Prologo: all'epoca ero solo una bambina

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Silenzio. Solo silenzio. Si sentivano solo i tuoni del temporale. Era notte fonda.

Arias non riusciva a prendere sonno. Quella stessa notte, all'alba, sarebbe dovuta partire per San Francisco per iniziare l'addestramento da militare.

Avrebbe dovuto farsi una bella dormita, almeno in quelle poche ore che mancavano alla partenza, ma non riusciva comunque ad assopirsi.

Pensava ad Edward. Quel figlio di puttana che l'aveva lasciata per una ragazza, come diceva lui, più "femminile".

Si chiamava Mei. Aveva 19 anni e andava in un ottima università. Edward l'aveva conosciuta nel bar di fronte casa sua e da lì non si erano più lasciati.

'Che stronzo' pensò Arias dando un pugno al muro.

Un altro tuono. Arias aveva il viso rigato dalle lacrime. All'improvviso aveva paura di partire. Voleva rimanere a Dallas e non sentire mai più San Francisco.

Ci fu un colpo di vento fortissimo, tanto forte che le finestre si spalancarono, facendo entrare pioggia e foglie degli alberi nella stanza di Arias.

Lei si alzò dal suo letto e andò a chiudere la finestra. Guardò l'orologio: mancavano 3 ore alla partenza.

Arias decise di riprovare ad addormentarsi. Finalmente chiuse gli occhi e svuotò la mente da tutti quei pensieri per almeno 1 ora.

Poi suonò la sveglia. Arias si alzò di soprassalto e per poco non cadeva giù dal letto.

Il temporale si era calmato; ora era solo una semplice pioggerellina di autunno.

Arias si era appena ricordata di non aver preparato le valige. Tra due ore doveva essere all'aeroporto e aveva ancora tutta la casa da sistemare.

Uscì dalla stanza pigramente e andò in bagno.

Si guardò allo specchio, appoggiandosi sul lavandino: "Arias accettalo." si disse sospirando. Si sciacquò il viso e si sistemò i capelli nero corvino in una semplice coda.

Bussarono alla porta. 'Chi sarà a quest'ora' si chiese Arias sbuffando. Essendo ancora in pigiama, si avvolse in una vestaglia rossa e aprì la porta.

Era Edward.

"Che vuoi da me a quest'ora?" chiese Arias senza neanche guardarlo in faccia.

"Sono venuto a salutarti"

"Salutarmi un corno!" urlò Arias dando uno schiaffo ad Edward.

"Mi dispiace..." disse Edward toccandosi la guancia su cui era rimasta il segno della mano di Arias.

"Muori!" urlò lei sbattendogli la porta in faccia. Non aveva voglia di sentire le scuse di una persona che l'aveva lasciata per la sua 'non femminilità'.

Arias accese i fornelli della cucina. Aveva solo il tempo di mangiare qualche uovo e poi si sarebbe dovuta vestire.

Divorò le sue uova strapazzate in meno di cinque minuti e corse in camera per vestirsi.

Indossò una semplice maglietta bianca e dei leggings blu. Subito dopo corse in salotto a recuperare la valigia.

Si fermò di soprassalto. Frenò così bruscamente che sbatté lo stomaco sul divano tanto forte che non riusciva neanche più a respirare.

'Diamine oh! Così faccio tardi!' Pensò Arias ancora senza fiato.

Si rialzò lentamente e guardò il quadro sopra il divano: c'erano ritratti lei e suo fratello Mateo quando avevano 9 anni. Arias si bloccò sugli occhi del fratello: un verde primavera, che non vide mai più dopo quella foto.

Scosse il capo cercando di non pensarci, prese la valigia e tornò nella sua stanza.

Il silenzio che c'era in quella casa la stava uccidendo, così decide di mettere un po'di musica dallo stereo.

Aprì l'armadio. Vi trovò la sua divisa verde scuro da militare. La prese con forza e la buttò nella valigia. La chiuse e la portò davanti alla porta.

Prese infine un giubbetto nero, il suo cellulare e la foto del fratello e raggiunse la porta di casa.

'Spero che un giorno ci rivedremo' si disse Arias guardando il suo appartamento. Lo salutò con la mano, come se ci fosse qualcuno e si chiuse la porta alle spalle.

Arias si fece coraggio e scese le scale per arrivare al portone del palazzo. Salutò tutti i suoi vicini che ricambiavano con dei dolci, dei fiori oppure dei semplici "stai aiutando la nazione".

Fuori al portone l'aspettava il taxi. Corse verso lo sportello già aperto e si rassegnò a lasciare tutto quello a cui si era legata. Chiuse gli occhi. Una lacrima uscì dall'occhio destro.

'Accettalo' si disse sospirando.

Il taxi partì. Era ancora buio, ma fra poco avrebbe potuto ammirare l'alba dal suo aereo.

Arias aveva sempre amato vedere l'alba. Da bambina il padre accompagnava lei e suo fratello, tutti i weekend, ad ammirare l'alba. Era sempre bellissima. Passava dal colore giallo all'arancione e poi arrivava il giorno tanto velocemente che avresti voluto tornare indietro nel tempo e rivivere quella bellissima esperienza. Era quello il bello di vedere l'alba.

Ecco l'aeroporto. Imponente.

Arias prese i suoi bagagli e corse dentro.

C'erano tantissime persone. Proprio tante. Lì Arias si sentiva un po' sola, per meglio dire. Vedeva tantissimi ragazzi che abbracciavano i genitori, nonni che salutavano i nipoti, amanti che avevano appena avuto una relazione a distanza, oppure dovevano salutarsi.

Si era raccomandata di non pensare al passato e di non accettarlo, così iniziò a fare il Check-in dei bagagli. A quanto pareva era riservato un volo per i membri della marina militare che partivano oggi. Arias ne approfittò e prese quell'aereo.

Passarono un paio di minuti e poi poté salire sull'aereo. 'Non posso tornare indietro'.

Si maledì milioni di volte per aver scelto quel mestiere. Non si ricordava più il motivo per cui lo aveva scelto. All'improvviso le mancava la vita che voleva fare da piccola.

"Da grande sarò una principessa e governerò il mondo" diceva sempre da piccola a suo fratello prima di andare a dormire.

'All'epoca ero solo una bambina' pensò di nuovo Arias. Poi trovò il suo posto e si rassegnò a partire per San Fancisco.

Sole a mezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora