'ascoltatemi, almeno ora.'

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Girava sempre col cappuccio.
Camminava a testa bassa ed era mingherlino, anche se nessuno lo poté mai appurare per certo, a causa delle felpe troppo larghe che indossava. Aveva un viso delicato, il naso piccolo e lineamenti più dolci che avessi mai visto. Gli occhi azzurri, però, erano spenti, nonostante fossero attenti. Lui vedeva tutto: poteva sembrare la persona più distratta del mondo, ma era focalizzato su tutto ciò che gli succedeva, ed era intelligente. La mascella ben pronunciata era coperta dalla poca barba che lasciava crescere, e il ciuffo di capelli marroni a volte gli ricadeva sugli occhi.
Era pieno di particolari, ma nessuno li notava. Sembrava che il suo scheletro facesse fatica a reggere il suo corpo magro, e che i piedi fossero ancorati al terreno per come li trascinava mentre camminava. Lui c'era, ma era silenzioso. Quasi sempre.
Una, c'era solo una e una sola eccezione:
la classe di musica. Tutti continuavano a non vederlo, ma a lui non importava. Era immerso nel suo mondo, nel quale si perdeva cantando, accompagnato dal pianoforte che suonava con una grazia incredibile. Le sue dita si muovevano senza alcun indugio, sicure sui tasti bianchi e neri per produrre quel suono che, accostato alla sua voce dolce come il miele, acuta ma mai fastidiosa, era la perfezione. Teneva gli occhi chiusi e, nel posto in cui stava piacevolmente annegando, si sentiva la persona più libera del mondo. Stava da Dio, era il padrone del mondo; e giuro che ogni volta che il trillo fastidioso della campanella lo risvegliava da quel paradiso, vedevo il suo viso farsi cupo, e la solita smorfia quasi arrabbiata tornare a rendere corrucciato il suo viso perfetto.
Ritornava stanco, affaticato. Sembrava pigro. Ma stava solo cercando di inseguire qualcosa mentre era legato da nodi inestricabili. E dopo anni e anni che ci provava così tanto, quello che mostrava in quel periodo era il risultato. Io lo conoscevo da sempre, e posso giurare di aver visto miliardi di volte il suo sorriso risplendergli sul volto. E fidatevi quando vi dico che era lo spettacolo più bello nell'universo. Poi ha smesso di sorridere, e quella curva che si formava sul suo viso quando era felice mi manca da morire, mi manca il suo sorriso quanto a lui mancava la sua felicità. Era diventato stanco. Era superficiale. Era appesantito. Era affaticato e sopraffatto.
Era, era, era. Perché ora non è più.
Ora non c'è più niente di lui, se non il mio ricordo e quello di nessun altro.

