𝘩𝘰𝘮𝘦

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Appena concluso il proprio lavoro, Remus si strofinò gli occhi, sfiorando le cicatrici del suo passato, segno della sua natura.
Aveva sempre odiato se stesso da quando ne aveva memoria, o perlomeno da quella notte gelida di gennaio del  1965, quella che avrebbe stravolto tutta la sua esistenza.
Non ricordava i dettagli, anzi, gli erano stati raccontati dai genitori solo una volta cresciuto, ma questi non avrebbero cambiato gli avvenimenti di ogni luna piena; dare loro peso sarebbe stato come piangere sul latte versato, una vendetta non avrebbe portato niente con sé, se non il vuoto e quello nel suo petto, talvolta, sembrava incolmabile.
La vita del mezzosangue, però aveva preso una piega migliore una volta ricevuta la visita di Silente quel 1971, prima del suo undicesimo compleanno: Hogwarts lo attendeva e lì, chissà, avrebbe trovato qualche viso, qualche sorriso, magari anche qualche amico ed una spalla su cui piangere.
Non si sbagliava poi tanto.
A Hogwarts aveva trovato degli amici, i primi in assoluto, qualcuno che lo proteggesse e si preoccupasse delle sue trasformazioni mensili, aveva trovato materie affascinanti da studiare e cibi deliziosi e caldi da condividere coi propri cari.
Remus avrebbe sempre ricordato col sorriso il loro primo incontro.
Aveva trascorso il viaggio in treno con un certo Peter, in un vagone non troppo illuminato ma accogliente, tra una cioccorana e l'altra. Avevano riso e chiacchierato dei più grandi maghi di tutti i tempi, si erano divertiti ad assaggiare qualche gelatina tuttigusti più uno (Peter non era stato poi tanto fortunato, gli era capitato ben due volte il gusto vomito!) e avevano scambiato pareri sui libri di testo letti durante le settimane precedenti.
Una volta arrivati a destinazione, lo Smistamento aveva rivelato le Case dei nuovi studenti. Remus si sentiva osservato tra tutti quei maghi, sicuro che le sue cicatrici dessero da pensare. Ma il suo umore poté solo migliorare quando il Cappello Parlante rivelò la sua appartenenza a Grifondoro e i compagni lo accolsero con urla di gioia e abbracci: si sentiva accettato, anche se ignari del suo segreto.
Remus prese posto al tavolo della propria Casa, proprio di fianco ad un ragazzo dai capelli lunghi, con qualche riccio qua e là, le ciglia lunghe e gli occhi di chi ne sa una più del diavolo; gli sorrise, genuino, e si scoprì a perdere un battito quando l'altro ricambiò, luminoso.
Durante la cena il mezzosangue non solo fece la conoscenza del ragazzo riccioluto, Sirius Black, ma anche quella di James Potter (con il quale Sirius aveva stretto amicizia nelle poche ma entusiasmanti ore di treno, così aveva detto), ai quali fece conoscere Peter, tra una portata e l'altra.
Arrivati al dormitorio, la prima sera, nessuno dei quattro riuscì davvero a chiudere occhio; tutti preferivano stare svegli, quella notte, raccontarsi, conoscersi. L'emozione di un'amicizia era stata tanta da tenerli attivi, anche Remus, che non smetteva di sbadigliare dalle otto di sera.
Era stato un incontro magico; una magia indescrivibile, che il piccolo Lupin non aveva mai visto prima di quel momento, ma che avrebbe custodito gelosamente gli anni a venire.
Gli anni a Hogwarts erano stati uno spettacolo dopo l'altro. Sirius e James sapevano essere dei veri bulletti delle volte e per loro era un vero e proprio gioco da ragazzi far infuriare i professori e fare monellerie di ogni genere, come se fosse stato scritto nel loro dna. Il giovane Lupin non supportava i loro modi di fare, ma preferiva ignorarli piuttosto che combatterli: era loro abbastanza grato per essergli amici, non voleva dire addio anche a quel poco di ‘normalità’ e accettazione di cui per una volta tanto si sentiva parte.
Remus ricordava che ogni mese, durante la luna piena, era costretto a scappare da Hogwarts per dirigersi verso la Stamberga Strillante dove sopportava in solitudine la sofferenza della trasformazione, costretto a dare ai suoi amici scuse banali e sempre più assurde. Ogni mese diventava più dura e un giorno, durante il loro secondo anno, Potter e Black scoprirono il suo segreto lasciando in un primo momento il mezzosangue spaventato da un loro possibile abbandono. Eppure, le loro braccia lo strinsero forte in un abbraccio, confortandolo; non era solo.
Remus trascorreva ogni Natale a scuola insieme a Sirius, il quale detestava l'idea di tornare a casa, al numero dodici di Grimmauld Place. Il lupo mannaro gli teneva volentieri compagnia e in questo modo poteva tenere d'occhio lui e le sue malefatte.
Proprio un Natale, durante il quarto anno, Remus realizzò che tutti quei brontolii allo stomaco in presenza dell'altro non erano segni di fame, né il suo battito accelerato era segno di un presunto e sempre più vicino attacco di cuore e nemmeno l'odore di benzina, menta e pancake con succo d'acero della pozione Amortentia, che di tanto in tanto gli studenti creavano e vendevano in segreto all'interno della scuola, pensandoci, sembrava una coincidenza.
Ma proprio quando si era deciso a parlargliene, a cercare di capire insieme perché si sentisse così nei confronti di un amico, ecco che si ricordò della luna piena vicina e, rimandando quell'argomento alla prossima volta, si rifugiò dove l'amico e chiunque a scuola sarebbe stato al sicuro e lontano da lui e dalla creatura selvaggia che risiedeva dentro di sé.
Era dura vedersela da soli, dover lottare contro se stessi per il bene degli altri, sentirsi dei mostri e mai all'altezza delle persone che lo circondavano.
Anche quella volta, quando tutto sembrava essere finito, con le poche forze ancora in corpo, tornò al dormitorio di Grifondoro, dove ad aspettarlo vi era Sirius. Aveva delle occhiaie terribili e gli occhi rossi di chi ha pianto per tanto, tanto tempo, sembrava preoccupato e teneva stretto tra le mani, tremolanti, un kit di pronto soccorso. Gli sorrise, un po' triste, e gli fece cenno di sedersi con lui sul letto; Remus si vergognava particolarmente della sua presenza, dei suoi nuovi graffi, dei tagli e del sangue secco che li circondava, ma eseguì comunque gli ordini.
Uno di fronte all'altro, con solo le prime luci del giorno a illuminare i loro volti e nessuno a disturbarli, Sirius si fece avanti con del cotone e del disinfettante in mano, pronto a tamponare le ferite ancora fresche dell'amico. Era così vicino che per il giovane Lupin fu impossibile non fissare il proprio sguardo sulle labbra dell'altro, leggermente screpolate, chiedendosi come potessero essere al tatto, come sarebbe stato averle sulle proprie, che sapore avessero.
Sirius si mordeva il labbro inferiore, concentrato: Remus era così abituato al bruciore del contatto tra le ferite e il disinfettante che ormai non se ne lamentava più da qualche mese.
Il ragazzo riccioluto, però, sembrava aver notato l'attenzione che gli stava dando il mezzosangue e, come a chiedere un permesso silenzioso, smise di medicare le sue ferite per avvicinarsi ancora di qualche centimetro, almeno quanto bastasse per sentire il fiato dell'altro sul proprio viso e per permettere alle loro fronti di sfiorarsi. Nessuno dei due si mosse: uno indeciso sul da farsi, senza sapere se la sua richiesta fosse stata ricevuta o meno, l'altro incredulo e immerso in quel desiderio quasi proibito. Era normale desiderare di baciare il proprio amico? Avrebbe provato questo stesso sentimento anche per James e Peter? Era quasi sicuro che non sarebbe successo.
Remus si sporse verso Black, sfiorò il suo naso col proprio e li fece strofinare tra loro in modo affettuoso, come a volerlo salutare come fanno i lupi, come se fosse una cosa naturale, un gesto semplice ma ricco di affetto.
Sirius si lasciò sfuggire uno sbuffo e un sorriso e, chiudendo gli occhi, seguito dal suo compagno, eliminò quella poca distanza rimasta lasciando che ognuno assaporasse l'altro.
Sapeva di menta fresca, ecco di cosa sapeva Sirius Black. E come dimenticare il sapore di una persona come lui.
Remus avrebbe voluto non smettere mai di baciarlo, avrebbe voluto sentire sempre quella menta mischiarsi al suo sapore, sentire l'aridità delle sue labbra e il pungere leggermente, essendo screpolate e ricche di morsi. Sotto sotto, avrebbe voluto morderle lui stesso.
Accarezzò il suo viso come fosse di cristallo, fragile eppure dall'aspetto così forte: lo voleva più vicino a sé, lo voleva per tutto quel tempo in cui non lo aveva avuto, o non aveva avuto il coraggio di averlo.
Era stato così facile, così naturale ammettere, successivamente, a se stesso e a Sirius quanto gli piacesse. Era stato naturale, l'estate successiva, dopo mesi di frequentazione, pronunciare il primo 'ti amo'. Era stato naturale stringersi le mani nei corridoi di scuola, intrecciando le dita, darsi la buonanotte con un bacio sulla fronte e svegliarsi con un bacio sulle labbra, con le voci ancora impastate dal sonno. Ed era stato ancora più naturale ammettere a James e Peter di non essere più solo amici.
Durante il quinto anno i suoi amici erano riusciti a diventare Animagi, questo frammento di memoria Remus lo ricordava assai chiaramente e sempre con il sorriso stampato sulle labbra. Non doveva più sentirsi solo durante le lune piene, perché non lo era. Non lo sarebbe più stato.
I suoi amici lo avrebbero sempre accompagnato alla Stamberga Strillante, avrebbero impedito quanto più possibile che si facesse male, ma soprattutto gli avrebbero tenuto compagnia fin quando non sarebbe stato meglio; anche se ciò avrebbe significato non dormire e presentarsi alle lezioni della mattina seguente con le occhiaie sotto agli occhi e l'impossibilità di ascoltare anche solo una parola degli insegnanti (specie il signor Binns, il professore di Storia della Magia).
La vita sembrava così facile, così felice durante quegli anni, che Remus si era quasi dimenticato quanto fosse stato bene in passato.
Proprio durante quegli anni, James e Sirius, pronti a nuove malefatte e sempre più ingegnose, proposero la creazione di una mappa che permettesse loro di conoscere tutte le scorciatoie e le parole d'ordine in caso di stanze chiuse al pubblico, ma anche di individuare le persone all'interno del castello, anche in forma di Animagi e invisibili.
Insieme ci riuscirono, ma nemmeno il tempo di finire il settimo anno e nasconderla da qualche parte per i loro futuri eredi, che ecco Filch a confiscargliela.
Remus amava ricordare i bei tempi della scuola perché essa gli aveva permesso di conoscere gran parte delle virtù che lo avrebbero accompagnato per tutto il resto della sua vita, e gli aveva permesso di conoscere sentimenti da lui non provati prima di allora, e di fare conoscenze speciali, di quelle che ti segnano per sempre.
Sirius, James e Peter.
Tre amici, speciali ognuno a modo loro. Sirius lo aveva sempre compreso, non solo perché più di amico, ma perché sapeva cosa significava essere diversi: lo aveva vissuto sulla propria pelle, nella sua famiglia.
James era un grande burlone, anche se la presenza di Lily nella sua vita era riuscita a fargli mettere la testa a posto; sempre pronto a difendere i propri amici, a consolarli se tristi, a farli ridere e Lupin gliene era grato, perché era difficile a volte ridere senza il suo aiuto.
Peter era un ottimo ascoltatore, non amava parlare né agire: sapeva ascoltare ed eseguire bene gli ordini che gli venivano imposti; ma questo non lo rendeva meno un buon amico agli occhi del mezzosangue, anzi, era stato il suo primissimo amico e sarebbe stata una bugia dire il contrario. Remus gli aveva voluto bene dal primo istante.
Eppure dopo gli anni a Hogwarts, tutto sembrava essere caduto a pezzi. Tutto ciò che avevano costruito era stato demolito. Lily e James erano morti e di loro non rimaneva che il ricordo e un dolce figlio, che Remus aveva avuto la gioia di conoscere due anni prima, confermandosi la loro copia, sia fisicamente che caratterialmente.
Peter si era finto morto per anni, per poi rivelarsi un seguace del Signore Oscuro, dopo aver condannato Sirius a dodici anni di solitudine ad Azkaban, la prigione dei maghi, senza nessuno a credergli sulla parola.
E quando aveva riscoperto la sua innocenza, Remus era al settimo cielo: non era più solo, aveva una casa, la stessa casa degli anni di Hogwarts; la stessa casa che aveva atteso per tutti quegli anni.
Tornare a casa tardi dopo aver fatto gli straordinari per l'Ordine della Fenice ormai non era una novità.
Le stradine di Londra, nella fioca luce dei lampioni, erano particolarmente belle quella notte: viste in lontananza, sembravano una lunga distesa di natura, avvolta nelle luci delle lucciole.
Ma non tutto ciò che si immagina, non tutto ciò che si sogna, non tutto ciò che si desidera è realtà.
E Remus lo aveva capito da tanto tempo.
Il numero dodici di Grimmaul Place era davanti a lui. Bastava aprire il portone per essere avvolti dalle feste e dalle mille domande di Sirius: lo faceva ogni giorno.
Voleva sapere dove fosse andato, chi avesse incontrato, se ci fossero stati problemi a Hogwarts perché Harry non sempre gli diceva tutto e lo preoccupava assai.
Eppure, quando aprì il portone e annunciò il proprio arrivo, nessuno gli fece le feste, non ci fu una sola domanda, non un bacio, né un saluto.
Remus salì le scale, raggiunse la camera da letto e si lasciò sprofondare sul materasso, il letto ancora sfatto.
Lupin annusò le lenzuola, stringendole forte con le mani e lasciandosi sfuggire un sospiro e una lacrima.
Avevano ancora il suo odore: benzina, menta e pancake con succo d'acero appena sfornati.
Ma lui non c'era.
Remus non aveva più una casa dove rifugiarsi.

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