" second petal "

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Venerdì 7 Agosto ; ore 20:07

Piove.

Sin da quando mamma portava me e le mie sorelle al parco, ho sempre avuto questa particolare attrazione per la pioggia.

Ricordo il suo profilo, quei morbidi lineamenti, quando la vedevo mentre con volgare innocenza mi dondolavo sull’altalena, accanto a mia sorella più piccola Lottie.

Piccole gocce d’acqua le bagnavano il viso, che alzava preoccupata verso il cielo, maledicendolo. Si girò verso di noi, poi, chiamandoci per tornare a casa.

Io ci mettevo sempre un po’ di più a scendere, a differenza di mia sorella che si fiondava precipitosamente tra le sue braccia, perché il tocco gentile che accompagnava il mio corpo mentre tentavo di fermarmi lentamente, mi rilassava, provocando in me anche qualche forte brivido lasciandomi puntualmente meravigliato.

Dopo aver assaporato quell’acqua fredda e dolce per un paio di secondi, poggiavo prima il piede sinistro, poi il destro, in quel suolo terroso ormai fradicio, e proseguivo, dietro a mia madre, tranquillo, osservando il cielo.

E pensare che, gocce così piccole, formano il mare.

Di quella camminata ricordo che, quasi a metà strada, cominciò a tuonare.

Vidi le mie sorelle aggrapparsi alla forte figura di mia madre, una di loro in braccio, mentre aumentavano il passo verso casa, poiché non avevamo con noi neppure l’ombrello. Io, a differenza loro, continuavo a camminare esattamente come prima, stessa andatura, stessa spossatezza. Ho sempre amato la pioggia, in qualsiasi condizione, e credo d'esser diventato ripetitivo.

Ormai eravamo a casa, ed io, totalmente zuppo dalla testa ai piedi, non volevo entrare.

Mi piaceva quel temporale d’Agosto, era come un avviso, un rimprovero, un mio oroscopo alternativo, anche perché fu stato l’unico così forte in tutto l’anno, sino all’estate dopo. Poi mia madre scomparse. In Agosto.

Ho sempre amato la pioggia, perché sa parlare.

Quel temporale venne una settimana dopo che andammo nella cosiddetta “casa dei ricchi”, questo lo ricordo più che bene. Credo di possedere una memoria tutta mia. 

Ora sono in casa. In camera mia, di preciso.

Mi trovo davanti alla finestra. L’ho spostata io la scrivania qui davanti, perché il muro non mi piace, è troppo spento.

Sono davanti alla finestra, e fuori piove.

E’ presente ancora quell’albero, fuori, proprio dinanzi a me. C’è sempre stato, ed anche se sembrerò pazzo nel dirlo, l’ho sempre considerato un fratello, e poi lo conosco solo io. E’ cresciuto con me, nessuno può toccarlo.

Le sue foglie si muovono fin troppo velocemente, creano una danza solo di loro appartenenza. Giocano, parlano, si sfiorano, riaffiorano ricordi.

Sono verdi, ricordi verdi.

Come i loro occhi... come i suoi occhi.

Sto pensando a delle sensazioni, le sensazioni che provo quando penso a quel bambino dai capelli ricci. Dovrebbe aver dieci anni, oramai. Penso ai suoi occhi brillanti e mi chiedo: “Chissà com’è, chissà cosa pensa, chissà se si ricorda. Chissà se si ricorda di me.”
E’ stato così fin da subito, ha scaturito subito strane sentimenti, in me, ed io continuo ad incolpare la sua maledetta risata. Mi è rimasta, è rimasta con egoismo a bighellonare tra i miei pensieri più folli; un suono cristallino e limpido come l’acqua dei fiumi, come il rumore del mare in tempesta od una melodia al pianoforte.

Non che m’importi, non che io dia troppo pesa a questi miei pensieri.

Penso a quel bambino, ormai già più grande, e mi tormenta quasi fosse sempre giorno, come se ci fosse sempre luce, come se lui rappresentasse qualcosa di talmente splendente da assomigliare persino al sole. Ma io amo la pioggia, come posso mandarlo via? Ad essere totalmente onesto, non mi sono mai concentrato su questi vecchi ricordi. Le trovo semplici memorie. Non sopporto il vuoto quando piove, perché lui mi ricorda le belle giornate; e questo mi fa schifo.

Guardo avanti, l’albero, le foglie, il verde, i suoi occhi.

Chissà dov’è.

Ma perché, il sole?

Non posso paragonarlo alla luna, i suoi modi di fare erano talmente allegri e spontanei, quasi da far paura, da spaventare me.
Fatico a credere che un piccolo erede di una grande famiglia non sia viziato e super-coccolato dai parenti, forse, anche per questo, mi è rimasto così ben impresso nella mente, affascinando la parte più paurosa di me.

Sembrava un principe, un principe circondato da giocattoli d'ogni tipo e dimensione. Mi piacevano le sue cose, ed insieme, passavamo la maggior parte del tempo ad osservare i suoi cesti colorati colmi di divertimento. 

Alzava lo sguardo su di me e non appena la mia freddezza si scontrava con la sua purezza aggrottava la fronte, di poco, perchè so bene tutt'ora che in realtà non voleva esprimere in alcun modo i suoi veri pensieri, ed era questo che più mi inquietava di quel piccolo aristocratico: i suoi occhi non mentivano mai, i suoi occhi parlavano di verità, ma l'espressione del suo viso, così pacata e vellutata nascondeva un mondo impercettibile.

Un mondo nascosto a tutti, un mondo che io volevo scoprire ed avrei scoperto. 

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