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Lo sentiva forte il battito del suo cuore, senza lo stetoscopio, senza strumenti. O forse lo immaginava soltanto.

Lo deduceva osservando l'arteria giugulare pulsare silenziosa sul collo; in fondo, era il suo lavoro, era ciò che faceva ogni santo giorno da quasi vent'anni.

Auscultava, in silenzio, il cuore di pazienti diversi ogni giorno, contava la frequenza dei loro battiti, senza conoscere null'altro, di chi lo ospitava in petto.

Spesso si era fermata a pensare quanto fosse buffo un particolare del proprio mestiere: in genere, quando due persone entrano in intimità, si dice che "aprono il loro cuore l'uno all'altra". Il cuore è da sempre visto come la parte più profonda, intima e preziosa, da consegnare per ultima all'altro, quando ormai la fiducia è totale.

Nel suo mondo, invece, funzionava esattamente al contrario; di quella gente Liz conosceva soltanto il cuore. Non erano che numeri su di una ricetta medica, da cui a malapena poteva risalire al nome, quei pazienti che ogni giorno affollavano la sala del proprio ambulatorio.

Eppure, dal battito del loro cuore, lei poteva dedurre così tanto: stile di vita, alimentazione, ansie, preoccupazioni.

Questa volta, il battito analizzato, non era però quello di un paziente, il che rendeva tutto più complicato.

Gli anni di esperienza le avevano consegnato una capacità così spiccata di comprendere lo stato d'animo altrui, dalla semplice osservazione delle variazioni delle condizioni cardio-vascolari, che quasi si sentiva una ladra adesso, nel rubare quei segreti a quel suo giovane assistente a cui, in realtà, avrebbe dovuto insegnarli.

Fin dal giorno in cui Didier aveva messo piede nel suo studio, presentandosi come lo specializzando che la avrebbe affiancata nei quattro anni successivi, le era stato chiaro che la propria abilità nel comprendere le sensazioni altrui, le si sarebbe ritorta contro.

Ogniqualvolta il ragazzo le si rivolgeva con quella voce calma e calda, lei percepiva chiaramente la frequenza del suo cuore aumentare sensibilmente, le mani di lui divenivano fredde, il viso arrossiva impercettibilmente; poteva quasi vederla la vasocostrizione dei suoi capillari, che la natura ha predisposto in origine come meccanismo per esser pronti all'azione.

Dopo pochi mesi, il quadro clinico del suo giovane allievo le apparve subito chiaro: si era preso per lei una cotta bella e buona.

Non c'era poi troppo da sorprendersi, pensava; tutto sommato, Liz era ancora una bella donna. Aveva da poco compiuto 40 anni, e i suoi capelli mossi, sempre in disordine sulle spalle, non si erano ancora tinti di bianco.

Certo, non era quello che poteva definirsi una donna dal fascino maturo; a differenza delle colleghe, non amava tacchi, giacche e tailleur, e non ero insolito vederla trotterellare tra le corsie dell'ospedale in Jeans e scarpe da tennis, i capelli mai in piega e, se la mattina era particolarmente in ritardo, perfino senza trucco.

Sembrava più un'adolescente un po' troppo sfiorita, che uno dei più rispettabili cardio-chirurghi del panorama nazionale.

Così come la infastidivano orpelli e belletti estetici, la urtavano ipocrisie e falsità nelle relazioni umane; forse era proprio questo che attraeva tanto quel giovane studente che, con il suo bell'aspetto, i grandi occhi scuri e il fisico prestante, poteva di certo ambire a una ben più fresca e attraente donzella.

Invece, si erano trovati subito quei due, allievo e maestra, per qualche strana e ingiusta alchimia che di certo ignorava le leggi naturali di massimo profitto, con il minimo sforzo.

Entrambi appassionati nel proprio lavoro, dediti alla medicina sopra ogni cosa, passavano intere giornate tra le mura di quell'ospedale, fianco a fianco, visitando, studiando e tentando di fare al meglio ciò per cui credevano di essere nati: salvare delle vite.

Oltre la nebbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora