capitolo 3

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-Ma tu lo avevi mai visto il Signor Martuzzi così arrabbiato con qualcuno?-
L'episodio di quella mattina aveva scosso molto Edoardo.
Irene, che meglio di chiunque altro sapeva interpretare i suoi gesti e le sue espressioni, lo aveva capito dal modo in cui, quella fredda serata di marzo, quando il sole era sparito dietro ai palazzi del centro storico, il ragazzo aveva alzato gli occhi al cielo mentre parlava.

-Il Signor Martuzzi è sempre stato irascibile, lo sai-
A Irene, che sapeva del carattere ansioso del ragazzo, sembrava una buona idea liquidare la questione, anche perché, anche se per non molto ancora, sapeva ben poco della faccenda.

-Io sono arrivata. Cerca di arrivare vivo a casa. E non accettare caramelle dagli sconosciuti-
Edoardo le sorrise. Irene aveva la capacità di farlo sorridere in qualunque situazione, anche quando era preoccupato, come se soffiasse sulle sue ansie, facendole volare via.

-Farò del mio meglio, ma non ti assicuro nulla. Ancora auguri- Dopo il saluto di Edoardo, la ragazza aprì il portone di ingresso ed entrò nell'atrio dove venne subito investita da un buon odore, proveniente dall'appartamento accanto al suo.
La signora Angela, quasi ogni sera, sfornava  dolci e sformati dagli odori paradisiaci, che spronavano Irene a cucinarsi pietanze altrettanto buone.
Le piaceva cucinare, le era sempre piaciuto e, forse, se lo era anche un po' dovuto far piacere in quanto, dall'età di 15 anni, dopo la morte di suo padre, sua madre aveva iniziato a fare i doppi turni a lavoro per guadagnare qualche soldo in più che, puntualmente, donava alla parrocchia. Così, la non più tanto piccola Irene, aveva dovuto cavarsela da sola o almeno provarci. 

Già. Sua madre. La donna che la notte non dormiva per fare gli straordinari anche per lei, la donna che più aveva deluso al mondo e la donna che più la aveva, anche se per amore e per proteggerla, rinchiusa. 

Ma Irene era un falco, volava alto e non poteva essere messa in gabbia in alcun modo. E dopo anni a sentirsi rinchiusa, finito il liceo, decise di trasferirsi in un'altra città per frequentare l'università, nonostante il parere contrario di amici e famigliari, che l'accusavano di essere egoista e irriconoscente verso sua madre. Ma la ragazza era partita lo stesso.

Egoista, forse anche cattiva. Ma libera. Libertà che l'aveva portata a trovarsi un lavoro part-time per pagare l'appartamento in cui viveva, per non dipendere più da sua madre.
Aveva promesso a sua madre che sarebbe tornata, cosa che non avvenne mai, con grande dispiacere di tutti coloro che le volevano bene, che le voltarono le spalle dopo questa sua scelta.

Il prezzo dell'indipendenza, tante volte, è la solitudine, ma a lei non importava. Si bastava da sola, non le servivano consensi.  

Ripensando a sua madre, alla sua vita, alle sue scelte egoistiche, una lacrime le scese dagli occhi verdi e le solcò la guancia.
Per distrarsi, estrasse dalla tasca della giacca la lettera che poche ore prima aveva raccolto nell'atrio della biblioteca.
Ma nulla riusciva a distrarla e si accasciò sul divano, dove pianse a lungo.

-Buon compleanno, Irene...-

La profezia dei dadiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora