci.

La cosa dura poco. Ma ad ogni lampione genero sempre la stessa ombra, che mi supera e sparisce poco dopo, per poi apparire dietro di me. È un ciclo malsano il modo in cui ripenso all'anno scorso, l'ho detto.

Luce. Ombra. Buio.

Sono diverso da allora. Lo sono davvero, ma non si può cambiare ciò che si è stati una volta. Ancora adesso il mio banco si immerge nello stesso punto in cui io ho smesso di farlo, tempo fa. Esso mi cerca, nuota verso la superficie e si spiaggia sul mio presente, esplodendo. La cosa diversa è il rumore che sento, una volta echi e canti che guidavano la discesa, ora esplosioni assordanti. E io vorrei solo questo, vorrei che la mia testa non esplodesse come le balene che vi si arenano.

Luce. Ombra. Buio. Luce.

È finita la stradina. Gli scoppi si allontanano ed ora sembrano più i piccoli petardi che usi a Capodanno. Nella mia testa ora il mio presente. Marco che apprezza ciò che studia, Marco che non è solo, Marco che è capace, Marco che è chiamato fra dai suoi compagni.

«Fra ti voglio bene.»

Mi lascio alle spalle lastradina e torno a casa.

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