come m'ero divertito quella sera, taehyung, nemmeno lo puoi immaginare: tra il ballare e i tuoi sorrisi, il mio cuore che d'amore non aveva mai battuto, cominciò a trascinarmi in quell'adunata di persone 'ove tu risaltavi come quella luna calante tra l'immenso d'un cielo colmo di stelle; un poeta non lo sono, e questi apprezzamenti sugli astri sono solo grazie a quella vista, sopra la collina, che m'hai mostrato poco prima del levar del sole. e mi dicesti ch'era il luogo 'ove avresti dato il tuo primo bacio - che bugiardo! - eppure a saperlo che quel lusso ch'eran le tue labbra avessero così facilmente raggiunto le mie, alla fine, non sarei parso poi così privo d'orgoglio. poco prima, eravamo incastrati tra le note di canzoni che al tempo s'infrangevano sul tuo sorriso - null'altro esisteva dopo averlo appreso - e come solo tu sapevi, ballavamo, ché gli sguardi li avremmo percepiti poi. sapevi di spensieratezza, ma nemmeno capivi cos'era tu, che poi l'ansia nella tua vita l'hai trovata tutta d'un colpo: non c'era scampo, taehyung, anche se nella minima percezione che avevo di te sapevo avessi comunque scelto ciò che pareva, ai tuoi occhi oppressi, la giusta via. eppure ti muovevi senza guardare e chissà se sarà stato quel qualcosa che poco prima t'avevano offerto o le nostre mani che si cercavano in quell'aria colma di disprezzo, che io ricordo. solo che se la disfatta di quell'intreccio avrebbe causato anche la separazione dei cuori nostri, non avrei rallentato la stretta: con la tua mano fredda d'inganno, avrei tirato un sospiro e stretto più forte. ispiravo e l'odore di alcol quasi spariva, ché il tuo profumo di quella marca così cercata s'una fragranza d'innocenza sovrastava anche il più aspro: era quello, giusto? non era il torbido odore d'un cuore bruciato, che se l'ardore avesse causato fumo tossico a me sarebbe anche parso piacevole, sia mai. ché l'importante poi non sarebbe stato il dopo, se lo struggere del mio cuore o l'allontanare dei tuoi passi, ma quello che la notte ci propose, con un bicchiere in mano e tanta voglia di osare. non osai, strafare non lo trovavo mio; cos'altro m'aspettassi però era che l'avresti fatto tu: che osavi lo mostravi, la moda era tua e con quei capelli ricci toccati un po' col gel sembravi l'essere più bello di tutta la serata. osavi esser così bello. ma non ti allontanasti dal tenermi così debolmente - quasi fossi io l'oggetto delicato - ché mi presi da una parte 'ove le musica sembrava ovattata ed io, d'incanto, t'avevo raggiunto in pista: il resto l'avevi fatto tu. e t'avevo visto da vicino, non l'avrei probabilmente mai provato se non avessi già ingoiato l'amarezza d'un alcolico o, magari, con l'incontrare i tuoi occhi ipnotici; di colore più banale non c'era, nocciolati, ma m'avevano colto di sprovvista e tra un gioco e l'altro era un brillare mi avevan catturato. non l'avessi mai fatto, che poi non li dimenticai più. poi attaccai il mio corpo al tuo, ch'eri stato tu o io non m'importava, fu solo un intreccio, e se lo targassi il più bello mi diresti d'esser pazzo. ballavamo annessi, e ci mancavamo, sia mai che cadere porti ad un bel finale. cantavi ché la voce pareva così limpida e non ti mancava l'esser così troppo: di più profondo c'era solo il mare e la sentivo mentre risaltava sulla musica, ché la vicinanza me lo permetteva e forse ne ho anche approfittato. poi solo parole offuscate, non capivo e non lo volevo fare, ché il piacere del sentirti anche solo batter il cuore, a saperti lì tremante d'impazienza, era la speranza che ho portato poi appresso. quando sentii il calore del tuo corpo allontanarsi, freddo non lo percepii, fu solo tremendo; me ne accorsi lì che ne avevo bisogno. durò poco, mi voltai e ti trovai mentre circondavi le spalle di un ragazzo: non ero io. e l'emozione che m'avevi regalato, l'avevo dimenticata; poi però tornasti, e l'avevo capito che non mi avresti abbandonato. forse fu l'illusione del momento, ché non lo sapevo ma forse tu eri bravo ad illudere; ipnotizzare lo sapevi fare. hai sorriso tutto il tempo, non sapevo come la mia bocca avesse taciuto senza alcun complimento, però forse t'era bastato il mio sguardo o l'imbarazzo d'incontrati con due occhi privi di candore. persi la cognizione del tempo, ch'era mezzanotte o le cinque del mattino non mi sarebbe importato, mi tenevi la mano ed era il momento più piacevole d'una intera vita ad osservare e basta. mi portasti su quella collina vicino al locale e le mani non avevan mai perso contatto, avevi paura di perdermi od ero io che temevo i tuoi passi? sì, avevo paura che in quel buio rimanessi solo io, e avevo ragione. non m'ero preoccupato e t'avevo lasciato fare: mi parlasti di te senza nemmeno sapere che io ero jeongguk, ed ero perso.
«taehyung mi chiamo, se te lo stessi chiedendo» iniziò: s'era seduto sulla cima di quel colle e guardava in alto. che guardasse qualche stella venuta a mancare, brillavano e magari là c'era anche ciò che ancora era nitido nel suo cuore.
«ho vent'anni» era più grande di me, io ne avevo solo diciotto e qualche accenno ad un ragazzino quattordicenne.
«mi piace la danza, e la forma d'arte ch'è la musica» l'avevo anche notato come s'era lasciato trasportare da quelle intonazioni, così sincero nei suoi passi che sembrava un quadro a cui mancavano giusto due schizzi d'un pennello.
«per questo, vorrei saper disegnare» in questo l'ero io speciale, per quanto modesta fosse quella grafite sui figli appesi in camera mia; non lo dissi che ad interrompere il suo canto poi mi sarei logorato il resto del tempo.
«mi manca una famiglia» cos'era per lui, la famiglia, non me lo disse nemmeno: io, ingenuo, capii tutt'altro. forse era solo, lasciato, ma non mi sapeva di solitudine.
«vorrei vivere da solo» era incoerente, ma mi piaceva, e forse la compagnia di quella malinconia e mancanza di beni astratti non erano ben accette.
«vorrei anche baciarti» questo forse fu un pensiero, ché fugace e il tempo di bloccarlo s'era ridotto all'impazienza. glielo permisi, forse a farmelo capire sarà stato il suo sguardo o l'impetuosa morsa che strinse il mio stomaco, che se l'avessi fatto poi sarei stato bene: non a lungo, ma quel che forse la coscienza mi spinse a tingerlo come un bisogno.
o magari era solo la conseguenza dei troppi alcolici ingeriti, chessò. io, non so mai nulla.e fu la sensazione più bella, dammi pure del pazzo, non avessi mai baciato labbra; delicato, fu, ché la tua bocca non poteva lasciar altro. era la prima sera che t'avevo visto, io un po' ti conoscevo ma tu nemmeno sapevi se realmente fossi ciò che la vita cercava o quel ragazzo in gabbia agli sbagli che aveva paura di vivere. la grinta non la lasciasti da parte, che tutto d'un tratto trovai il tuo corpo più vicino al mio, come quando ballavamo così affini; poi finì, come il peggior finale di quel film che preferivo. non avessi più parlato, taehyung, che la tua voce m'era piaciuta, sì, che con sottofondo il battito accelerato del mio cuore sotto la fotta d'un sentimento era parsa ancor più soave, però fu proprio la sentenza a rovinare quell'armonia: dicesti che avevi un imprevisto. alzai lo sguardo e al cader su te, il momento dopo, eri già in cammino; avevi i pantaloni tinti d'erba ma non te lo dissi: non volevo rovinare il momento - ché già brutto lo era - col trapanare della mia voce. da quel momento non ti vidi più.
ed ora, a distanza d'anni da quel venerdì notte, nei meandri dell'indimenticabile, te lo chiedo che non l'ho mai capito:
cosa significa "ci vediamo, jeongguk".↺
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