Sette giorni passati dalla fine di settembre, l'aria era fresca, ma il sole era alto. Il sette ottobre. Noto -solo a me e a lui- come il giorno del compleanno di Louis.
Speravo che almeno quella mattina stesse sorridendo. Ma non c'era nulla per cui sorridere.
L'ho cercato con lo sguardo, ovunque. Muovevo gli occhi freneticamente in cerca di quel bel ragazzo, un po' bassino, che passava sempre inosservato a tutti meno che a me.
Cercavo di individuare quel paio di occhi azzurri come il cielo di quella mattina, belli come il mare, ma non trovai nessuno.
Poi una voce mi colpì. Quella cazzo di voce che avrei riconosciuto tra milioni. Quella cazzo di voce perfetta mi fece alzare lo sguardo. Giuro, se potessi tornare indietro mai e poi mai lo rifarei. Non lo farei perché dentro di me, io sapevo che sarebbe successo. E la cosa peggiore, il peso più grande è che sapevo anche di essere l'unica ad aver capito.
Mi bloccai. Il tempo si era fermato e tutto era immobile, ma chi lo fermò -il destino, oppure solo il mio cervello- lo fece solo per lasciarmi realizzare ciò che avevo davanti.
Strabuzzai gli occhi al vedere Louis sul cornicione del tetto della nostra scuola. Sembrava essere in bilico su un filo, come quelle strane acrobate da circo, ma, al contrario di queste, lui stava sospeso nel vuoto e non sapeva camminare. Sì era retto con tutte le forze su quel filo che era la sua poca voglia di continuare a soffrire, ma ora non ne poteva più. Realizzai in quel momento quanto fosse evidente che stava soffrendo: aveva il volto scavato, anche se non si vedeva da lì dov'ero. Mi guardai intorno, ma nessuno si era voltato verso il ragazzo.
"Hey!" Chiamò, per la seconda volta. Così l'attenzione di tutti si spostò su di lui. Ed erano sopraffatti dalla paura. Di cosa, non lo sapeva nessuno. Ma chiunque stava tremando ed era a bocca aperta, chiunque sembrava preoccupato. Ma per cosa? Ormai tutto era perso. Louis se n'era già andato.
"Diamine! Sto per morire! Almeno ora, vi chiedo solo un secondo, ascoltatemi!"
Ero scioccata, indecisa sulle azioni che avrei potuto compiere: sarei potuta rimanere a guardare, oppure avrei potuto aiutare, correndo dentro e sperando di riuscire a salvarlo.
Vi starete chiedendo cosa ho fatto, non è così? Stavo per scattare verso le scale più vicine, quando continuò a parlare, indicandomi: "No. Non provarci neanche! Ho chiuso tutto. Sia letteralmente che metaforicamente. Ho bloccato le porte, quindi non tentare di salvarmi. E ho chiuso con la vita. Non ne posso più, perché fatico anche solo respirando. E non mi voglio sforzare nel farlo. Non più."
Lo implorai con lo sguardo, e scosse la testa in risposta.
"Solo, lasciami parlare." Disse. Io deglutii e iniziai a piangere, cercando aiuto con gli occhi.
"Quando ero un bambino ero sempre accettato. Sempre perfetto. Sempre inquadrato ed educato. Ero una soddisfazione per tutta la mia famiglia. Se ora conoscessi il me bambino, probabilmente mi starei sulle palle. Ero un perfettino di merda che veniva comandato a bacchetta dai suoi genitori." Rise. Ma non era felice, quella era una delle sue solite risate amare.
"Passato un po' di tempo, a dodici anni ho suonato per la prima volta, e per caso, un pianoforte. Ho sentito crescere tutto quello che avevo trattenuto per anni. La mia passione per la musica all'improvviso era scoppiata dentro di me provocandomi migliaia di brividi mentre sfioravo i tasti. Ero un ragazzino e avevo scoperto quella che per me è tutt'ora la felicità. Ricordo che quel giorno ho corso, ho corso fino a perdere il fiato per arrivare da mia madre e annunciare che avrei voluto studiare musica, o almeno provare. Ero davvero felice e mi sentivo realizzato, ero per la prima volta in pace col mondo. E lei cosa fece? Mi sorrise, comprensiva, mentre annuiva? Beh, ci sperai. Ma non andò così. Lei mi Rise in faccia. E lo stesso fece mio padre, i miei fratelli maggiori e tutta la mia famiglia. Con una sola frase detta mi ero messo in ridicolo, secondo loro. Ricordo che quell'anno, l'argomento di discussione durante le riunioni di tutta la famiglia fu questo. 'Il ragazzino ha chiesto di studiare musica!' e ridevano. Ridevano di me."
Fece un attimo di pausa, alzando lo sguardo al cielo.
"Mia madre mi liquidò dicendomi che mi sarebbe passata, che avrei potuto seguire solo determinati percorsi di studio per poter diventare un bravo medico, e che la musica nella mia vita sarebbe stata una perdita di tempo.
Ma diamine, io non volevo diventare medico. Che cazzo di lavoro è? Perché mai stare insieme a dei malati dovrebbe piacere ad un bambino come quello che ero io? Io volevo suonare. Volevo perdermi tra le note di una canzone, ci volevo annegare. Ed è ciò che per sei anni ho provato a fare. Ho chiesto aiuto ad una sola persona. L'unica della quale sapevo mi sarei potuto fidare."
Puntò i suoi occhi su di me, e anche se inconsapevolmente, facendolo, mi uccise. Se possibile, piansi più forte di prima.
"Lei è stata un angelo. E lo è tutt'ora. Ma gli altri non lo sono stati. Lei mi ha permesso di suonare, andando avanti e migliorando ogni giorno di più. Poi ho preso un po' di libri dalla biblioteca e mi misi addirittura a studiare. A studiare! Diamine, non avrei mai studiato così tanto per qualsiasi altra cosa. Non mi sarei mai impegnato così tanto al punto da imparare tutto da solo per nient'altro al mondo.
Inizialmente mi nascosi dalla mia famiglia. Quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da 'grande' gli rispondevo con il solito teatrino. 'Mi piacerebbe studiare qualcosa che c'entra con la medicina, per esempio potrei proseguire con chirurgia, perché mi affascina.'" imitò una voce da bambino.
"La parte divertente è che ci credevano. Non gli importava davvero e, porca troia, non ero credibile per niente al mondo! Mio padre mi scoprì un paio d'anni dopo e mi proibì di continuare a suonare e cantare o farmi aiutare da qualcuno. Mi disse che mi avrebbe rovinato. Me lo promise. Non mi importava, ma sappiate che mantenne la sua promessa. Sono stato la delusione e lo zimbello di tutti per i quattro anni successivi, fino ad ora. In una famiglia di medici e avvocati chi diamine vorrebbe mai un figlio a cui piace la musica? La risposta non è 'nessuno', ma 'dei genitori amorevoli'. Cosa che i miei non sono mai stati."
Chiuse gli occhi, e mentre rise amaramente qualche lacrima gli scivolò sulle guance. Riprese a parlare, urlando più forte:
"Io volevo davvero che fossero felici per me. Se mi avessero aiutato io ora starei bene. Tutto ciò che hanno fatto è stato dare di matto e darmi del folle. Ai loro occhi sono solo un ragazzino lagnoso che non fa altro che lamentarsi! E quando gli urlai contro seriamente per la prima volta non esitarono a portarmi da uno psicologo. Perché ero problematico, non ero normale."
Riprese a parlare senza urlare.
"Così sono diventato silenzioso. Chiunque ha smesso di fare caso al ragazzo basso in ultima fila. Quello che si veste sempre con vestiti troppo grandi e le Vans. Quello con gli occhi spenti. Quello strano. Quello che suona ma a cui nessuno ha mai insegnato. Mi sono staccato dal resto del mondo. Sono diventato invisibile. E sono morto all'interno. Mi sento come se avessi buttato via la mia esistenza.
Non biasimatemi. Ho scelto oggi non solo perché sono maniacalmente perfezionista, ma anche perché così non avrete troppe date da ricordare per colpa mia.
Oggi sono nato.
E sono morto.
Prima dentro.
E ora fuori."
Fece un passo verso il vuoto.

E si lasciò cadere in quel vuoto.

Urlai, tendendo la mano in avanti per fare non so cosa. Piansi mentre il suo corpo volava giù e si schiantava a terra. Sperai di svegliarmi da quell'incubo con tutto il cuore. Ma era il mondo reale.

E da quel mondo reale Louis era fuggito per sempre.

Non ci furono funerali.
Niente di speciale.
Solo una lapide che recita ancora oggi:

"Louis Tomlinson
7 ottobre 2001 -7 ottobre 2019"

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Spazio 'autrice'.

1. Sappiate che non ho nessun tipo di pensiero suicida, ma in un attimo di tristezza ho voluto scrivere una cosa del genere.

2.Il volto, e solo il volto che ho dato al protagonista è quello di Louis Tomlinson, al quale ho dovuto cambiare età e data di nascita; quindi sì, so che Louis è molto più grande e che è nato a dicembre.

3. Se le 'argomentazioni' che ha dato il protagonista non vi sembrano abbastanza per suicidarsi, non vi agitate. Ognuno percepisce il dolore e i sentimenti in generale in modo diverso, quindi provate a pensarvi molto sensibili come lui, e non semplicemente a pensare "io non avrei fatto così se fossi stato in lui". Sottolineerei la frase che ho evidenziato: "mi sento come se avessi buttato la mia esistenza." Se pensate che sia stupido uccidersi per una cosa simile, riflettete su questa frase per favore.

Votate e fatemi sapere cosa ne pensate. ♡

E sono morto - Louis TomlinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora