Introduzione

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Ho sempre pensato che il posto più sicuro per sé stessi fosse la propria mente: nessuno ti ascolta, nessuno può replicare per mettere i puntini sulle i o per silenziarti.

Dentro di me ragionavo, incastravo mentalmente i tasselli del puzzle per completarlo, poi agivo accostandoli gli uni agli altri. L'ultimo combaciò perfettamente con tutti gli altri. Pezzo dopo pezzo, il paesaggio norvegese aveva cominciato a prendere forma e significato. I fiordi si inoltravano verso una distesa d'acqua salata e promontori sparsi nella bellezza della natura nordica. Mozzafiato, sì. Peccato che fossi abituato ad ammirare scenari simili praticamente ogni giorno.

«Mi serve un altro puzzle.»

«Ma ne hai appena concluso uno... Così facendo le pareti saranno piene nel giro di poco tempo.»

«Tranquilla, non voglio appenderli tutti.»

La passione per i puzzle faceva parte di me sin dai primi anni di vita, ma solo da pochi mesi avevo cominciato a comprarne e completarne a raffica. Era diventato un hobby, semplice e rilassante. Con delicatezza poggiai la lastra di vetro sull'immagine 50x70, applicai la cornice e la appesi al chiodo già fissato in precedenza alla parete.

«È dritto?»

«Perfettamente.» la donna, con le braccia incrociate sul petto e un sorriso sincero stampato sulle labbra rosee e sottili, osservò la linearità e i colori vivi del nuovo quadro. Ammirava la pazienza che avevo nel comporre quelle creazioni, così come contemplava la minuziosità che mi caratterizzava mentre risolvevo rompicapo d'ogni genere, caratteristiche che sicuramente non avevo ereditato da lei. Ma era fiera del ragazzo che ero, e questo bastava.

«Bene. Io allora... vado a fare qualcos'altro.» impressionante come in certe situazioni mi sentivo a disagio persino con mia madre. Non la facevo apposta, né riuscivo ad evadere dalla prigione di apatia che mi caratterizzava. Per quanto apprezzassi le persone, per quanto le amassi... dimostrare sentimenti era complesso. Amavo, ma era come se non lo facessi.

«Perché non prendi un po' di sole in terrazza? Io nel frattempo preparo qualcosa da mangiare, è quasi ora.»

Sistemai la scatola del puzzle ormai vuota e la riposi al suo posto nello scaffale del soggiorno. «Sì, credo che andrò un po' fuori. Se hai bisogno di aiuto per il pranzo chiamami.»

Annuì. Apatico e solitario sì, ma non per questo anche strafottente. Salii in camera e aprii la porta finestra che dava accesso alla terrazza di casa. I miei genitori avevano sistemato qualche sedia e un tavolino da esterni per renderla confortevole, riuscendoci. Era un posto tranquillo, prevalentemente solo tutto mio. Per riflettere, per rilassarsi. Per spaziare in una dimensione sconosciuta a chiunque al di fuori di me, ma ognuno possiede la propria: basta isolarsi, incantarsi su qualcosa, viaggiare nei meandri della propria interiorità e costruire ciò che più si desidera, senza vincoli.

Il problema è quando qualcosa riesce comunque ad interferire, valicando fortificazioni fatte di privacy, intimità, sicurezza. Quel qualcosa potrebbe essere la voce di qualcuno a cui tieni ma che nei tuoi confronti manifesta esclusivamente disprezzo e delusione, persino quando sei esente da colpe. Oppure si tratta di personificazioni di ansie e paure, solitamente silenziose. Dicono che il silenzio faccia più male delle parole, ma in questo caso, quando demoni simili si impossessano delle nostre voci, riescono a fare molto peggio.

Ho sempre pensato che il posto più sicuro per sé stessi fosse la propria mente: nessuno ti ascolta, nessuno può replicare per mettere i puntini sulle i o per silenziarti. Ma quando la tua stessa voce, che sia comandata da te o da terzi, interferisce nella tua isola fatta di riservatezza e libertà, quel posto sicuro rischia di diventare il più pericoloso.

Prima Che Piova - ordine nel disordineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora