The social worker

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Camminavo con il mio specchietto in mano, dal quale controllavo il riflesso per vedere se qualcuno mi seguiva.
In quei quartieri malfamati di Tokyo, potevi sempre trovare qualcuno pronto a assalirti, a derubarti; non riuscivo a concepire il fatto che dei ragazzi, persino dei bambini, potessero vivere in uno squallore simile.

"signora..." sussurrò rocamente una voce.
Un'uomo che non conoscevo mi fece un cenno con la mano, molto leggero; doveva avere una ventina d'anni, ma ne dimostrava di più a causa dei suoi vestisti strappati, del suo viso trascurato e della poca barba ispida che aveva.
Mi osservava con gli occhi sbarrati è un sorriso quasi maniacale, che mi permetteva di vedere i suoi denti gialli, poi con uno sguardo quasi perverso mosse la mano facendomi capire che voleva che mi avvicinassi a lui, cosa che io feci, a piccoli passi, fino a che non fui davanti a lui, mantenendo comunque un metro di distanza, sia per la mia sicurezza sia per l'odore disgustoso che lo circondava, l'ansia mi mangiava viva, ma decisi di rispondere.

"Mi dica, posso esserle utile in qualche modo?" "lei non è di cui? Vero? Ma si è ovvio che non sei di qui...vestiti troppo raffinati, anche il tuo modo di parlare è troppo gentile, voce anche troppo dolce... si, si, non sei di qui sicuramente..come ti chiami?", non stavo parlando con una persona di tutti i giorni, ma un attento osservatore pronto a colpire, ogni singola informazione data poteva essere la mia fine.
"Laila.." cosa mi era passato per la mente, stavo sfidando il pericolo "allora...Laila... cosa porta una come te in un luogo...in luogo... in luogo pericoloso come questo"
"sono un'assistente sociale... è al nostro ufficio è arrivata una segnalazione da parte di un ragazzino, era terrorizzato poverino, ha detto che suo padre lo menava e ci ha dato un'indirizzo...poi la chiamata è stata interrotta, probabilmente a sentito arrivare il padre...purtroppo sono preoccupata, non so dove sono e non abbiamo più ricevuto chiamate dal ragazzo" era stata la paura a farmi parlare poco ma sicuro e non sapevo se fosse stata una scelta saggia confidarmi a uno sconosciuto, ma ormai il danno era stato fatto, non mi restava che sperare in una risposta positiva e veritiera.

Cadde su di noi un silenzio gelido, nel quale il primo rumore fu il click di un accendino, usato dal ragazzo davanti a me per accedersi una sigaretta, che dall'odore era presumibilmente erba, "capisco...mi dica come si chiama quest'uomo?" boccheggiò buttando fuori il fumo, lo sentii entrare nei miei nel polmoni, mentre quell'odore nauseabondo mi faceva venire il mal di testa.
"Allora?" disse seccatamente per ricordarmi che era in ascolto, "ehm...sono informazioni personali...per privacy non ho il diritto di dirle il nome...visto che, da quel poco che ha detto il ragazzo, sta subendo degli abusi gravi come la violenza fisica, è probabile che verrà aperta un'inchiesta per toglierli la custodia...".
L'uomo si limitò a tirare un'altra boccata di fumo, ci furono altri secondi di silenzio, fino a quando lui non riprese la parola "potremmo raggiungere un compromesso..." "un compromesso?" "esattamente..." esortò con un sorrisetto convinto in faccia, ormai la tensione che provavo era palpabile "sarebbe?"

Lui spense la sigaretta e poi la buttò a terra, sorridendo
"lei non la più pallida idea di dove sia e non sa come raggiungere la sua destinazione, qui tutti vivono in dei "condomini", se così possiamo chiamarli, le villette cadono a pezzi, quindi io potrei portarla davanti alla via dove si trova l'edificio è lei potrebbe poi andare dalla famiglia, senza che io scopra chi siano" poi mi guardò, aspettando una mia risposta negativa o positiva, sospirai pesantemente ma acconsentì, sapendo di non avere alternative

Camminammo per circa cinque minuti, sentendo una forte fitta allo stomaco ogni volta che vedevo un bambino, un ragazzo o comunque una persona troppo giovane con un'espressione triste, mentre assisteva a scene rivoltose, come risse o magari svolgeva lavori forse anche non adatti alla sua età, sentivo il mio cuore lacerarsi; quello che però mi fece male fu vedere una persona, del quale non si riusciva a vedere nemmeno il viso, coperta interamente da un mantello nero bece, che tenendo la testa bassa, aspettava che qualcuno le lasciasse qualche spicciolo o qualcosa dell'avanzo del proprio cibo, ma probabilmente nessuno gli avrebbe dato qualcosa, ne ora né mai, visto che cibo e soldi mancavano a tutti.

Ero immersa nei miei pensieri quando la mia "guida" mi disse che eravamo arrivati.
Tuttavia non eravamo davanti a un palazzo come mi era stato detto, ma bensì davanti a una villetta logorata dal tempo.
Ma ad attrarre la mia attenzione fu il gruppetto che, appena misi piede nel vialetto, mi accolse con un ghigno sprezzante, erano all'incirca 8 e in testa al gruppo c'era un'uomo sulla cinquantina, alto più di un metro e novanta; fu proprio lui il primo a parlare, ma non a me.

"Tieni i tuoi soldi Albert.." sbraitò come se non potessimo sentirlo, lanciando la borsa alla mio accompagnatore "per una volta sei stato utile..."
Mi girai verso di lui guardandolo con un misto di confusione e paura, lui abbassò lo sguardo, correndo via senza guardarsi indietro.

Ritornai a fissare l'uomo davanti a me, cercando di risultare più sicura possibile
"l'assistente sociale, vero?" "esatto, sono l'assistente sociale, lei è il signor Frederick Richarson?" cercai di parlare con sicurezza, ma la mia voce tremava di più ogni secondo che passava "in carne e ossa, sono rimasto sorpreso quando l'altro giorno al telefono mi hanno chiamato dicendo che sarebbe venuta a farmi visita un'assistente sociale"
Rabbrividì, non avremmo mai parlato con un genitore della nostra visita, la cosa più plausibile era che non fosse stato il ragazzo a chiudere la telefonata, ma lo stesso padre

"signor Richarson è arrivata una segnalazione al mio ufficio da uno dei suoi figli, che ci ha informati di subire violenze fisiche, io sono Laila Kimer" ci fu una pausa di qualche secondo nel quale io e quell'essere ci fissammo negli occhi "come penso lei sappia la violenza fisica su minore è un reato; oltretutto le condizioni di vita che questi ragazzi sembrano scadenti, le chiedo quindi di permettermi di vedere la casa, per verificare le condizioni igieniche in cui vivono i suoi figli e stabilire l'abitabilità della casa, successivamente i bambini dovranno venire con me nel nostra comunità, dove i suoi figli verranno sottoposti a una visita medica completa per stabilire la regolarità dei loro pasti, la loro condizione fisica; nel caso si riscontrino dei problemi per quando riguarda la loro salute, i ragazzi avranno diritto all'acceso gratuito di qualsiasi cura.
Dovranno rimanere in comunità con noi per all'incirca una settimana, il tempo necessario per avere la mia relazione più la relazione del medico di base e dello psicologo, che avrà una seduta con loro il giorno dopo la visita medica.
In base alle informazioni che abbiamo su di lei e all'esito delle nostre relazioni si deciderà se lei ha ancora il diritto all'affido dei suoi figli e la potestà genitoriale, le è tutto chiaro?"

Erano 3 anni che ero assistente sociale, ma mai nessuno dei centinaia dei genitori conosciuti avevamo avuto il coraggio di sorridere per poi ridacchiare mentre io parlavo "pensateci voi..." furono le sole parole che proferii prima che il suo gruppetto mi attaccate e immobilizzasse, tirandomi anche i primi colpi.
Quel mostro si avvicinò a me e mi prese per il mento, guardandomi con uno sguardo si superiorità è un ghigno stampato in faccia " se te vai e non racconti niente, io non ti farò niente" ma come avrei potuto andare contro la mia etica personale e professionale.
Quando gli negai questo privilegio, allora lui decise che era meglio mettermi a tacere per sempre, andandosene tranquillo mentre i suoi uomini si preparavano a picchiarmi a morte.

Mi divincolai furiosamente, inutilmente però,  così iniziarono a colpire, a calciare, sentivo dolore ovunque, le mie urla erano soffocate dal calzino in bocca messo chissà quando.
Quando ormai i miei vestiti furono distrutti, il mio corpo pieno di more e il sangue delle ferite iniziò a uscire si decisero a darmi il colpo di grazia.
Avevo chiuso gli occhi, ma intorno a me sentivo tutto e dopo un po' mi sembrò di sentire il rumore di una palla quando va contro qualcosa, riuscivo a sentire piuttosto distintamente il rumore delle cose quando cadono.
Alla fine riaprii gli occhi, vedevo sfocato, ma ciò vidii mi scioccò: gli uomini di prima erano tutti a terra, incluso in signor Richarson, in piedi c'era solo una ragazza castana.
Quella ragazza si accorse che avevo aperto gli occhi e si avvicinò a me, dandomi una mano a rialzarmi; ci guardammo per qualche secondo e quando finalmente riuscii a mettere a fuoco, trasalii.
Non...non è possibile...

Lei mi prese per mano e senza proferire parola mi portò nella casa.

Appena entrati trovammo due bambine e un ragazzo, seduti a terra e terrorizzati.
Io e la ragazza prendemmo per mano le due bambine e facemmo segno al terzo di seguirci. Dopo quindici minuti di camminata, di sguardi curiosi e di dolore fisico per me, raggiungemmo la mia auto e ci dirigemmo verso la comunità, tutti, inclusa quella ragazza che assomigliava a la ragazza di Kaede.

Angolo autrice:
Molto lungo come primo capitolo, ma spero che vi piaccia, commentate e l'ascite una stellina
CIAUUUU

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 15, 2023 ⏰

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