Tramonto numero dieci.
Ore 17.11Sono seduta sulle piastrelle rosse del mio balcone, macchiate dal tempo e dal susseguirsi delle stagioni, inebriata dal profumo dei camini che ancora fumano e dal vento fresco di inizio Marzo che mi accarezza dolcemente la pelle del viso. Le foglie degli alberi tremano dolcemente, ed io rabbrividisco insieme a loro, mentre le api saltellano ignare di tutto di fiore in fiore . Ho sempre amato restare a guardare il tramonto al secondo piano della mia abitazione, e ancor di più dai tetti della mia soffitta. Soprattutto quando si tratta di un tramonto di quelli che anticipano la primavera, quei tramonti che puoi sentire sotto la pelle, dove i colori ti illuminano l'anima, e diventano parte di te, narrandoti storie di altri tempi.
Su quella soffitta dove tutto tace, pochi rumori, solo cinguettii e alberi che si muovono, da dove riesco a scorgere le montagne in lontananza, i tetti delle altre case, e la vecchia parrocchia sconsacrata della mia città. Guardo il camino sgangherato che da piccola, puntualmente ogni Dicembre diventava l'oggetto delle mie domande da bambina: "E Babbo Natale ci passerà?"
Se chiudo gli occhi, qui sopra, quasi dimentico l'atmosfera surreale che mi circonda.
Il cielo che ne sa di quello che provo.
La primavera che ne sa che quest'anno sarà tutto diverso, che ne sa che il suo arrivo pieno di speranza verrà oscurato da ciò che sta accadendo nel mondo intero. Aspettavo l'arrivo della primavera con tanta eccitazione, come tutti gli anni. Già pregustavo le lunghe passeggiate, i Sabato sera infiniti, con l'aria frizzante, le luci dei locali che cominciavano ad accendersi, i fari delle auto che luccicavano sull'asfalto, le risate coi miei amici e il giorno che piano piano si spegneva, lasciando strada ad una splendida notte primaverile dai profumi delicati e dal venticello fresco.
Le magliette leggere, dai colori pastello, i jeans chiari, le scarpe sgargianti, la voglia di vivere, la gioia che precedeva il mio compleanno. Già immaginavo tutti i miei amici ed io dietro ad una torta, imbarazzata mentre spegnevo le candeline ed aspettavo che qualcuno mi ci spingesse dentro la faccia. E invece non accadrà niente di tutto questo.
Tutte cose che ho sempre stupidamente dato per scontato, perché pensavo fossero una sicurezza, un dato di fatto.
Quest'anno è tutto diverso.
Quest'anno la primavera arriverà come sempre, ma non ci sarà nessuno ad accoglierla col solito entusiasmo.
Il profumo dei fiori sarà filtrato dalle mascherine e giungerà ovattato, i cinguettii delle rondini saranno soffocati, percepiti da dietro al vetro di una finestra.
O come me, confinata alla soffitta di casa mia.
Sono chiusa in casa da dieci giorni, posso scendere soltanto per fare la spesa ed eventualmente, prendere medicine, ma devo sempre portare con me un lasciapassare, perché altrimenti rischio l'arresto.
Assurdo, vero? E no, non è il 1940, non siamo sotto dittatura, stavolta i soldati tedeschi non c'entrano nulla.
È il 2020, e siamo vittima di una delle epidemie più pericolose degli ultimi anni.
Eppure io la guerra me la immaginavo diversa. Non ho la presunzione di poterne parlare, come la maggior parte delle persone ancora in vita, l'ho appresa e vissuta solo attraverso libri, film o documentari, e a volte, anche tramite qualche sogno. La guerra l'ho sempre immaginata in bianco e nero, coi fiotti di fumo che si libravano verso il cielo grigio, i soldati che marciavano, armi in spalla senza mai fermarsi. Così me la immaginavo, ma non credevo la guerra fosse anche questa. Quella che stiamo vivendo, sulla nostra pelle, potrebbe realmente definirsi tale, senza armi, silenziosa e distruttiva. Quando il mondo viene colpito in questo modo, e la propria libertà viene messa alle strette, ci rendiamo conto di tante cose. Di quanto sia prezioso un minuto di aria, di un abbraccio alle persone che amiamo, un'ora di chiacchiere, un caffè insieme, una passeggiata... o semplicemente il libero arbitrio di poter scendere in strada senza che nessuno possa obiettare. Ci hanno supplicato di non uscire di casa, è scattato un coprifuoco, bar e locali tutti chiusi alle 18. I supermercati sono stati presi d'assalto, e vedere gli scaffali semivuoti mi ha fatto venire la pelle d'oca, con l'opprimente sensazione che la vita conosciuta fino a questo momento stesse per finire. Con gli occhi fissi sullo schermo della televisione, ho appreso che l'Italia intera è diventata una "zona rossa", questo è il termine per definire che la guerra si è espansa per tutto il nostro Paese. No, non è una guerra in cui si imbracciano i fucili, ma un virus che a differenza dei soldati colpisce chiunque, cieco e spietato, senza coscienza né sensi di colpa, senza distinguere colori o bandiere. Quando la mattina mi sveglio, ed apro la finestra, guardo la strada e la vedo semideserta, non c'è quasi nessuno, i negozi aperti sono pochissimi, le persone camminano con le mascherine, nell'aria si respira una strana tensione, vedo la paura nei loro occhi, si tengono tutti a distanza, non ci tocchiamo più, non ci abbracciamo più. Nel mio negozio non è entrato nessuno il primo giorno in cui sono andata, dal secondo giorno mi hanno chiesto di restare a casa, di non scendere più. Da allora, mi occupo della casa, della spesa, e guardo il mondo che scorre attraverso un vetro.
Oggi ho visto dei militari passare sotto casa mia, indossavano una mascherina, e i fucili li imbracciavano davvero.
Non credevo che la mia libertà potesse arrivare a mancarmi così tanto.
Stamattina sono scesa per fare la spesa, eravamo tutti in fila, in silenzio, a distanza di un metro l'uno dall'altro. Quando sono entrata dentro, ho chiesto la farina, ma mi hanno detto che era finita.
La farina, era finita.
Ho sorriso amaramente, ed ho annuito, allora ho preso tutto quello di cui avevo bisogno.
Ho preso la medaglietta che avevo al collo e l'ho stretta forte, con le mani che mi tremavano.
"Mio soldato. Nel 40' c'eri tu... ed ora?"
Proprio ieri, mentre il sole si apprestava a tramontare ancora una volta, in uno dei giorni tutti uguali che si stanno susseguendo con lentezza e monotonia, ed io ero seduta sul mio divano mentre mi crogiolavo tra i raggi del sole morente con occhi socchiusi, ho sentito una musica provenire dalla strada.
Ho aperto gli occhi ed ho teso l'orecchio, poi mi sono alzata ed ho aperto la portafinestra, sporgendomi per cercare di capire cosa fosse.
Solo dopo qualche istante ho capito che si trattava dell'Inno Nazionale.
Una camionetta militare con un altoparlante stava girando per le strade della mia città propagando quella musica che per me è stata come un pugno nello stomaco.
Mi sono appoggiata con la schiena al muro, ho chiuso gli occhi ed ho cominciato a piangere.
Non so cosa mi sia preso, forse dei ricordi emersi tutti insieme, delle sensazioni nascoste, recondite, riconducibili ad un'altra vita, hanno smosso qualcosa nella mia anima, nella mia mente.
Quella musica sembrava gridare: "Unità! Solidarietà! Forza!"
E più si faceva vicina, più quel senso di angoscia scavava dentro di me, viscerale e penetrante, come se l'avessi già sentita ma in un'altra occasione, in altre circostanze, forse subito dopo la dichiarazione dell'entrata in guerra dell'Italia.
Quando ho aperto gli occhi, lui era lì.
Fermo, in fondo alla strada, con gli occhi fissi sul cielo e il fucile tra le mani.
Era una figura sbiadita, tremolante, sfocata e la sua divisa monocolore era in netto contrasto con le uniformi mimetiche dell'attuale esercito.
"Angelo mio".
Quella musica dall'aura così potente continuava a risuonarmi nelle orecchie, fino all'ultimo verso: "Siam pronti alla morte".
Quello fu il momento in cui i miei occhi corsero ancora verso quella figura tremolante che risiedeva nel mio cuore e in una parte angusta dei miei ricordi, appartenente ad un'altra vita, ad un'altra me.
Fu allora che mi guardò negli occhi, si portò una mano sul cuore e non parlò, non disse nulla, ma capii che quell'Inno l'aveva accompagnato fino al suo ultimo giorno, risuonando nelle sue orecchie, dandogli la forza e il coraggio di andare avanti.
"Resisti, mia crocerossina. Il coraggio di andare avanti non mi è stato dato dall'Inno, ma dal pensiero di te".
Sorrisi stupidamente e mi portai a mia volta la mano sul cuore.
Il giorno in cui si rese conto che l'ultimo verso era una bugia corrispondeva anche all'ultimo giorno della sua vita.
Nessuno di quei ragazzi era davvero pronto alla morte, nessuno di noi lo sarebbe, ma lui la affrontò comunque, per permettere agli altri di sopravvivere. Compresa me.
La musica cessò così come era iniziata, la figura svanì, ed io mi sentii svuotata, riportata brutalmente alla realtà.
Mi rendo conto che sì, è davvero una guerra, e come non l'ho combattuta allora, non la sto combattendo nemmeno adesso ma ho la fortuna di affidare la mia vita a coloro che stanno davvero combattendo. L'unica cosa che mi è stata richiesta, per poter contribuire a debellare questo nemico è restare a casa.
Si, è una guerra, senza soldati ma con dottori in prima linea, che rischiano la vita per salvare chiunque, deboli e forti, senza fare distinzioni, loro provano a salvare tutti.
Senza fucile, ma con una mascherina, guanti e occhi stanchi, notte e giorno, senza sosta, senza riposo.
Come ogni guerra, chi ne paga le conseguenze sono gli innocenti.
Civili e soldati.
Civili, dottori e infermieri.
Nessuna fazione, nessun colore, solo i nostri: verde, bianco, rosso .
I punti in comune sono tanti: coprifuoco, lasciapassare, paura, soldati, caos.
Ma la nostra fortuna è quella di dover restare chiusi in casa per un po' di tempo, e lasciare che tutto faccia il suo decorso, lentamente, come è giusto che sia.
Avere fiducia nei dottori, come io ho sempre avuto fiducia in lui. Abbiamo la fortuna di avere qualcuno che ci copre le spalle, che ci protegge, che ci difende, dobbiamo solo essere riconoscenti ed aspettare che questo periodo buio della nostra storia giunga presto al suo epilogo.
Sono ancora seduta sulle tegole verdi della mia soffitta, è quasi scesa la notte e comincio a sentire freddo.
Allungo una mano per sfiorare il cielo che lentamente si sta tingendo di blu, e chiudo gli occhi, sperando di riaprirli all'alba di un nuovo giorno, senza più morte, restrizioni, coprifuoco e paura.
Svegliarmi ed aver riacquistato la mia libertà, ed insieme ad essa il diritto ad esercitarla, abbracciando e baciando chi mi manca di più. Sorrido, non proprio tutti.
Gli stringo la mano invisibile tra le grinze dei colori e gli chiedo di non lasciarla.
I miei due Angeli custodi, divisi tra due guerre, due mondi, due epoche, ma sempre qui solo per difendermi."L'Italia chiamò".
Ed essa risponde: ancora una volta, pronta a lottare.
* * *
Nota dell'autrice:
In questi giorni ho avuto tanto tempo per pensare. Sempre seduta sul mio balcone, ad assaporare i tramonti che non guardavo da tanto tempo. Invece in questo periodo ho cercato di riscoprire le cose belle della vita che mi perdevo a causa della fretta, a causa del lavoro e degli altri impegni quotidiani. Non siamo in una bella situazione, anzi. Siamo in balia di una situazione terribile che sta coinvolgendo il mondo intero, e L'Italia in particolar modo. Si è creata questa pandemia che ci sta tutti gettando nello sconforto. Io ho il mio Angelo Custode, quella luce in fondo al tunnel perennemente accesa che mi fa scorgere la via anche nel buio più totale, e so che tutti noi ne hanno uno. Lui mi aiuta a vedere le cose sotto un'altra luce, mi prende per mano e mi tiene forte quando so che sto per cadere. E no, non parlo di un Angelo, parlo di una persona. Una persona del mio passato che mi corre in soccorso tutte le volte in cui ne ho bisogno, e in questo periodo ne ho tanto bisogno. Non perdete la speranza, lettori miei, amici miei, alimentate la fiaccola della vita con tutte le cose positive che riuscite a trovare, fatevi confortare e date conforto, insieme ne usciremo, più forti di prima.
Io vi sono vicina.
Un bacio,
Emma.
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Tutto andrà bene || One Shot
Short Story"Sai... quando si è molto tristi si amano i tramonti" - Il piccolo principe