L'ora dell'attesa

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Caro Daniele,

la penna è scivolata via dalle dita più di una volta, l'ho raccolta con mano tremante per, poi, imprimere su un foglio bianco le parole che avrei voluto soffiare al tuo orecchio.

Un sorriso orpella le mie labbra, vorrei poter osservare il tuo volto quando, domattina, troverai questa lettera sotto l'uscio della camera dove ti sei rifugiato.

Un pezzo di carta che mi premuro di riempire con parole atte a ricordarti chi sei: un eroe, un uomo deturpato delle sue fattezze per assumere la sembianza di anonimo salvatore, un marito che rinuncia a stendersi nel talamo nuziale per preservare la cagionevole salute di una compagna inferma nel corpo e nello spirito, un padre privato della possibilità di cenare accerchiato dalle sue figlie. È solo un corridoio a separarci, eppure posso avvertire, anche da qui, la tua paura, il dubbio di non farcela, l'afflizione che trafigge la tua anima quando le pupille vedono la morte avvolgere un tuo paziente: un uomo, una donna, un anziano o un bambino che tu non potrai mai considerare solo un caso.

Siamo rinchiuse, io e le nostre ragazze, tra queste mura, che odorano di terrore, da poco meno di un mese; abbiamo smarrito ogni nostra piccola abitudine, avvertiamo la mancanza di quella vita frenetica che prima aborrivamo, i nostri volti sono privi di trucco e i corpi rivestiti da pigiama di pile giacché, nonostante l'arrivo della primavera, il freddo non vuole ancora abbandonarci, penetra nelle ossa e la pelle raggrinzisce per i brividi incessanti, rea è la paura.

Ogni mattina, all'alba, scivolo dal nostro letto e l'orecchio poggia sul battente per udire il tuo passo felpato. Sono lì, alla finestra, per osservarti mentre attraversi il cortile con aria stanca, sebbene ti sia appena svegliato; sono lì, cheta e silente, a scrutare l'adorato volto rasato da poco, la grazia nei movimenti e il sorriso accennato quando il palmo s'innalza a mo' di saluto ogniqualvolta mi scorgi oltre il vetro appannato.

L'effimera illusione plasma le nostre giornate, quella di poter correre ad abbracciarti quando farai ritorno da lavoro, eppure è il costante sfuggire a riempire le serate allorché il trillo dell'ascensore annuncia il tuo ritorno, come da disposizioni per l'isolamento volontario a cui ti sei piegato.

E, oggi, la liliale voce di Sonia mi ha condotto a percorrere un viaggio a ritroso nel tempo: «Mamma, come si vive un amore a distanza?»

Ero nuovamente lì, nel nostro piccolo borgo natale, ed eravamo io e te alle spalle della Basilica di San Giustino a sfiorarci le mani e a scrollarci di quelle bordature di rimpianti che avevano popolato l'anno appena vissuto.

Rivestito di caduco coraggio, avevi scovato la volontà di dichiararti e le tue labbra fredde si erano posate sulle mie per la prima volta, un ricordo che avrei portato con me per diversi anni.

Fu il freddo di novembre a pungolare la carne, oppure furono i brividi che scossero i nostri corpi quando la terra tremò e cumuli di macerie si posarono attorno a noi. L'amore a distanza si vive osservando le lancette dell'orologio della Basilica di un paese che, per anni, ha segnato sempre la stessa ora: le 19.43 di quel 23 novembre di quasi quarant'anni fa; si vive riempiendo le pupille con la tua immagine mentre eri intento a scavare, con quelle mani divenute abili a incidere la pelle degli uomini, tra i detriti di una città scomparsa; si vive aspettando, stesa sul giaciglio di un ricovero per orfani del terremoto, il ritorno di colui che era scappato per ritrovare se stesso nel sogno di divenire medico.

Non potevo scriverti, telefonarti o raggiungerti, eppure ero lì ad attenderti, paga del ricordo di noi e di quelle labbra piene e salate. E sei tornato a salvarmi, a trascinarmi in quella nuova vita pregna di speranza e volontà.

Ancora una volta, il fato ci ha giocato un brutto tiro e, come allora, mi soffermo a guardare un orologio e la consapevolezza che andrà tutto bene affiora lesta; così è stato quando le lancette erano ferme e il tempo aveva smesso di avanzare, così sarà ora che quelle lancette scorrono, seppur lente.

Oggi, così come in quegli anni, io resto ferma e tu corri, io vivo nel ricordo dei nostri corpi incastrati in un intreccio di braccia tremanti e pezzi combacianti e tu lotti per salvare una vita che potrebbe essere la mia, quella delle nostre figlie, dei nostri genitori che tra quelle macerie hanno trovato la morte, dei nostri fratelli mai cresciuti e di tutta quella gente amata e perduta affinché i loro sorrisi possano riaffiorare sulle labbra di ogni tuo paziente guarito.

L'amore a distanza vive nella stima e nel rispetto che ho di te; vive nella tua consapevolezza sulla mia eterna e speranzosa attesa.

Sarò qui ad accoglierti per lenire ogni tua ferita, curare gli squarci, lasciati a mo' di ricordo, da chi non sei riuscito a trattenere, disinfettare i graffi incisi da chi non si è fidato, sollevarti dallo sfinimento fisico e morale che seguirà, sarò qui ad amarti nel buio della nostra camera quando il tempo inizierà a scivolare veloce dai polpastrelli.

Abbiamo imparato a vivere, ad alzarci, a scavare, ad arrancare, a soffrire, a gioire, a lottare e, più di ogni altra cosa, a sopravvivere. Quando questa epidemia sarà solo un ricordo lontano, torneremo a stringerci e una nuova zavorra graverà sul costato; sarà il peso di coloro che sono volati via, vittime inermi di un male invisibile, a ottenebrare le nostre iridi e sarà, invece, il sorriso di chi ha riassaporato la libertà a riscaldare i nostri cuori.

Sarò qui ad attenderti, perché il nostro amore, sopravvissuto al tempo e alla distruzione, vive oltre ogni distanza e si nutre dell'aspettativa fiduciosa che nutriamo per l'altro.

Nella fragilità delle mie crepe, nella tribolazione delle mie pene, resisto allo sconforto affinché tu possa esser fiero di me.

Portami con te dai tuoi pazienti, ricorda loro che c'è qualcuno ad attenderli affinché la forza di lottare non li abbandoni mai.

Combatti anche oggi, con più tenacia di ieri.
Ti aspetto.
Per sempre con te
Emma

Nota
I personaggi di questa lettera sono i protagonisti di una one shot presente nella "Raccolta One shot": Un giorno qualunque.

Parole della lettera: 1013

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