"LUI PIANGE MENTRE IO GUARDO L'ARREDAMENTO"

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❝𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐯𝐨𝐜𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐦𝐢 𝐞𝐬𝐜𝐞,
𝐨 𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐢𝐨 𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐩𝐫𝐢𝐦𝐞𝐫𝐦𝐢,
𝐧𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐨 𝐦𝐢 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐬𝐜𝐞, 𝐦𝐢 𝐫𝐢𝐧𝐜𝐫𝐞𝐬𝐜𝐞.❞

- 𝗘𝗿𝗻𝗶𝗮.

°

Come si presenta bello l'amor mio dalle mille sfumature...

Enormi occhi tristi aveva! li velava con quelle sue deboli ciocche corvine, e sempre li portava con sè in lunghe passeggiate fatte per colmargli i polmoni.
Al suo passare ogni individuo aveva occhi da donare alla sua bellezza pari alla brezza invernale contornata da teneri aromi floreali, e me ne sentivo talmente geloso da far parte di loro, senza però scorgere quell'abisso che invece avevi dentro.

Un giorno, dopo aver aperto i tuoi occhioni vuoti e melanconici, mi dicesti:

❝M'hanno pugnalato sette volte.❞

E io, a sopracciglia corrugate e mascella serrata, espirai:

Dove?

Nei miei sogni, Jungkookie.

Con te era sempre così.
Mi colavi via dai polpastrelli come olio, e non potevo che singhiozzarne la gravosa perdita.

Ogni notte mi rovisto nello stomaco nella speranza di trovar ancora un goccio di tolleranza per sopportar l'atroce vista delle tue infinite lacrime che sul mio petto colano, una volta che sei venuto, per un nostro amplesso.
Dicevi "va tutto bene, accade, sono rotto" col tuo calmo e piacevole accento inglese.
Ma sembravi non conoscermi più, mio piccolo raggio.
Volendo, avremmo anche potuto comporre la conversazione che due sconosciuti si scambiano avanti ad un amaro caffellatte e non ce ne saremmo accorti.
Le tue schegge m'hanno perforato ad ogni bacio, ogni carezza. Anche quando non eri presente. 

Tesoro, mio dolce raggio, mio natale prematuro, ricordo ancora l'ipnotico movimento delle tue fini dita quando rigiravano i numerosi anelli argentei che le mani ti costellano, mentre eri intento ad aspettarmi sotto il nostro solito lampione per metà fulminato e come i tuoi occhi s'illuminassero di sorpresa alla mia sola vista. Si, avrei preferito questo: questo, al vederti piangere nel letto di qualcun'altro. Ero sicuro che sarei riuscito a resistere al mio cuore grondante di sangue, se potevo tenerti al sicuro. Ne ero maledettamente certo.

E quando alla fine, stesi sul mio letto a baldacchino, t'accarezzavo le scapole scosse da quei perpetui singhiozzi con la punta delle mie dita, temevo che non ci fosse più spazio per me, in te.
Tu, che sei un albergo a cinque stelle con solo una suite speciale, già occupata, e non da me, come puoi pensare di superarlo? andare avanti? ti piace ospitare viandanti a me simili nel tuo cuore, ma non fai altro che offrire loro le tue lacrime come più costoso cocktail.
Così egoista, eri, dolce mio raggio. 
Non ti chiesi mai nulla indietro, per star custodendo il tuo cuore frammentato mentre il mio lacrimava al tuo ultimo orgasmo. Quello che sempre dedicavi a qualcun'altro assieme alle infinite cascate colanti giù dai tuoi occhi chiusi.

