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Lo osservava da bordo campo, come al solito.
Avevano sempre giocato insieme, anche se era decisamente il più scarso dei due, gli piaceva la sicurezza causatagli dalla presenza del più alto, anche se non si impegnava.
Dopo la batosta che gli aveva dato il fratello, sembrava essersi ripromesso di non impegnarsi più in niente, gli dispiaceva e lo faceva infiammare insieme. Prese il suo quadernetto nero dalla borsa prima di scrivere la data di quel giorno e di disegnare velocemente la mano dell'amico mentre riceva la palla. Sotto, in corsivo, aggiunse la solita nota:
"Vorrei che mi toccassi con la stessa delicatezza con cui tocchi la palla"
Poi, svelto, rimise il quaderno nella tasca interna della borsa, non voleva che qualcuno lo notasse, costringendolo così a rivelare il suo segreto.
Il coach fischiò proprio quel momento, mettendo così fine all'allenamento e mandando i ragazzi a cambiarsi. Come al solito Tsukishima era rimasto indietro, non gli andava di interagire con gli altri.
Si cambiò in fretta ed uscì dallo spogliatoio. Mentre aspettava l'amico per percorrere la solita via decise di accendersi una sigaretta. Non era una cosa che faceva spesso e, certamente, non era un vizio per lui, in quanto questo gli avrebbe sicuramente sottratto il posto da titolare in squadra, più che altro gli piaceva vedere la cenere cadere lentamente e volare in picchiata, fino ad adagiarsi sul terreno. Gli ricordava che prima o poi tutto doveva finire, e di non affezionarsi troppo.
Nello stesso momento in cui si decise a spegnere il mozzicone, il ragazzo più basso uscì dalla stanza tutto trafelato, con il borsone grande quasi quanto lui appoggiato sulla spalla. Si era accorto che ormai da qualche mese, durante ogni allenamento, tirava fuori un piccolo quaderno nero e ci scribacchiava sopra qualcosa, nascondendo tutto prima che qualcuno potesse notarlo, aveva però deciso di non invadere la sua privacy e di lasciar perdere.
"Tsukki dovresti smetterla con questa roba..." gli disse l'altro rivolto alla sigaretta che ormai giaceva inerme a terra
"Non importa, con tutti gli idioti che mi circondano, sicuramente non sarà questo a uccidermi"
Non si guardarono, camminarono in silenzio uno di fianco all'altro, non era un silenzio imbarazzato, entrambi erano immersi nei loro pensieri e la quiete che li circondava non faceva altro se non rilassarli. Si salutarono al solito bivio e, una volta inserite le cuffie, Tsukishima si allontanò senza parlare, lo sguardo dell'altro incollato alla schiena.

Lo guardò, mentre veniva inghiottito dalle tenebre, prima di dirigersi a sua volta nella propria abitazione, salutò frettolosamente sua madre prima di buttare malamente lo zaino e la borsa degli allenamenti in camera e rifugiarsi sotto la doccia, dove rimase una buona mezz'ora.
Quando finalmente uscì dal bagno l'odore di tempura aveva completamente invaso la casa. Yamaguchi sentì il suo stomaco brontolare e si recò in cucina, il suo piatto era l'unico presente sulla tavola, quando mise piede in sala da pranzo, la cosa lo lasciò abbastanza interdetto visto che di solito lo aspettava sempre per la cena, ma non si preoccupò troppo e si sedette a mangiare in silenzio.
Era squisito, come al solito, e una volta finito andò in cucina per lavare le posate.
Si era appena affacciato al lavandino quando un brivido gelido gli salì per la schiena.
Il suo quaderno giaceva sul ripiano, aperto sulla pagina di quel giorno, non era stato strappato o bagnato o cose del genere eppure la paura si impossessò di lui in un attimo: quel quaderno richiudeva tutti i suoi pensieri più profondi, se qualcuno l'avesse letto, per lui sarebbe stata la fine.
Lo cacciò con poca cura sotto la maglietta prima di andare in cerca di sua madre. Lei stava con le mani serrate alla cornice della finestra che dava sulla strada, non si era accorta della presenza del figlio, così quello fece un passo nella sua direzione, facendo scricchiolare le assi del pavimento.
"Vattene" sussurrò la donna, la voce tradiva il fatto che aveva pianto.
"Vai via da questa casa" disse ancora, questa volta con tono un po' più fermo.
"Mamma..." provò a dire il ragazzo, al che la donna si voltò di colpo.
"È un ragazzo, Yamaguchi, è il tuo migliore amico, non sai la vergogna che porteresti sulla nostra famiglia se si dovesse venire a sapere." Quelle parole non se le aspettava, non dalla donna che lo aveva cresciuto, insegnandoli che amore è amore ed è bello in tutte le forme. Era sempre stato un ragazzo incline alle lacrime e, quella volta, non fece differenza. Entrambi piangevano ora, la donna in maniera silenziosa, mentre il figlio tratteneva stento i singhiozzi.
"L'importanza del nostro nome, le regole che tue padre ha sempre rispettato con severità, non ti permetterò di buttare tutto al vento solo perché ora lui non è più con noi".
"Mamma io... Io farò in modo che nessuno lo venga a sapere" riprovò il figlio con voce tremolante.
"Lo sanno già tutti, Yamaguchi, parlano di noi alle nostre spalle, lo so" disse lei con una nota d'isteria nella voce. Da quando il padre di Tadashi era morto, qualcosa nella sua testa non funzionava più allo stesso male. Il dolore l'aveva resa pazza, al punto di rifiutare qualsiasi contatto col mondo esterno –che fosse una passeggiata o la necessità di comprare qualcosa da mangiare-, si era tappata in casa, l'unica amica di cui aveva bisogno era se stessa. "Ti prego di prendere le tue cose e andartene, ora, sono sicura che il tuo caro Tsukishima non avrà problemi ad ospitarti a casa sua" concluse, lasciando la stanza. Pazza. Eppure, non sapendo come reagire, l'assecondò.
Il ragazzo, singhiozzando, si diresse verso la propria camera, aprì la borsa degli allenamenti prima di riporci la divisa usata la sera stessa, riempendola poi con il resto dei sui vestiti, qualche soldo, fotografie e una coperta. Rimise poi nello zaino le cose di scuola e il maledetto quaderno nero, dal quale proprio non riusciva a separarsi. Richiuse tutto a fatica, si mise il cellulare in tasca e uscì di casa, l'unica cosa certa, era che non sapeva dove andare.
Dopo aver camminato per un paio d'ore si trovò all'ingresso di un parco, non lo riconobbe subito, ma era lo stesso parco in cui lo portava suo padre prima di ammalarsi, sorrise tristemente ed entrò, alla ricerca di una panchina. Il sole era calato da tempo e, nonostante il freddo, voleva solo stendersi e dormire, dando termine a quell'orribile giornata.
Alla fine rinunciò e si sdraiò direttamente sul prato, estrasse la coperta dalla borsa e contò le stelle, fino ad addormentarsi.

Il mattino dopo i suoi occhi si dischiusero che era appena l'alba, si guardò intorno spaesato prima che i ricordi della sera precedente lo investissero in pieno. Si trattenne per non piangere, cambiandosi velocemente d'abito dietro un grosso faggio, recandosi poi a scuola.
Non aspettò il biondino all'ingresso come era solito fare, e si diresse direttamente in aula, poggiando poi la testa sul banco e aspettando così l'inizio delle lezioni.
Il biondo lo raggiunse qualche minuto dopo, facendolo così destare dal dormiveglia in cui era calato e costringendolo a regalargli un sorriso tirato per non attirare sospetti.
Passò il resto della giornata facendo di tutto per comportarsi normalmente e nessuno gli fece domande, cosa che lui interpretò positivamente.
Durante l'allenamento, però, sembrava distratto, si era limitato a sedersi a bordo campo, osservando i suoi senpai giocare con determinazione. Non era mai riuscito a imporsi su nulla, era sempre stato molto timido e l'unica cosa che aveva fatto sì che si aprisse con Kei, trovando finalmente un amico, era stato l'intervento di quattro bulleti che, senza saperlo, gli avevano fatto un grande favore.
Proprio in quel momento lo vide prendere la rincorsa e schiacciare, erano pochi i momenti in cui appariva così deciso, ed ancora meno erano quelli che lo legavano allo sport (di solito si trattava di qualcosa più vicino all'istruzione, come un compito in cui era riuscito particolarmente bene) che il ragazzo sentì il taccuino nero bruciare sotto la sua divisa, dalla voglia che aveva di ritrarlo. Per quanto gli avesse causato così tanti guai, non era riuscito a separarsene, erano troppo le emozioni racchiuse tra quelle pagine.
A fine allenamento, per la prima volta, non aveva neanche toccato la palla, eppure nessuno glielo disse. Una volta cambiato, aspettò Kei fuori dagli spogliatoi.
"Mi passi una sigaretta?" fu la prima frase che gli rivolse in maniera diretta della giornata. Fumare non avrebbe risolto i suoi problemi, lo sapeva, anzi probabilmente avrebbe peggiorato le cose in quanto si trovava già a corto di denaro. Eppure c'era un qualcosa di strano, un'attrazione verso quei piccoli cilindri tossici, che aveva sempre avuto, e che sentiva particolarmente amplificato.
"Sei un idiota, non so cosa ti stia succedendo, ma non voglio che inizi con questo vizio." Si era accorto di qualcosa. Ma lui era freddo e calcolatore, lo avrebbe stupito di più se fosse rimasto nell'ignoranza.
"Tu lo fai, però"
"Non mi importa di me."
"Allora fammi fumare, per favore."
"No."
"Perché?" disse il più basso con voce piagnucolosa
"Perché di te mi importa." Detto questo si caricò la borsa dell'allenamento in spalla, prima di dirigersi verso casa, convinto che l'altro l'avesse seguito.
Si separarono al solito bivio, solo che questa volta Tadashi non si diresse verso casa propria, scegliendo una via diversa, si fermò sulla strada giusto il tempo di comprarsi un panino (non voleva neanche immaginare cosa avrebbe fatto una volta finito i soldi) per poi superare l'ingresso del parco, andando a stendersi esattamente sotto lo stesso faggio della sera prima.
Le stelle brillavano tantissimo, e, tra i brividi di freddo, si ritrovò nuovamente a contarle fino ad addormentarsi.

Kei iniziava a sospettare che qualcosa non andasse, l'amico gli sembrava ogni giorno più pallido, rifiutava qualunque contatto da parte sua o di ogni altro componente del club di volley, non pranzava più da qualche settimana e lo stato dei suoi vestiti sembrava sempre più trasandato.
Per questo si sorprese particolarmente quando, un freddo mattino di metà dicembre, lo ritrovò nel cortile del liceo. Sorrideva anche se i suoi occhi lasciavano intravedere che qualcosa non funzionava.
Si sorprese ancora quando notò che il ragazzo con cui stava parlando era niente di meno che l'asso della sua squadra. Asahi Azumane.
Sentì una strana fitta al centro del petto, come se in quella scena ci fosse qualcosa di sbagliato e fece per interromperli, quando il più alto circondò le spalle di Tadashi con un braccio, accompagnandolo in aula.
Lui, solo, non poté che indossare le enormi cuffie e dirigersi verso la propria classe.
Per il resto della giornata quasi non si rivolsero la parola, il più alto ancora leggermente scocciato dalla scena a cui aveva assistito in mattinata. Il secondo semplicemente sentiva che qualcosa non andava, ma non aveva intenzione di peggiorare la situazione facendo domande.
Quella sera il coach aveva dato loro libero, così i due primini si diressero verso casa fianco a fianco. Ognuno immerso nei suoi pensieri. Il primo a parlare fu Kei:
"Ti ho visto distratto oggi." La nuvola di condensa che lasciò la sua bocca gli fece venire un'improvvisa voglia di accendersi una sigaretta.
"Ho solo molti pensieri per la testa, scusa Tsukki."
"No, è bello che tu finalmente abbia imparato a riflettere prima di agire."
"Uhm?"
"Comunque siete una bella coppia, tu e Azumane." Sentì la morsa al petto di prima stringersi più intensamente, mentre pronunciava quelle parole.
"Io e Asahi?"
"Ah, avete già iniziato a chiamarvi per nome. Ne sono felice."
"Kei, tra me e il nostro asso non c'è niente, non capisco cosa possa avertelo fatto credere." Disse con la testa bassa, e il modo in cui pronunciò il suo nome, sembrò quasi una carezza alle orecchie di Tsukishima, che dovette trattenersi per non allungare un braccio e posargliene una vera sulla guancia.
"Oh, non che mi importi." La sua morsa era praticamente sparita, e, quando si separarono al solito bivio, il biondo non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. Poi si allontanò in silenzio.
Qualche metro più in là, Tadashi estrasse il quadernino nero, ancora ben impressa nella sua mente l'incurvatura delle labbra dell'amico.

The Black Note (TsukkyYama | Haikyuu)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora