Sentivo uno strano ronzio. Era una sera gelida d'inverno. Eppure era una sera muta del suono stesso del ghiaccio, poiché sulle onde di questo mare quasi mai nevica e il freddo è solo pieno di quell'umidità bianca, ovattata e luminosa intorno ai lampioni che galleggiano per le strade deserte. Ecco in verità non sentivo freddo per l'inverno poiché ero in un posto riparato e colorato. Un posto che sarebbe dovuto essere caldo dopotutto. Era qualcos'altro questo gelo, vero...? Mi trovavo da qualche parte in un piccolo luogo pieno di persone indaffarate e che parlottavano distrattamente tra scaffali ricolmi di scatole e nastri di ogni genere e forma. Credo che quelle scatole fossero in realtà edifici in miniatura. La gente guardava delle piccole città le quali erano talvolta in festa, talvolta dilaniate dalla tragedia e dalle lacrime o dalla forza, talvolta delicate e isolate sotto vetro dai turbini di polvere e parole. Erano assiepate in cassetti e ripiani. Credo che le persone si specchiassero in esse per poi scegliere la propria vita, senza davvero sapere che crudelmente e fortunatamente tendi a scegliere ciò in cui rivedi te stesso. Vedevo tra gli scaffali persone distratte e apparentemente incuranti, altri angosciati che lo nascondevano con un sorriso o raramente scoppiavano senza riserbo in un pianto dirotto. Ci vuole cosi tanto solo per piangere e urlare. Ci vuole così tanto solo per essere liberi. Vedevo i chiassosi in comitive festose e burlone, con le mani piene di fischietti e coriandoli che proprio volevano proteggersi dal prestare orecchio alla vita. Loro volevano così tanto dimenticare e invece segretamente ricordavano sempre. Poi quelli come me all'opposto che cercavano di sospirare senza suono come ombre e riflessi di luce non sapendo che il silenzio è il più assordante dei rumori. Erano quelli fin troppo abituati ad ascoltare la solitudine, cosi in contatto con il chiaroscuro nell'anima degli altri da esserne spaventati, tramortiti e innamorati fino alle ossa. Sembrava non esserci più nulla per salvarli da un dolore estremo e rovinoso e da una gioia inscalfibile, brillante e incomprensibile. Vedevo una grande barriera trasparente di fronte a me. Al di là era pieno di luci abbaglianti. Era come se stessi vedendo una città immensa che si sviluppava su più livelli uno sopra l'altro e ingabbiata nel vetro. I confini del mondo della città erano bianchi e soffocanti e brillavano di luce artificiale ed essa sembrava sorgere su un terreno di luci dal bianco al blu. Credo una volta di aver disegnato qualcosa di simile anni fa. Una città che si sviluppava su più livelli. Era immersa nel caldo aranciato del tramonto cosi come questa era immersa nella luce fredda di una notte profonda e senza il riposo dell'oscurità. Sembrava a tratti un posto felice ma più di tutto avrei detto che era indefinibile, qualcosa che non puoi davvero trattenere e comprendere. Aveva le case che somigliavano a piccole shortcakes, una piazza di formaggi morbidi messi in fila a formare statue cascanti e panchine comode, il municipio era la scatola gigantesca degli yogurt in offerta con ogni ufficio condito con biscottini e granelle diverse ad indicarne la funzione. C'era il parco dei giochi e delle passeggiate con le aiuole di tortellini al pesto e qualche raviolo alla zucca, gli alberi di lecca lecca a cuore di cioccolato rosa. Sembrava un posto felice ma era deserto e congelato. Nessuno viveva lì. O meglio nessuno avrebbe mai potuto viverci immagino, a parte il suo pazzo creatore. Era così inquietante e perfetta e splendida la città ingabbiata nella luce e nel freddo dietro il vetro che forse solo qualcosa di sacro può essere fatto cosi. E' come a volte si immagina sia il labirinto e la barriera di una strega, mi viene da pensare. Credevo che lo strano ronzio venisse dalla struttura che sosteneva la città, come fosse viva, come scorresse elettricità nelle sue vene. Era il posto di chi può creare un altro mondo per cui rischia di restare in esso completamente solo. Quel mondo era vivo in quanto unico abitante di sé stesso. Ed ecco il freddo. Avevo una mano congelata, attaccata al freddo del vetro. A volte pensavo "io stessa diventerò ghiaccio". Devo sembrare qualcosa di irraggiungibile e fuori da ogni tempo, incantata con gli occhi persi nel vetro, contro le centinaia di luci di questa città in catene.
Ma il punto è che ho sentito la voce di qualcuno e poi un calore troppo forte scongelarmi a partire dall'altra mano. La mia vecchia amica -la mia prima amica- mi prese per mano appena mi vide.
Ecco lo so cosa è stato.
"Tutto ciò che tocchi scintilla" mi disse.
So cosa è stato. L'ho fatto di nuovo. Ed anche lei lo ha fatto di nuovo perché giochiamo sempre gli stessi ruoli in questa storia. Lo faccio continuamente quando sono da sola. Per un attimo ho completamente stravolto questo mondo a partire da me stessa. La magia... immagino di esserci nata in qualche modo. Se esisto io, esiste lei.
"Ma basta poco sai. Basta non rimanere intrappolati in una sfera, congelati nella neve che scende lieve ed essere solo un ornamento per questo tempo" le dico sorridendo.
E immagino che ciò sia impossibile senza toccare gli altri, penso.
Per questo i miei amici mi risvegliano ogni volta e c'è qualcosa che amo profondamente e detesto contemporaneamente nei legami d'affetto. Poiché questo era solo un supermercato con la gente vociante, sorridente, stanca dopo un giorno di vita, affollata tra i carrelli rossi e vicino alla cassa, circondata dai lecca lecca con i marshmallow incastonati e cioccolatini a cuore di San Valentino. E questo era il ronzio del frigo gigantesco davanti a me. Guardo i dolcetti e la pasta e lo yogurt sui vari ripiani. Stavo solo fissando il frigo con la mia cesta rossa in una mano e ci avevo poggiato la mia altra mano così a lungo da sentirmi gelata. Credo di essermi persa completamente di nuovo davanti a me stessa. Scavare dentro me e riordinare tutto in accordo alla mia visione è la forma di incanto che meglio conosco. Solo a chi decide di creare questo viene concesso.
A un certo punto mi resi conto che potevo ridisegnare la realtà intorno a me. Che non era qualcosa di statico, fatto per intrappolarmi. Ero così intimamente legata alla fragilità che avrei fatto un rumore assordante solo respirando. Mi sarei scontrata con il mare e lo avrei mutato in una burrasca che fosse anche mia. Sembra sempre che io sia nata nel luogo e nel tempo più sbagliato possibile, forse. Come se fossi straniera nel mio stesso paese e il mio battito si scontrasse costantemente con i ticchettii di un orologio di mattoni che non c'entra nulla nel cuore della foresta. Soprattutto a mezzanotte mi chiedo che senso abbia quel che vedo nella luce pallida e sconcertante del mattino. A volte sentivo pacati frastuoni di musiche disarmoniche che si sovrapponevano in lontananza. Vedevo sullo sfondo viali immensi e desolati con insegne luminescenti, ognuna colma di verità e certezze discordanti e urlate a gran voce. Ma la cosa incredibile è che avrei saputo orientarmi, avrei saputo brillare e non di una luce riflessa in mezzo a tante che pure avrei potuto prendere su di me. Ma di una luce solo mia. Perché in effetti il luogo è il tempo più sbagliati sono proprio quelli giusti perché qualcosa di nuovo venga creato.
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Crisalide
FantasyCrisalide è il racconto di un incantesimo e della genesi della creazione ad esso collegata. Racconta dei giorni in cui perdiamo completamente noi stessi tra i nostri mostri e le nostre luci e la realtà appare solo lontana. Parla di come ridisegnare...