Punto.

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Salendo le scale incrocio più persone che vanno nella direzione opposta alla mia, chiacchierando chi più, chi meno allegramente, alcuni silenziosamente, altri a testa bassa, altri ancora spostando lo sguardo altrove.

Con la coda nell'occhio noto delle persone nell'atrio, qualcuno sta piangendo, due ragazze mantengono la testa bassa.

Intuisco che qualcuno è appena deceduto: perché piangono? Ha sofferto? O solamente perché sentono il vuoto nel cuore? Gli saranno stati sempre vicini? O si sono ricordati della sua esistenza solo poco prima della morte? È un dispiacere sincero? O c'è qualche forma d'interesse, magari economico?

Un tipo sulla cinquantina ha una cartellina sottobraccio e non piange. Sta già pensando al testamento.

Sorrido: questa è la natura umana.

Questo ci ha insegnato ad essere la nostra società: vuoti, materialisti.Le regole restano stupidi dettami senza fondo, la verità è nell'animo. Consumismo, materialismo, l'invito a comprare per migliorare il proprio status, arricchire il proprio guscio, adornarlo, farci apparire migliori di ciò che siamo in realtà, mascherare lo schifo che siamo e profumarlo per non sentirne l'olezzo. Oggi come oggi il rapporto tra anima e involucro è inversamente proporzionale, ci s'inaridisce con una semplicità disarmante. Ho sempre notato nelle persone la codardia pura del soffrire che li porta a chiudersi e pensare solo ai propri interessi, senza aprirsi agli altri, senza capire che non si vive soli ma siamo in una comunità, che bisogna pensare con la propria testa e non farsi abbindolare da false promesse. 

Stiamo andando verso lo sfacelo più totale.

I telefonini sono diventati computer portatili che i più non sanno utilizzare ma che acquistano solamente per uno status symbol, credendo che ciò possa farli apparire migliori agli occhi altrui.

Come si può credere davvero a una così evidente menzogna?

Arrivo di fronte alla porta che m'interessa, leggendo il nome del medico sulla targa in metallo. Una cosina semplice, sobria. Mi fa piacere che a salvarmi sia stato questo Dottor... Grandi. Chissà, se avessi ancora avuto voglia di vivere magari saremmo potuti diventare amici. Busso.

— Avanti.

Entro senza esitazioni e lo sguardo dell'uomo sulla cinquantina seduto di fronte a me s'illumina quando mi vede. Sotto di sé una quantità di fogli che hanno tutta l'aria di essere delle ricette mediche. Chissà cosa lo spinge a fare qualcosa per delle persone che non conosce.

— Luisa! – esclama – Come ti senti? Ti sei ripresa, vedo. 

Non rispondo perché non ho nulla da dire.

 Amilcare – così si chiama – guarda i miei polsi. 

— Certamente ci vorrà ancora del tempo, ma se vorrai potremmo effettuare un intervento laser per eliminare queste brutte cicatrici. Accomodati, forza! 

Davvero è contento che io sia viva? E per quale motivo?

— Veramente non sono qui per fare salotto. – rispondo, sentendo io stessa il mio tono di voce piatto e liscio come l'acqua naturale. Amilcare non sembra granché sorpreso dalla mia reazione neutra, ma sinceramente non m'interessa. Sono qui per un altro motivo. 

— Allora, cosa ti porta da queste parti? – mi domanda. Neanche leggesse il pensiero. 

— Solo una domanda: perché?

Il medico aggrotta un attimo le sopracciglia, rompendo la sua maschera di serenità. Chissà, magari è il sentirsi la coscienza pulita che gliela conferisce.

Illuso.

Rotea gli occhi in basso, prima a destra e poi a sinistra, cercando una risposta all'angolo della stanza, trovando però solo polvere. Che delusione, eh?

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