Capitolo uno

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Sono nato negli anni in cui regnava l'incoerenza; in quegli anni in cui tutto ciò che appariva non era reale e tutto ciò che era reale sfociava in un'inesorabile contraddizione. Erano tempi in cui ognuno di noi indossava delle maschere e nessuno era chi diceva di essere. In quel mondo perverso, i cliché della società avevano defraudato l'uomo della semplice capacità di pensare o agire secondo il proprio volere ed ogni cosa aveva perso il suo reale significato. Sotto il segno di queste premesse, l'età dei Social troneggiava su di un mondo plasmato attraverso falsità, inganni e bugie. A quei tempi, noi tutti tendevamo all'incoerenza; eravamo una generazione senza ideali, senza aspirazioni, una generazione infiacchita dall'enorme progresso tecnologico che, lentamente, ci aveva privati della forza di volontà, rendendoci schiavi delle menzogne e del credo virtuale. Non esistevano più sentimenti autentici, nessuno riusciva ad instaurare rapporti veri e duraturi; il mondo era dominato dai vincenti, a cui si contrapponevano, immersi nell'ombra, i perdenti... ed io ero uno di questi. Fino al compimento dei miei diciott'anni, non sono mai stato fiero di una simile condizione d'esclusività, ma in una società del genere, interamente votata alla contraddizione da essa generata, non ero solo. C'era qualcun altro con me, pronto a combattere al mio fianco e a darmi man forte; qualcuno con un'eccezionale verve... qualcuno il cui incontro cambiò radicalmente la mia vita.

Fino ad allora, indipendentemente da cosa facessi o dicessi, il mio nome, Daniele Serpico, non era stato altro che un sinonimo di nessuno. Ero un nessuno perché, fin da ragazzino, la società moderna, in palese disaccordo con la mia fragile personalità, non aveva fatto altro che declassarmi, costringendomi ad una vita nell'anonimato. Fu nei miei anni da liceale che iniziai a muovere i primi passi nell'incoerente età dei Social, ma impiegai un po' di tempo per capire come stessero veramente le cose. A mie spese scoprii che le persone erano subdole e non si facevano scrupoli nel tradirsi a vicenda pur di raggiungere i propri scopi. Che senso aveva legarsi a gente tanto meschina? Era proprio questa domanda a giustificare la mia disastrosa vita sociale. Di amici ne avevo molti, ma non consideravo nessuno di loro degno della mia totale fiducia. Sebbene fingessi il contrario, ingannando il mio prossimo senza alcun rimorso, sapevo che tutti avevano scelto di indossare la maschera della società. Ciò mi diede la chiarezza e la cognizione che non esistevano persone autentiche, ma fantocci, manipolati e diversamente plasmati gli uni dagli altri a seconda del contesto, che, sotto spessi strati di menzogne, erano semplicemente l'opposto di ciò che in realtà desideravano ardentemente apparire. Fin da bambino, infatti, ho sempre avuto una certa tendenza ad osservare il mondo con lo sguardo di un forestiere. Quella massa caleidoscopica ed illogica, più comunemente nota all'uomo sotto il nome di popolazione, ai miei occhi appariva come l'unione dei singoli individui prostratisi alla volontà di un'età contraddittoria. Questa abilità, però, non mi aveva donato nient'altro che solitudine. In una società che spesso e volentieri tendeva ad estraniarmi, l'unica azione a me concessa era guardare da fuori quel che vi era dentro, soppesando il mondo per ciò che era realmente: una farsa colossale. Con tale consapevolezza, non potevo assolutamente glissare le mie considerazioni, perciò mi ritrovai solo, senza veri amici. In mezzo a tanta incoerenza, così come un fiore sbocciava per sbaglio laddove un fiore non sarebbe dovuto sbocciare, solo una persona si distingueva dalla massa; il suo nome era William Esposito. William era una di quelle poche persone nelle quali ancora perdurava la coerenza. Quegli stessi ideali che dalla nostra generazione erano stati prima rinnegati e poi condannati ad ammuffire in un vecchio armadio in cantina, in lui avevano trovato un custode degno di preservarne il ricordo. Ma William era molto più di questo. Possedeva un carisma talmente eccezionale che il semplice stargli accanto equivaleva a ricevere una pacca sulla spalla con l'incoraggiamento: 'Non ti arrendere. Io credo in te!'.

All'ombra di una così strabiliante figura, tuttavia, giaceva, rinserrato a forza nel suo cuore, un antico obiettivo che, fin dalle prime ore di vita, aveva mosso i passi in una pura e casta forza di volontà. William aveva posto tale obiettivo al centro della propria esistenza e l'aveva trasformato in un pilastro portante che rimandasse ogni sua singola azione, parola o idea a qualcosa di più allegorico. Quel qualcosa, però, non poteva essere compreso da persone che ne venivano a contatto casualmente, poiché il suo fine andava ben oltre la misera percezione dell'uomo.

Lo scrittore solitarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora