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Alcuni degli dèi fanciulli erano impegnati a danzare, a battere ritmicamente le piccole mani infantili e a far ondeggiare i ventagli nell'aria. Nel mentre, alcuni di loro intonavano una melodia modulando soltanto la voce come se gola, bocca e lingua fossero una sorta di magico strumento musicale.
Essi formavano un cerchio al centro del quale stavano la figlia maggiore di un signorotto locale, il cui nome era Genzo Saikido, e i suoi due fratellini.
Shokoyo era il capo del clan degli Zashiki-Warashi, gli dèi fanciulli. I rimanenti di essi, mentre stavano seduti nella posizione del loto intorno al cerchio danzante, guardavano divertiti ed esultanti quello che era a tutti gli effetti il nucleo della festa. Essi fumavano oppio e bevevano a dismisura all'interno del casolare sperduto che loro stessi avevano costruito su un monte boscoso lontano dalle normali comunità umane.
Shokoyo aveva alla sua destra l'amata moglie Alana e alla sua sinistra, invece, Genzo Saikido stesso e la sua bella sposa entrambi vestiti in kimono eleganti dai colori sgargianti.
Sho e Genzo incrociarono gli sguardi. Il nobile gli sorrise e gli fece un cenno con la testa in segno di ringraziamento.
Mancavano pochi giorni al sedicesimo compleanno della figlia Chira, quando Genzo aveva scoperto, da voci di paese, che nei boschi del monte Kinben avevano preso dimora gli Zashiki-Warashi. Aveva perciò subito mandato alcuni suoi uomini a cercarli per chiedere se potevano festeggiarla insieme a loro.
Uno dei poteri che avevano le danze degli Zashiki-Warashi era quello di corroborare gli spiriti e di portare buona sorte a coloro che vi assistevano.
Shokoyo aveva accettato la richiesta di Genzo a patto che soltanto lui, la moglie e i figli assistessero a quello spettacolo. Gli Zashiki-Warashi non amavano molto essere visti da troppe persone. Volevano vivere in tranquillità quella loro permanenza sul monte Kinben. Avevano viaggiato tanto ed erano stanchi e desiderosi di pace.
Quella notte, poi, per gli dèi, i bagordi e i festeggiamenti sarebbero durati fino all'alba poiché era anche il trecentesimo anno della dolce e splendida Chalan, la sorella di sangue di Sho, fondatrice insieme a lui di quella comunità di quaranta individui, esseri dall'aspetto di bambini ma dalla vita straordinariamente lunga.
Sho la guardava mentre danzava insieme ai fanciulli in cerchio. Era felice e radiosa, un'immagine che gli scaldò il cuore.
Lui e Chalan erano nati come umani ma, raggiunta l'età di dodici anni, avevano smesso di crescere e di invecchiare. Era molto tempo che avevano dodici anni. Dopo aver visto tutto il mondo circostante che moriva, compresi genitori e amici, Sho e Chalan avevano deciso di abbandonare il luogo di origine e di andare alla ricerca di altre persone come loro per non provare mai più il terribile senso di solitudine che li aveva colti quando tutto intorno a loro si era disgregato. Erano riusciti nel loro intento, trovando nuovi compagni nelle terre di Yamato e nel continente.
Tra tutti coloro che avevano sposato la loro causa, essi avevano trovato Itaku, colui che era diventato il miglior amico di Sho, e Alana, colei che da anni Sho amava con tutto se stesso.
Si era così formato quello che era diventato un vero e proprio clan se non una famiglia allargata.
Nessuno di essi era mai riuscito a comprendere perché gli dèi li avessero creati così. Sho aveva cominciato a sostenere che la loro vita lunghissima fosse un dono di Yusen e che quindi dovevano utilizzarlo nel miglior modo possibile. Gli Zashiki-Warashi avevano poi scoperto di possedere una vitalità debordante che era capace di emettere emanazioni positive. Cosa che si manifestava soprattutto quando mettevano in atto le danze estatiche che avevano appreso durante il peregrinare per mezzo mondo.
Molte delle genti di Yamato e del continente, con il tempo, avevano cominciato a ritenerli dispensatori di buona sorte e capaci di risanare sia i mali del corpo che quelli della mente con quei balli rituali.
Per questo, Genzo Saikido, una volta saputo che gli Zashiki-Warashi erano vicini alla cittadina in cui abitava, aveva fatto di tutto pur di ottenere da loro l'organizzazione di una festa magica che avrebbe rinvigorito lui e la sua famiglia per molti anni a venire. Genzo Saikido era un Chokei, ovvero, un guerriero appartenente al clan Chokei che dominava quei territori. Ottenere i favori di un personaggio così in vista sarebbe stata una buona cosa per gli dèi fanciulli.
Sho chinò il capo e sorrise pensando a quanto si sentiva fortunato. Intorno a lui, alcuni danzavano; alcuni facevano cerchi di fumo con la bocca dopo averlo inalato dai loro sigari inebrianti; alcuni suonavano piccoli tamburi; alcuni si abbracciavano e si baciavano. Lui si sentiva avvolto da un calore e da un tepore che gli faceva pensare di non avere più bisogno di nient'altro mondo.
Abbracciò Alana e insieme bevettero sakè dallo stesso bicchiere fomentando con gli alcolici il sentimento di estasi che provavano quando erano vicini l'uno all'altra.
«Ti amo, Sho» disse lei.
Sho si protese verso di lei per baciarla sulla testa. Pensò che loro erano davvero degli eletti. Lo pensava in quei frangenti più che mai. La morte non li avrebbe mai sfiorati e la loro vita era benedetta perché vivevano sia per se stessi che per portare benessere agli altri.
Sho bevette un bicchiere di sakè guardando negli occhi Alana che ricambiò lo sguardo. Le pietruzze dorate che erano nelle sue iridi lo stregavano e gli facevano provare il desiderio di stringerla. Trangugiò il liquido dal sapore forte, quindi ripassò il bicchiere a lei che lo prese sorridendo. Sho adagiò la testa sulle cosce della ragazzina divina e si disse che avrebbe schiacciato un breve pisolino mentre lei gli accarezzava i capelli.
Guardò in alto intenzionato a chiudere gli occhi allietato dal contatto con il corpo di Alana e avvolto nel suo profumo.
Non andò così come voleva.
Sho spalancò le palpebre quando contemplò il soffitto. Sulle travi che sostenevano il manto di copertura erano appollaiati dei figuri le cui luci delle lanterne faticavano a rischiarare i tratti. Comprese subito che erano esseri non umani. Avevano fattezze umanoidi ma i corpi irsuti. Indossavano elementi di protezione atti a formare corazze leggere.
Sho scattò a sedere e ricorse alla wakizashi che aveva appoggiato per terra.
«Fratelli! Guardate!» gridò indicando verso l'alto facendo spaventare sia Alana che tutti coloro che si trovavano nelle vicinanze.
Una torma di quegli esseri occupavano tutto quanta la struttura di sostegno del tetto a falde spioventi del casolare degli dèi fanciulli. Sembravano un branco di scimmie appollaiate sui rami di un grande albero.
A una più attenta disamina, Sho si rese conto che quelli esseri erano davvero delle specie di scimmie. Avevano il corpo umano ma le braccia lunghe e le mani e i piedi tipici delle scimmie. I volti somigliano a quelli dei babbuini ma erano circondati da lunghi capelli del tutto simili a quelli degli umani. Alcuni di essi snudarono i denti e sbavarono. Quello che era più in basso aveva la chioma scarmigliata raccolta in una coda. Sembrava quasi ridere, un sorriso che aveva un che di famelico.
«Hitosaru! Sono Hitosaru! Gli uomini scimmia!» gridò Itaku.
Tutti gli Zashiki-Warashi, pur mezzi ubriachi, fecero ricorso alle spade corte e si misero in guardia. Alana si mise a fianco di Shokoyo.
«Chi siete? Che cosa volete?» gridò egli.
Anche Saikido si mise in guardia ed estrasse dal fodero la spada che aveva appoggiato a terra.
«Chi siete?» tuonò mentre la moglie e i figli gli si facevano appresso spaventati.
Tutti quanti gli abitanti del casolare e i loro ospiti si misero a fissare quei demoni scimmieschi.
Dal punto più alto del soffitto, laddove si vedevano soltanto ombre, piombò verso il basso una figura che fino ad allora era rimasta nascosta.
Atterrò in mezzo al salone e in mezzo ai ragazzini armati senza alcuna paura.
Sho lo guardò nel volto inquietante: egli non era un Hitosaru ma un uomo per quanto avesse un aspetto demoniaco.
Aveva gli occhi di un grigio estremamente chiaro contornati da pitture di colore nero; pitturate di nero, con gli angoli allungati dal trucco, erano anche le sue labbra; lunghi capelli ondulati e lucenti gli scendevano giù fino alle spalle.
