Stephan e Jean

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"Dio quanto odio avere addosso 'sti cazzo di brillantini" proruppe stizzito il ragazzo, chiudendo la porta dell'entrata a chiave e dirigendosi verso la camera da letto.

"Jean"

"..."

"....."

"Amore sono io" sorrise di sbieco il ragazzo più alto, avvicinandosi piano.

"N-no c-come..." sussurrò flebile, la voce tremolante e una lacrima che senza alcun preavviso era scesa a bagnargli una guancia soffice.

Mille emozioni in quel momento lo presero di petto...

"Jean sono qui per davvero" disse ancora il più grande, rendendosi conto dello sgomento dell'altro e annullando le distanze in una brevissima frazione di tempo.

Dopo un' iniziale titubanza, ancora troppo sconvolto dall'uomo in carne ed ossa davanti a lui, Jean ricambiò la stretta con tutte le proprie forze.

"S-Stephan...Stephan...Stephan" ripetè lento, come una litania, come per accertarsi che davvero fosse lui quello che stava stringendo tra le braccia.

Ancorato alla sua giacca di pelle e potendo finalmente bearsi del suo odore speziato.

Il maggiore gli sollevò il volto rigato dal trucco sciolto, dandogli dapprima un bacio a fior di labbra e a poco a poco facendosi strada con la lingua, nutrendosi di quella bocca che gli era mancata come l'aria in quei mesi di distanza.

"C-come è possibile tu sia qui...io...tu...tu eri in prigione...c-come..." balbettò Jean specchiando i suoi occhi azzurri in quelli ghiaccio dell'altro.

Un sospiro e poi la bomba.

"Tesoro sono scappato" gli sorrise ampiamente, come se quello che avesse detto fosse la cosa più naturale del mondo.

"Ste cosa stai dicendo..." singhiozzò allontanandosi di colpo, notando l'espressione allegra dell'altro incupirsi di colpo.

"Non mi vuoi" sibilò il maggiore dopo un minuto di solenne silenzio, spogliandosi poi del giubbotto di pelle e restando solo con una canotta nera.

La frenesia della malattia che non gli dava scampo.
La sua parte in conflitto che prendeva il comando.

"Non mi vuoi più" ripetè per la seconda volta, alzando la voce e camminando isterico avanti e indietro per la camera.

"Stephan calmati...ti prego...calmo, non intendevo questo...io sono felice di vederti, amore..."  tentò di rabbonirlo il riccio, avvicinandosi cauto e prendendogli una mano tra le proprie, piccole e affusolate.

Ma ormai il moro era completamente ottenebrato nelle proprie facoltà.
Quando la malattia si affacciava prepotente, era impossibile da contenere e lui si trasformava in un mostro.

Sadico.

Pazzo.

"Hai continuato a fare la puttana in questi mesi perciò non mi vuoi più... da quanti cazzi ti sei fatto scopare Jean? Dieci...? O forse cento...? Ma che dico supereranno i trecento..." gli chiese cantilenando, rigirandoselo tra le mani e stringendogli il collo con un braccio muscoloso.

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