Quando era ieri

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Da quando lo conosce, Levi ha capito una cosa: che è incredibilmente semplice farci sesso, straordinariamente difficile andare oltre di esso. È che se fosse meno ambizioso, più superficiale, forse affondare nelle carni di Eren, lasciarsi stritolare dalle spire bollenti che gli tolgono il fiato ed imbrattargli il corpo di sperma, lì, sui glutei come sta facendo adesso, gli basterebbe.

Ma no, non gli basta. Non quando, da creatura adulatrice qual è, Eren l'ha convinto a lasciare l'amaca sulla quale si stava dondolando senza fretta, in cerca di una pace che la megalopoli dove vive non gli dà mai, per potersi recare rapidamente nella camera del resort in cui il giovane alloggia e prenderlo così, contro il muro, su due piedi. "Sbrigati, mio padre sta ancora in spiaggia" gli ha detto con fare furtivo, come se a qualcun altro oltre loro potesse interessare cosa avrebbero fatto in quella stanza. Ha tentato di opporre resistenza, Levi, finché la data di scadenza che sancirà la loro separazione definitiva non ha iniziato a lampeggiargli nella mente.

Due settimane, solo due settimane e tutto sarà finito: Eren tornerà a Tokyo, lui ad Osaka, e a mai più arrivederci. E se le cose fra loro fossero diverse, se soltanto Levi, quella sera di un mese prima in spiaggia, avesse chiarito a quel ragazzo che non aveva bisogno di una scopata e via, visto che non è capace di liquidare ogni rapporto umano con una facilità innata, forse le cose sarebbero andate in modo differente. Forse non l'avrebbe seguito, in quella camera che ora conosce fin troppo bene, nostalgico all'idea di non poterlo più baciare, di non sentirlo godere fra le sue braccia, sospirare nelle sue orecchie, cercarlo con la sua bocca.

Alla fine l'ha seguito comunque, un po' egoisticamente – e masochisticamente -, un po' perché Levi ha imparato a comprendere quei momenti di sconforto in cui Eren vuole subissare i pensieri, rimpiazzarli con l'onda sconvolgente, annientatrice dell'orgasmo, fino a non avere neanche più una parola di dolore ad avvelenargli l'anima.

E ciò che più preme nel petto di Levi, è che lui, quell'anima, vorrebbe liberarla, purificarla, ma Eren non glielo lascia fare. "Non è questo che ti deve interessare, ma solo il mio corpo", gli risponde sempre, con un'apatia tale che, all'inizio, Levi credeva possedesse due personalità: quella bollente di passione, vivace, sensuale come un felino, una vera e propria Mantide Religiosa, e poi una seconda algida, impassibile. Irraggiungibile. Invece no, si sbagliava, perché Eren calibra perfettamente le parole, le mosse, persino le emozioni da provare, per evitare che qualcosa lo travolga senza che lui ne abbia pieno controllo. Perché lo vede, quanto Eren si stia sforzando di mantenere un segreto, che forse un segreto non è, ma che lui lo considera tale.

C'è qualcosa che non vuole che conosca, eppure è a causa di quel qualcosa, che Eren non riesce ad abbandonarsi a lui. Forse è azzardata la sua sentenza, ma lo vede, nell'intimità che si crea sotto le lenzuola, che Eren potrebbe essere amante, compagno, se solo lo volesse. Ogni tanto scorge in lui quel desiderio, ma predomina una voce che gli urla che no, non può farlo. Levi non può renderlo felice. La vede nei suoi occhi, la ode quella voce, la stessa che impone ad Eren di alzarsi, rivestirsi e sollecitarlo a lasciare la camera. Questa volta, prima del previsto.

Ti prego, dai, prendiamo le carte, fumiamoci una sigaretta post-orgasmo, e poi baciamoci di nuovo, facciamo l'amore ancora, ma 'sta volta fatti marchiare da dentro, ricordati di me quando saremo via di qui, ti prego. Ti vengo a trovare, ti giuro. Ogni mese, no, che dico, ogni settimana. E poi raccontami di te, del perché qui c'è solo tuo padre, del perché non mi reputi sufficiente per poter stare con te. Ma che dico? Sei tu che non sei abbastanza, non è così?

Ti posso rendere felice, pensa.

"Non puoi" risponde Eren alla sua tacita preghiera, chiudendogli la porta in faccia.

***

Il giorno seguente, come se nulla fosse accaduto, Eren torna a cercarlo, Levi ad amarlo. Questa volta non gli ha dato nemmeno il tempo di recarsi al solito posto, alla solita ora – sul pontile per mostrare ai genitori quanto giovino della reciproca, artificiosa amicizia -, che Eren ha bussato alla sua porta, conscio che Kuchel fosse andata a visitare il paesino vicino con suo fratello. Levi apre la porta con ancora i capelli gocciolanti d'acqua dolce, ed Eren divora con gli occhi il suo corpo fasciato soltanto da un asciugamano bianco, prima di spingerlo per le spalle sul letto e privarlo dell'indumento. Il membro si risveglia immediatamente, perché resistere alle sue attenzioni lo farebbe veramente uscire di senno, e si lascia andare alle lappate dense, alle occhiate languide che gli rivolge mentre gli succhia le sacche mobili, risale lungo l'asta e ingloba il glande, facendolo mugugnare di piacere. E mentre il ragazzo lo sollecita a spingersi nella sua bocca con enfasi mantenendogli le ciocche ben strette fra le dita, Levi si chiede chi sia stato a conferirgli quella benedizione, o maledizione.

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