1.Le mani di Namid iniziarono a tremare senza sosta. Una febbre pareva averla colpita tutt'un tratto e quasi faticò a mettere a fuoco le immagini davanti a sé. Therese, dall'altro capo del tavolino, notò subito il cambio di reazione e la fissò preoccupata.
«Nami? Che hai? Stai bene?»
Facendosi scudo con poche ciocche dei lunghi capelli neri, Namid inforcò gli occhiali e provò a sorriderle.
«Sì... sì... è tutto okay...»
Therese ruotò gli occhi all'aria, ma preferì non chiedere. Sorseggiò un po' il suo mocaccino, poi poggiò il bicchiere sul piano del tavolinetto e guardò per l'ennesima volta quell'ammasso di appunti brutti che mai aveva imparato a migliorare durante i suoi cinque anni d'università. Quel quaderno era un pasticcio. I bambini delle elementari a cui aveva dato ripetizione avevano quaderni più ordinati dei suoi.Di tanto in tanto, però, non mancò di lanciare qualche occhiata alla collega. Namid era in un bagno di sudore. Dietro le sue guance mulatte pareva vi battessero due piccoli cuoricini. Quei grandi occhioni scuri si nascondevano spesso in ogni dove, ma dentro la caffetteria vicino l'università si perdevano in luoghi lontanissimi e inaccessibili.
Therese si rigirò la penna fra le mani. Namid fingeva di leggere e da dietro le ciocche lanciava occhiate verso il bancone della caffetteria.
Il tappo blu della penna finì fra i denti di Therese. Quel brutto vizio di mordicchiare ogni cosa non l'aveva mai mollata, nemmeno a pochi giorni dal suo trentunesimo compleanno.
«Namid» la chiamò con una certa impazienza nella voce. L'altra non parve sentirla nemmeno.
«Na-mid...»
«S-sì?!» cinguettò sollevando le spalle che ormai stavano per rasentare il suo quaderno di appunti.
Therese inforcò i propri occhiali e portò una ciocca rossiccia dietro l'orecchio. Si schiarì la voce, ma parlò con un tono basso -più per non far spaventare la ragazza che per riservatezza.
«Ma dimmi un po'... ho notato una certa cosa...»
Ed eccoli lì, quei cuoricini che quasi scoppiettavano dai suoi zigomi. Gli occhi di Namid si spalancarono. Erano tanto scuri che tuffarvisi dentro sarebbe stato come fare il bagno in un mare caldo, in piena notte.
«Quando siamo qui, è impressione mia o diventi più nervosa?»
Therese bevve un altro sorso di mocaccino che sperò servisse a darle un po' di tempo nel trovare una risposta; come, però, capitava spesso quand'era il turno di Namid di parlare, lei tacque. Se ne rientrò nel suo guscio di tartaruga e finse di non aver sentito nulla.
Therese si guardò attorno.Frequentavano la caffetteria da un paio d'anni, ormai, e ricordava che, all'inizio, nulla in Namid si avvicinava a reazioni come quelle che, da un annetto a quella parte -e con più insistenza da pochi mesi a quella parte- la sconvolgevano tanto da farle riprender parola solo una volta uscite da lì. Era sicura, quindi, che il problema stesse proprio lì dentro.
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When birds sing under the dancing stars {LGBT+ 🌈} [OneShot]
Short Story«Fece per pronunciare il suo nome, ma quello le rimase ingabbiato fra le labbra.» O voi che sostate davanti questa storia, entrate, prego, accomodatevi pure...