«Vuoi sapere che cosa vogliamo?» domandò l'uomo oscuro alzandosi in piedi dalla posizione accovacciata che aveva assunto quando era atterrato sull'assito di legno. Si mostrò nella sua stazza imponente. Indossava una casacca senza maniche e delle brache a sbuffo viola infilate in due calcei di cuoio che gli fasciano i piedi e la parte bassa delle gambe. Teneva le braccia penzolanti lungo i fianchi.
Sho notò che era disarmato, cosa che non era per forza un buon segno. Quell'uomo poteva benissimo essere un pericoloso stregone che non aveva bisogno di armi.
«Chi sei tu? Sei il capo di questi mostri?» domandò.
«Io sono Asakura delle Scimmie, dei Ratti e dei Corvi. Questa che vedete qui con me è la Brigata delle Scimmie. Ciò che noi vogliamo sono cuori pulsanti e pieni di vita» disse.
Parlò con una voce sibilante che feriva quasi l'udito per come traboccava di malvagità.
Saikido fece un passo avanti. «Io sono Genzo Saikido, sono un guerriero del clan Chokei, voi state...»
Un demone scimmia gli atterrò dietro le spalle. Lui si girò di scatto vibrò un colpo di spada che l'Hitosaru schivò chinandosi sulle ginocchia. La lama dell'uomo gli volò al disopra della testa. L'Hitosaru contrattaccò sferrando un affondo dal basso in alto che si conficcò nello sterno del Chokei e lo trapassò da parte a parte.
La moglie e i figli di Saikido gridarono.
«Saikido!» gridò Sho cercando di accorrere in aiuto dell'ospite che si trovava a pochi passi da lui. Brandì la spada e assalì l'Hitosaru il quale, raddrizzatosi del tutto in piedi, gli rifilò un calcio nello stomaco che lo ricacciò indietro ottenendo così il tempo di concludere la sua opera. Sfilzò la spada dal corpo di Saikido e la usò per tagliargli la gola. Lo sbatté poi per terra sferrandogli un calcio al petto.
La moglie e i figli del nobile gridarono sconvolti. L'Hitosaru rise e, prima che gli Zashiki-Warashi potessero assalirlo mentre non era spalleggiato dagli altri mostri, spiccò un balzo e si aggrappò con una mano a una delle travi da cui si era buttato di sotto.
Saikido morì soffocando nel sangue sotto gli occhi disperati dei famigliari.
Asakura parlò: «Avete visto quanto valgono per noi i vostri titoli e i vostri nomi altisonanti?»
Un altro degli uomini-scimmia gli atterrò vicino. Asakura gli disse: «Senmoku, è ora che cominci il banchetto».
L'Hitosaru di nome Senmoku emise un urlo lancinante che riscosse tutti gli altri della sua razza i quali, emettendo strepiti a loro volta, saltarono giù dalle strutture di sostegno del tetto e atterrarono in mezzo agli abitanti della casa creando il caos.
«Troverete la vostra morte qua dentro, maledetti!» promise Sho ricomponendosi dopo il calcio che aveva subito. «Attacchiamo!»
Gli Hitosaru sguainarono katana dalla lama dritta e anti-riflesso come quelle degli Hitokage, i guerrieri ombra.
Una battaglia furibonda cominciò.
Un Hitosaru piombò di fronte ad Alana e cominciò a schermare con lei.
Sho la lasciò a combattere da sola perché sapeva che era una guerriera provetta, come molti degli dèi fanciulli, e che se la sarebbe cavata. Mentre anche gli altri confratelli incrociavano le armi e si generava un putiferio infernale, guardò in direzione della moglie e dei figli di Saikido, i più indifesi là dentro. Voleva aiutarli ma anche stavolta non riuscì a fare in tempo. Due Hitosaru atterrarono loro vicino e li trucidarono tutti e tre a colpi di spada senza alcuna pietà.
Sho si sentì fremere di rabbia. Guardò Asakura che lo guardava a sua volta: «Maledetti!» tuonò. Si scagliò contro il capo delle Brigata delle Scimmie pensando che se avesse fatto fuori lui forse i suoi sgherri sarebbero fuggiti.
Asakura lo fissò avanzare ridendo mentre manteneva la postura con le braccia stese inerti lungo il corpo.
Sho saltò, trascinò indietro la spada corta e vibrò un colpo mirato spaccargli la testa.
Asakura rimase impassibile, alzò una mano e gli bloccò la lama con il palmo chiudendovi poi attorno il pugno.
Sho rimase basito da tutto ciò ma reagì subito. Asakura lo tenne sospeso a mezz'aria reggendolo per la wakizashi. Lui gli sferrò un calcio sul mento. Asakura indietreggiò rovesciando la testa all'indietro e mollando la presa. Sho atterrò in piedi e attaccò di nuovo preparando un affondo. Raggiunse Asakura allo stomaco ma sentì un clangore: il maledetto doveva avere un'armatura sotto le vesti.
Asakura ritornò a guardarlo con quel sogghigno che sembrava incancellabile. Sho lo fissò stupito poi vide che qualcosa di strano stava succedendo alle mani e alle braccia del bastardo. Una coltre nera simile a catrame le stava ricoprendo. Essa gli avvolse anche le dita e le affusolò.
Quando si solidificò, queste ultime diventarono affilatissimi artigli lucenti come ossidiana.
Sho riconobbe quel materiale. Scrutò Asakura negli occhi e disse: «Tu, tu sei un Guerriero Khurunir!»
Asakura lo guardò irridente e non replicò nulla.
Il Khurunir era un metallo di colore nero brillante dotato di poteri fantasmagorici. Alcuni uomini e alcuni Ashura erano capaci di fondere i propri corpi con una gran quantità di esso, modellarlo con la forza dello spirito e far diventare così loro stessi delle armi mortali. Ecco perché Asakura era del tutto disarmato.
Un urlo femminile si sentì al di sopra del clamore della battaglia: «Kalyan!»
Nonostante fosse di fronte a quello che si rendeva conto essere un nemico terribile, Shokoyo si voltò. Era stata Usagi a urlare, una delle sue consorelle più care.
Usagi era inginocchio e osservava un Hitosaru che incombeva in piedi sul disteso Kalyan, il suo amato, che si trovava tra le sue gambe. Il secondo aveva il petto squartato dalla spada dell'uomo-scimmia il quale gli affondò la mano dalle dita lunghissime all'interno della gabbia toracica spalancata e grondante sangue. Ne estrasse il cuore tra le urla sconvolte di Usagi e ne strappò un boccone con i denti facendo cadere fiotti rossi sul pavimento.
Sho non credette a ciò che vide. Un altro dei suoi confratelli assaltò disperato l'Hitosaru assassino ma questi gli sferrò un manrovescio che lo fece finire contro una parete per poi continuare l'orrido pasto.
Sho si voltò verso Asakura. «Voi, voi siete dei demoni!»
Il volto dell'uomo pallido truccato di nero diviene ancora più perfido. «Abbiamo soltanto un po' di fame» affermò con naturalezza.
Sho impazzì di furia e tentò un nuovo attacco. Asakura stavolta si scansò di lato, lo colpì allo stomaco con una ginocchiata e poi gli abbatté una gomitata sulla schiena. Sho ebbe quasi l'impressione che gli fosse caduto sulla schiena il tronco di un albero. Stramazzato al suolo con la vista appannata dal dolore, in un brevissimo momento ebbe una visione di ciò che gli accadeva intorno, vide così alcuni altri amici fraterni cadere sotto i colpi degli Hitosaru.
A uno di loro venne mozzato il capo; un altro venne infilzato da parte a parte; a un altro ancora venne amputato un braccio. Un quarto aveva addosso un Hitosaru che gli avventò il grugno zannuto contro il petto per poi cominciare a dilaniarglielo, con il probabile intento di raggiungergli il cuore e divorarlo.
Sho si sentì afferrare da dietro il collo e sollevare da terra. Asakura se lo portò davanti al volto e sollevò l'altra mano artigliata pronta ad affondargliela nel petto.
«Sarai un pasto delizioso» affermò.
Una spada corta lo colpì tra la spalla e il collo. Sho vide che era la wakizashi di sua sorella Chalan. La lama della fanciulla sprofondò soltanto di un mezzo pollice nella carne di quel demone.
Sho capì subito che le cose sarebbero volte al peggio. «Fuggi Chalan!»
Asakura, come se avesse compreso che chi lo aveva colpito rappresentava qualcosa di importante per lui e volesse farlo soffrire al massimo grado, lo scagliò per terra e si dedicò alla ragazzina. Chalan non riuscì a sottrarsi in tempo. Asakura si voltò di scatto e le afferrò la mano armata.
Sho comprese che egli aveva uno strato di Khurunir anche al di sotto della pelle, per questo il colpo che gli aveva inferto allo stomaco poco prima non era penetrato. Tutto ciò lo rendeva praticamente indistruttibile. Si alzò in piedi e cercò di correre ad aiutare la sorella. Sentì delle ossa scricchiolare; Chalan gridò e lasciò cadere la spada corta; Asakura le stava stritolando il polso all'interno del pugno.
«Nooo!» strepitò Sho.
Asakura sventolò letteralmente Chalan nell'aria e gliela abbatté contro. Lui subì un urto violentissimo e finì in mezzo a una selva di corpi in lotta di ragazzini e di uomini scimmia. Perse anche la presa sulla spada.
Un poco tramortito, guardò Asakura e Chalan disperato.
Asakura fissava Chalan compiaciuto. Lei aveva le lacrime agli occhi. La mano del polso stritolato penzolava inerte come se fosse quella di una morta. Asakura tirò indietro la mano sinistra e fece tintinnare gli artigli di quella facendoli cozzare gli uni sugli altri. Un istante dopo, quelle appendici acuminate scattavano verso il petto della spaventatissima e dolorante ragazzina, vi affondavano dentro e lo trapassavano da parte a parte.
Del tutto sgomento, Sho vide le grinfie di Asakura spuntare fuori, dal polso in avanti, dalla schiena della sorella che emise un breve urlo strozzato mentre il sangue le sgorgava dalla bocca.
«Chalan!» gridò Sho. Vide poi che nel pugno di Khurunir semichiuso di Asakura c'era qualcosa di rosso. Era il piccolo cuore di Chalan.
Asakura rise come potrebbe ridere una belva idrofoba ed estrasse la mano dal petto della vittima in un'esplosione di schizzi scarlatti e di frammenti di ossa toraciche. Il corpo di Chalan si accasciò al suolo senza vita con una specie di piccola voragine che le attraversava tutto il torso e in cui si poteva vedere attraverso.
Sho era paralizzato dal dolore e dall'orrore che provava.
Asakura si portò il cuore di Chalah alla bocca e ne strappò dei bocconi con i denti acuminati per poi ingoiarli famelico.
Sho si sentì la mente devastata. Cercò la spada perché voleva assolutamente distruggere il distruttore della sorella oppure venire distrutto lui stesso nel tentativo. Non trovò l'arma e decise di gettarsi contro il nemico, che ora troneggiava imbrattato di sangue al centro della sala, a mani nude.
Prima che riuscisse a scattare, Alana gli si parò di fronte. Anche lei aveva le lacrime agli occhi. Aveva il vestito e la wakizashi imbrattati del sangue dell'avversario che doveva essere riuscita a debellare.
«Sho!» urlò «dobbiamo fuggire! Ci stanno massacrando, moriremo tutti!»
«Togliti di mezzo! Non hai visto che cos'ha fatto a Chalan?» tuonò lui.
«Sho non puoi vincerlo ora!» controbatté una altrettanto sconvolta Alana.
Sho la afferrò e la gettò a terra. Stava per lanciarsi contro Asakura che lo attendeva immobile con un'espressione di perfida soddisfazione sul volto e ciò che rimaneva del cuore di Chalan stretto ancora nella mano.
Itaku intervenne, serrò la vita di Sho tra le braccia e lo portò via di peso.
Sho urlò e si disperò scalciando e sbracciando.
Itaku, che era praticamente il suo secondo, ordinò la fuga a tutti quanti gli Zashiki-Warashi.
Sho, mentre veniva portato via di peso, anche se aveva gli occhi accecati dall'ira e dal dolore, osservò i corpi squartati degli dèi fanciulli caduti a cui veniva aperto il petto e divorato il cuore dagli Hitosaru.
Gli Zashiki-Warashi superstiti erano veloci e agili nel raggiungere le finestre del capanno. Sho li vide saltare verso di esse, attraversarle e raggiungere così l'esterno.
Lui, insieme a Itaku e ad Alana, fece lo stesso lasciando la sanguinariabanda di Asakura e delle scimmie al loro terrificante pasto.

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L'uccisore di infanti
خيال (فانتازيا)Salve, questo è un racconto Dark Fantasy con un'ambientazione che richiama quella del Giappone Medioevale. Quasi tutti i miei romanzi e le mie storie sono collocate in un simile mondo. Spero che vi possa interessare. Parla dello scontro tra un grupp...