Certi giorni credevo quasi di smontarmi come un ammasso di lego privi di forma, camminando nel vialetto fuori da casa tua dopo esserci salutati con uno sguardo; temevo di rompermi ancora, troppo presto, ancora troppo presto, sotto ai tuoi occhi, no, dovevo restare nascosto, sperare che i miei organi non cedessero e lasciassero una scia di sangue e ossa al mio passaggio; sperare che il mio cuore ancora gravemente pulsante non rimanesse incastrato fra i tuoi gradini in pietra e che la mia milza non si bloccasse proprio in mezzo al cancello impedendomi di uscire. Dovevo sperare tutte queste cose, mentre ancora i tuoi occhi coperti da ciocche color pece mi osservavano placidi la schiena. Il sole non si vergogna più a piangere su di me, in quei giorni.

Con te ogni giorno era una nuova prova antincendio, tranne per il fatto che il pericolo fosse reale e capace di squarciarti viso ed animo sol con i tuoi melliflui lucciconi.
M'adoravi tanto quanto m'odiavi, ogni volta che il momento si palesava. Il piacere arrivava al culmine, e così, ne seguiva il tormento.
In quei momenti eri solito respingermi: bramare la solitudine, stringerti forte le deboli ciocche, mentre ti accartocciavi ad un angolo della stanza.
Fuggivi veloce, alle volte, nella speranza d'arrivar sempre primo nella corsa verso il water in porcellana che ad un passo era da camera mia, per vomitar via ogni dolore. Pezzi d'anima e lacrime ardenti scendevano col resto, e tu mai accettasti una mia mano sulla fronte ed una carezza sul mento.
Dovevo limitarmi a, osservare l'arredamento. Così come tu stesso mi chiedesti.

❝Jungkookie?❞

❝Si? Dolce raggio?❞

❝Quando le ginocchia cominciano a tremarmi, le lacrime cadranno copiose dal mio viso stanco e sudato, e il cuore ti sembrerà uscirmi dal petto sputato a sangue, tu... osserva l'arredamento, va bene? Tutto finirà presto.❞

Mi dicevi, come se volessi preoccuparti per me, come se tu non stessi per sgretolarti per aria e io non fossi pronto a mordermi la lingua fino all'apparizione di quel bel colore rosso; lo stesso che le tue unghie curate scaturivano sulla pelle delle tue braccia delicate.
Jimin, dolce raggio, tu che non chiedi aiuto e cerchi conforto nel sesso che tanto ti fa del male, non credi di dover dare pace al tuo debole essere, anche solo per uno sporco attimo?
Tu che sei così divertente quando non mi guardi con triste lussuria nelle pupille.
Tu, che potresti essere colui che amo ma che non vuole essere amato, perchè fedele al suo precedente assassino.

E in un caldo pomeriggio di marzo improvvisamente il respiro mi si mozzò in gola mentre gli uccellini cantavano un inno al dolore e io dovevo fare i conti con delle lacrime che non avevo scaturito con del sesso. M'abbagliasti con spavento, e di colpo, ancora, non ci conoscevamo più.

❝O mio caro signore, come sta?❞

Avevi chiesto con movimenti melliflui della mano portando ciocche di capelli oltre le piccole tue orecchie, e di conseguenza io, con un sorriso veemente e quasi del tutto paralizzato, risposi.

❝Come tu vuoi che stia, dolce raggio?❞

E allora hai scosso forte la testa, piangendo ancor più forte! perchè trattener le membra diventò difficile.

Le parole che terminarono la recita, furono cruccianti. 

❝Il tuo piacere malinconico, sempre io lo percepii, accettandolo, ma mai, gli occhi toi mi furono più nemici, più nemici d'adesso, dolce raggio. Ti odio. Ti odio. Accetta i fiori nati dalla mia bocca ad ogni tuo passare. Accettali, Jimin, mio raggio, accettali. Accettali e scompari.❞

Tu mi sorridesti piano, e m'accarezzasti una gota bagnata di languido risentimento. Il petto mio urlava dolcemente.

❝O, che stupende le lacrime del mio bel signore. Bello, bello, sol per me. Le mangerò tutte e scomparirò con esse, cosicché il mio bel signore non debba più versarle.❞

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