Vino Viola

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Lo chiamano rosso, ma più lo guardava da fuori il calice di cristallo e più quel vino le sembrava viola. Lo girava e fingeva di assaporarne l'odore, lo osservava mostrandosi sorpresa ma in realtà cercava soltanto di riprendersi dall'improvviso giramento di testa che l'aveva colta un po' alla sprovvista. Certo, non aveva mangiato, ma era quasi sicura di reggerlo meglio l'alcol.
Non aveva valutato che lui sapeva perfettamente come allentare i suoi freni inibitori, quelli che da sempre le impedivano di esplicitare i sentimenti: non aveva mai avuto un buon rapporto con loro, li aveva sempre soffocati per paura che dessero fastidio, che fossero di troppo, sbagliati e fuori tempo e questo perché lei stessa ci si trovava a disagio la maggior parte delle volte. Il suo modo di sentire era diverso dagli altri e lui un po' lo stava capendo, a lui un po' piaceva.
Lei ne era quasi certa, guardandolo attraverso il bicchiere di vino viola: lui l'amava, anche se non l'aveva mai detto. A volte non servono le parole per renderlo reale, basta guardare gli occhi con attenzione: quelli di lui brillavano, certe volte, quando incontravano quelli di lei. O almeno lo facevano prima del casino.

Lei invece li aveva chiusi mentre beveva l'ultimo sorso e attendeva che la mente si annebbiasse ulteriormente.
Lui la guardava e non diceva nulla.

Le parole che erano state dette settimane prima, bruciavano ancora sulla pelle di entrambi.
Avrebbero dovuto parlarne anziché bere vino ma loro erano così: si amavano più forte quando la testa non ci pensava troppo su. Quella volta avrebbero avuto bisogno di bere tanto per quietare quel fuoco e forse non ce n'era nemmeno abbastanza di vino in quella piccola casa. Lei si stupì a guardarla di nuovo come fosse la prima volta, quando entrando aveva visto la tavola apparecchiata e la pizza, quella maledetta pizza che le aveva bruciato il labbro. Lo sfiorò inconsapevolmente, ricordando più la dolcezza del primo bacio che il dolore -quello era arrivato dopo, in tutti i sensi-. Guardò i poster appesi ai mobili, il letto su cui avevano fatto innumerevoli volte l'amore -che è differente da fare sesso! ne avevano parlato a lungo-, la sedia, quella dove c'erano poggiati i suoi vestiti. La sua sedia, nella casa di lui.

Da quando vi era entrata la prima volta, tante cose erano cambiate. Forse anche lui aveva notato quanto forte fosse la presenza di lei: c'era il suo pigiama, la sua spazzola, c'era il contenitore delle lenti a contatto e, soprattutto, c'era una lavagnetta con scritto "ti amo". L'aveva scritto senza pensarci troppo su, stupendo lui ma anche se stessa, perché mai aveva affidato quelle parole ad un ragazzo.

Lei era ovunque in quella casa, più di quanto lui stesso avrebbe voluto ammettere. Ma soprattutto, ormai, era nella sua testa. A lei piaceva da morire la testa di lui, aveva voluto entrarci fin dal primo giorno, fin da quando con il labbro bruciato e un bicchiere di vino si erano scoperti affini.
Quando un giorno di settembre in cui erano lontani troppi chilometri lui le disse di essersi innamorato, lei pensò subito di aver fatto la scelta giusta, di aver investito bene il suo amore. Quella semplice (ma poi nemmeno tanto) dichiarazione, fu per lei l'aprirsi di un nuovo mondo, o forse l'ampliarsi di quello che stava costruendo con lui. Nel ricordarlo si era affrettata a riempire di nuovo il bicchiere di vino: le reminiscenze di palpitazioni felici in un momento talmente tanto instabile rendevano la situazione ancora più pesante da gestire.

Era andata lì per svuotarla, quella casa, per togliere da tutto ciò che le apparteneva: di ciò che aveva lasciato di intangibile se ne sarebbe dovuto occupare lui.

Non si erano nemmeno parlati in quella mezz'ora, era entrata nell'appartamento e lui le aveva avvicinato il calice di vino viola, si erano seduti sul letto ed erano rimasti così, ad osservarsi cercando di vedere nell'altro qualcosa che non andasse, un difetto così evidente che li costringesse a smettere di amarsi.
Lei non ne aveva mai visti ma ultimamente ne aveva trovato uno che l'aveva fatta allontanare, spaventare, chiudere e scappare per poi rifugiarsi nel vino che solo con lui diventava viola; quando beveva da sola assumeva il solito, banale e noioso colore rosso.

Avevano provato a parlarsi, ma riuscivano a far uscire solo qualche frase smozzicata abbinata a calcolati sorrisi di convenienza, quelli che si fanno per mascherare la tristezza e che notoriamente non funzionano molto bene.
"Non hai fatto l'albero di Natale?" aveva detto lei, cercando una conversazione che non li appesantisse troppo. Lui aveva scosso la testa, forse con un po' di malinconia.
"Io te lo avrei fatto fare, se noi..."
Aveva lasciato la frase a metà e si era affrettata a reintegrare col vino i liquidi che i suoi occhi minacciavano di perdere.
"Beh, allora vedi che c'è un lato positivo nell'essersi.... lasciati!"
Lei, a disagio, aveva abbassato lo sguardo e nemmeno lui trovava così divertente la sua stessa battuta fatta per smorzare il momento: avevano avuto bisogno entrambi di un sorso di vino per digerirla.

"Resta" aveva detto poi "scongeliamo la pizza e ceniamo insieme"
Lei non aveva risposto subito: quanto le avrebbe fatto male mangiare insieme a lui? Quanto le avrebbe fatto bene? Non doveva soltanto riprendersi le sue cose? Ma voleva davvero andare via adesso?
Ci aveva messo poco a decidere che il momento dell'addio poteva aspettare ancora un po', giusto il tempo di finire assieme a lui la bottiglia. E la cena. Poi basta. Solo... solo un altro po'. Necessitavano entrambi di più tempo. Non erano pronti. 

E mentre la pizza era nel forno, lei gli aveva chiesto se ascoltasse ancora le canzoni che si erano dedicati, lui le aveva risposto che sarebbe stata una bugia dire di no.
Lei invece ci aveva provato diverse volte e non ci era riuscita: ogni volta già la prima nota riportava alla memoria lui che le sussurrava le parole in un punto indefinito tra la spalla e il mento. Ora l'assenza del suo respiro le bruciava addosso come un'ustione di secondo grado. O magari quindicesimo. Ma quest'ultima cosa aveva preferito non dirgliela.

Quei due si sarebbero voluti proteggere a vicenda dal mondo e invece avevano fallito. Anzi, non fallito: lui aveva detto che quella parola era sbagliata. Mentre si amavano con la gli occhi ma a debita distanza, le aveva spiegato che quella era una tregua, un armistizio: erano fortunatamente riusciti a fermarsi prima di perdersi completamente e di ferirsi tanto da non riuscire più a guarire. 

Lei continuava a bere per evitare di scoppiare a piangere ricordando i mesi passati, perché pensare che non ci sarebbero state più notti passate a guardare insieme la pioggia le spezzava la voce. Ripensava all'ultima sera felice, ai grandi progetti e al fatto che sarebbero tornati fumo. 

Prima di andare via aveva ceduto al suo bisogno di lui e gli aveva chiesto un abbraccio.

E si erano abbracciati, molto a lungo.
In silenzio.
C'erano solo i respiri, solo i pensieri, solo i sentimenti che premevano da tutte le parti. Nessuno dei due voleva farli uscire, però. 

Lei ci aveva provato, davvero tanto, ma tutto il vino che aveva bevuto non era bastato ad impedirle di bagnare di lacrime la camicia bianca di lui. Che poi si erano pure vestiti uguali e quando se ne erano accorti avevano sorriso: capitava spesso che facessero le stesse cose senza accorgersene. Amarsi, per esempio.

Era quello l'addio che rinviavano da tutta la sera, lo sapevano entrambi.

Lei piangeva in silenzio con le labbra premute senza brama sul collo di lui, che invece cercava di respirare regolarmente con le labbra poggiate sui capelli di lei: era sempre stato il più forte dei due e probabilmente voleva esserlo ancora un'ultima volta. 

Quel momento non sarebbe potuto essere più intenso nemmeno se si fossero baciati: non c'era niente da aggiungere, nulla poteva essere più giusto e contemporaneamente più sbagliato. D'altra parte erano abituati alle stranezze, si chiamavano 'strani' a vicenda e nessuno ne capiva il significato: era un qualcosa che apparteneva soltanto a loro e lo avrebbero custodito gelosamente. 

Quando stavano assieme, aspettare che l'ascensore arrivasse era una scusa per baciarsi ancora e ancora, per poi salutarsi imitando il film che li aveva fatti conoscere.

Quel giorno però avrebbe fatto troppo male ad entrambi chiedere di guardarsi un'ultima volta, perciò lui aveva chiuso la porta senza dire niente e lei non si era messa in posa per toccarsi il naso.

Si era invece seduta sulle scale e aveva pianto per tutto il vino viola che aveva bevuto.
Non sapeva cosa stesse facendo lui, ma qualcosa le diceva che stavano piangendo insieme. Divisi da pochi metri e una porta chiusa, ma insieme.

Quando poi diversi minuti dopo era salita in macchina per tornare a casa, si era stupita nel trovare sul suo viso, dopo tutte le lacrime, un accenno di sorriso.

Anche durante il loro addio si erano amati.

Si sarebbero per sempre ricordati così. 

Cronache di una tregua con uno stranieroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora