Sei frigida?

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L'uso dei social network è una routine che ha del sacro. Avida di notifiche, prendo il cellulare, sfioro lo schermo con la stessa delicatezza utilizzata nel prendere dell'ostia sacra nell'inserire il codice di accesso. C'è qualche messaggio: "Hai preso il latte?" da mamma, "Non rientrare a casa troppo tardi", questo deve essere papà, e questi sono i compiti per domani. WhatsApp ci fa sentire tutti più reali. Esisti davvero, se non hai notifiche? Se nessuno ti scrive, se non sei in nessun gruppo e nessuno guarda i tuoi "stati", sei davvero al mondo?

La mia generazione viene spesso riconosciuta per essere cresciuta di pari passo con la tecnologia. Siamo nati con televisori ancora sgranati, e mentre crescevamo abbiamo cercato di tenere in vita animaletti intrappolati nei Tamagotchi e nelle console Nintendo, di vivere vite alternative giocando a MyLife e poi decidendo cosa postare sui social network. Ne abbiamo viste di tutte i colori, dai giochi ora lentissimi su GirlsGoGames al bullismo su Ask, dai minorenni su FaceBook alle carriere intere basate su account Instagram. Instagram, che abbiamo visto blu e marrone e guardato con un sopracciglio dopo ogni aggiornamento più colorato del precedente, che è passato dalle foto in 1:1 e i video da quindici secondi a essere rivale di YouTube tra i social preferiti degli adolescenti. Siamo stati esposti a un mondo infinito di possibilità e conoscenza fin da piccoli, senza però essere forniti degli strumenti di buon senso per nuotare, e non annaspare, nell'oceano di pericoli di Internet. Abbiamo vagato tra siti e chat credendoci insieme ribelli e al sicuro, senza sapere di essere vulnerabili proprio per la nostra ostentata invincibilità.

Apro FaceBook, lascio qualche "like", qualche reazione, prima di aggiornare erroneamente la pagina e ritrovarmi a ricercare un post finito chissà dove per scelta di un algoritmo che nessuno sa davvero come funzioni. Poi apro Tumblr, leggo frasi depresse per convincermi del fatto che la mia vita non è poi così male – ho la pelle bianca, vivo in Europa, ho abbastanza soldi da poter andare a scuola e non preoccuparmi di quanto costi la mia connessione ad Internet. Per ultimo, dopo aver scattato foto su Snapchat con qualche filtro improponibile e la consapevolezza che tra ventiquattr'ore sarà tutto svanito, viene Instagram: il beato regno del selfie scattato durante la golden hour con il braccio piegato in modo preciso, un'angolazione perfetta, il mento in giù ma non tanto da far allargare troppo la fronte, regno abitato da un popolo silenzioso che pende dalle labbra arricciate della più bella tra le belle, che lascia un "like" invece di inchinarsi alla potestà della divinità passeggera. Ah, Instagram. Lascio anche io qualche "mi piace", a mia cugina, alla divinità, al ragazzo carino che incontro ogni tanto a scuola. Non ci ho mai parlato dal vivo, ma ha reagito a una mia storia con l'emoji del fuoco, una volta. Se già prima ero certa della nostra compatibilità, questa ne è solo stata un'ulteriore conferma. Lascio qualche commento decorato da emoji, il pollice che scorre in automatico e lascia cuori come benedizioni, in alto a destra c'è un simbolo che potrebbe passare facilmente inosservato. "alex.3412 vuole lasciarti un messaggio". Un sorriso curioso, un tocco sulla notifica nella speranza che non si un'offerta di pubblicità a pagamento o un link deciso a portarti su chissà che sito. Poi, l'inizio di una conversazione insignificante.

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Due giorni. In alto a destra c'è qualche notifica in più, "alex.3412 ti ha mandato un messaggio", qualche tocco annoiato, qualche messaggio automatico mandato per cortesia più che per interesse.

"Allora, come ti sembra l'idea di passare una serata insieme? Possiamo vedere un film", scrive, e tutto quello che voglio di dire è no, non ti conosco, non ho la benché minima intenzione di passare del tempo con te, magari prima prendiamo un caffè, perché parli di serata, perché parli di film, qual era il tuo nome, l'ho già dimenticato, scusa ma non sono abituata a fare le cose così di fretta, ma questo è Instagram e tutto è immediato e il mondo è veloce e non necessariamente io so stare al passo, possiamo tornare al punto di inizio?

Il mondo è veloce e le dita anche, si muovono rapide nonostante il pensiero sia ormai atrofico e il suono della tastiera è una lettura del vangelo. "Guarda, te lo dico chiaro e tondo perché non ho voglia di farti perdere tempo: non sono alla ricerca né di una relazione né di un ragazzo con cui divertirmi". Le dita sono veloci e veloce sono io a morderle, per paura di una reazione. Dire di no è mio diritto, ma forse non online, forse non alle avances di un uomo.

Di nuovo, una notifica in alto a destra, e per una volta ho paura nonostante io sappia che nella risposta di alex.troppinumeriperricordarli non ci saranno link per siti sconosciuti ma solo parole. Instagram è una bestia dalle mille fauci, ha denti appuntiti, morde e non te ne accorgi se prima non vedi il sangue.

"Sei frigida?", chiede, e mi si gela il sangue nelle vene, mi chiedo se il morso è già questo, o se ancora deve arrivare. Sono frigida, per voler dire di no, quando posso? Sono frigida, per non voler conoscere uno sconosciuto che si nasconde dietro un nickname e un profilo privato? Avere un profilo pubblico significa necessariamente avere un cuore disponibile, un corpo a disposizione di chiunque al modico prezzo di qualche messaggio?

"Decisamente", rispondo, ed è ironia, ed è sarcasmo, come forse anche il suo, ma allora perché le dita tremano e sono meno veloci di prima, perché sono nervosa e mi pento di aver accettato la sua richiesta di scrivermi? Volevo solo essere venerata, forse, tramite parole come tramite "mi piace". Di certo non volevo aver paura che un mio no non bastasse come rifiuto. "Non sono obbligata a dirti di sì. Posso semplicemente non essere interessata".

"Ma se ci incontrassimo e ci fosse attrazione?", ci riprova, e forse io in un'altra situazione, guardando dall'esterno, riderei. Ma non sto guardando dall'esterno, questa non è un'altra situazione. Ci sono io, e c'è lui, e c'è Instagram a fare da testimone muto, incapace di esprimere la propria disapprovazione.

"Non succederà mai, perché non ci incontreremo. Davvero, la cosa non mi interessa, scusa", scusa, scusa se posso e voglio dirti di no, scusa se non sono una merce o un giocattolo o una bambola, scusa se non sono uno dei prodotti pubblicizzati su Instagram, venduti a poco prezzo su Wish. Scusa se posso non volerti.

"Beh, guarda, dubito che tu abbia tutti questi ragazzi che ti vengono dietro", mi brucia lo stomaco, mi pizzicano gli occhi, voglio chiudere la conversazione, voglio dimenticare il suo nome e non dover mai più vedere la notifica in alto a destra sapendo che nasconde un messaggio di alex.ichilometrididistanzachedovrebberoessercitradinoi.

"Ne riparleremo se mai avrò del tempo da perdere. Goditi la serata", scrivo e invio senza pensarci, l'atrofia del mio cervello non è abbastanza da permettermi di non provare paura e fastidio in un cocktail disgustoso.

Blocca. Cancella la conversazione. Chiudo Instagram e respiro, esco dalla mia apnea tecnologica che dura da troppo. Il mondo del "mi piace" e delle emoji del fuoco è più cosa da divinità, che da me.

 Il mondo del "mi piace" e delle emoji del fuoco è più cosa da divinità, che da me

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FrigidaWhere stories live. Discover now