LIETO FINE

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"L'orgoglio è del cervello, non del cuore." E. Jong.

Accompagno la porta con una mano. La guardo chiudersi lenta sui cardini, con un impercettibile gemito. Sembra un sipario che cala davanti agli occhi del pubblico, quando le luci sul palco stanno per spegnersi.

Lo spettacolo è finito, signore e signori.

Da questo preciso momento, Linda interpreterà una parte nuova di zecca.

Riscriverà, parola per parola, ogni capitolo della sua storia.

Poco importa che non abbia uno straccio d'idea su come iniziarla. Semplicemente, affronterà la libertà ritrovata un passo alla volta.

Sollevo la sacca nera, la stessa che ho riempito fino ad allentarne le cuciture due anni fa, quando mi sono trasferita. Oggi mi sembra meno pesante. Forse perché so che me ne andrò lasciando un bel pezzo di cuore sullo zerbino.

Ricaccio indietro le lacrime. Non posso concedermi il lusso di piangermi addosso. Se lo facessi, rischierei di mandare tutto all'aria. Finirei per soccombere ancora una volta al profumo agrodolce dei miei sentimenti. Non posso permettermelo. Devo salvare quel poco d'orgoglio che mi è rimasto.

Stringo le dita intorno alle maniglie di nylon e mi dirigo verso le scale. Scendo ogni gradino mantenendo lo sguardo fisso all'uscita, anche se non posso ancora vederla, in realtà.

Una volta fuori dal palazzo sarà tutto diverso, mi ripeto accelerando il passo. Sono sicura, appena prenderò una boccata d'aria, quello che adesso mi sembra un gesto avventato si rivelerà la decisione più giusta che abbia mai preso.

Posso farcela.

Ricomincerò da capo.

Sarò felice.

Ancora un paio di passi e sono nell'atrio del piano terra, dove la luce di mezzogiorno filtra attraverso le vetrate avvolgendo ogni cosa nel suo abbraccio giallo arancio. Mi abbaglia tanto che sono costretta a voltarmi per rimettere a fuoco la vista. Sbatto le palpebre un paio di volte e intravedo nel buio del sottoscala la sagoma della signora Nina.

Nina, la vecchia portinaia che sa sempre tutto di tutti. Mi sta osservando con le mani ossute chiuse a coppa sul collo. Ha un'aria così triste la sua ombra inconsistente, mentre danza come un fuoco fatuo tra le macchie colorate che continuano a formarsi davanti alle mie pupille.

Mastico a denti stretti un fastidioso gusto amaro. È il sapore dell'umiliazione: Nina è dispiaciuta perché conosce la mia storia. La conosce a memoria, proprio come quella di qualunque altro inquilino del condominio.

Non so come comportarmi.

Dovrei salutarla?

Ne farei volentieri a meno, ma decido di sollevare la mano per rivolgerle un cenno sbrigativo. Non sarà un saluto a fermare l'ondata di pettegolezzi che seguiranno la mia uscita di scena, ma almeno non verrò ricordata per la mancanza di buone maniere.

Senza nascondere la mia impazienza, le volto le spalle e inizio a camminare. Percepisco il suo sguardo curioso appiccicato alla nuca. Lo sento scompigliarmi i capelli in cerca di dettagli salienti di cui prendere nota. Riesce a farmi provare l'impulso di andare a nascondermi, anche se so che non sto facendo nulla di sbagliato.

Non capisco cos'abbia da essere tanto dispiaciuta, comunque. Come se non conoscesse il motivo per cui ho deciso di mollare tutto. Potrei concederle il beneficio del dubbio, se solo non me la fossi trovata tra i piedi una volta di troppo, quando sbattendo la porta di casa fuggivo dall'ennesima lite. Nina era sempre presente a godersi la scena. Rimaneva a fissarci con la bocca spalancata e il piumino per la polvere infilato nella tasca del grembiule, mentre Marco mi rincorreva pregandomi con voce rotta di tornare indietro, di concedergli un'altra occasione. L'espressione sul volto di Nina era inequivocabile. Tracimava dagli occhi lo stesso interesse morboso con cui mia nonna buonanima seguiva la sua telenovela preferita. Peccato che Nina non stesse guardando la televisione, ma la disfatta in diretta del mio matrimonio.

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