TOKYO

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Per Yoongi, Tokyo vuol dire Shinjuku, senza alcuno spiraglio aperto alla ritrattazione.
Le due aree non coincidono a livello ideale o geografico, ma i confini della prima fanno da recinto a quelli della seconda; le loro identità non si sovrappongono, eppure si compenetrano, nella misura in cui i grattacieli e i neon di Shinjuku appartengono automaticamente anche a Tokyo, così come vi appartengono le sue strade, la sua aria e i suoi residenti.
È con questa giungla di cemento che Yoongi ha sempre avuto a che fare. Ogni suo viaggio in Giappone è stato in realtà un viaggio a Shinjuku, nei suoi uffici la mattina e nei suoi locali sfavillanti la sera. Cosa ci sia aldilà delle barriere architettoniche di questo quartiere, lui lo ignora per partito preso. Sa perfettamente che la città si estende ben oltre il campo di battaglia a lui conosciuto, ma il desiderio di spingersi più lontano non l'ha mai sfiorato. Shinjuku e Tokyo, nella sua categorizzazione della realtà, coincidono in tutto e per tutto.
Perciò quella sera, quando Namjoon ha proposto di allungare la loro passeggiata fino a ***, Yoongi ne è stato quasi oltraggiato. Come avrebbero potuto raggiungere un posto che, nella sua mappa mentale, non era neanche mai esistito?
La domanda non ha trovato alcuna risposta concreta.
Una volta sceso in strada, Yoongi ha impostato il pilota automatico e si è lasciato condurre dal collega, come un camionista assonnato che si affida al buon senso del proprio tir per raggiungere la meta. Namjoon, in effetti, ragiona spesso come una macchina programmata: calca strade luminose e sicure, evita gli ostacoli solo quando gli si parano davanti, accosta nei momenti d'avaria. È un secondo pilota cauto e guardingo. Questo rende ancora più incredibile che, sotto la sua supervisione, quella sera siano arrivati così lontano.
A Yoongi questo blocco di palazzi e discoteche non sembra molto diverso da quelli che già conosce. Forse, in fondo, è vero che Tokyo non è altro che un'aggregazione infinita di Shinjuku, che si ripetono tutte uguali per migliaia di chilometri. Anche il locale di fronte a cui si fermano non ha niente di nuovo o particolarmente attraente. È incastonato alla base di un grattacielo, ha porte e vetri neri, sovrastati da un neon azzurro accecante.
Pied Piper
Namjoon lo trova un nome originale.
«Che ne dici di entrare qui?» chiede. «Stiamo camminando da un'ora e non ho bevuto nemmeno un goccio.»
Yoongi si stringe nelle spalle e poi segue il collega all'interno. Non è ancora pronto a riprendere in mano il volante. Se ci provasse, probabilmente finirebbe col fare inversione a U, diretto al proprio albergo. Lì, al quattordicesimo piano, nella stanza numero 52, approfitterebbe del televisore cinquanta pollici per guardare Flashdance ancora una volta. Una storia di duro lavoro infarcita di sogni e buone intenzioni, con un finale scontato al punto giusto, ottimo per trasmettere agli spettatori la filosofia del "tenere duro" e magari indurli ad un bel pianto liberatorio.
"Forse un pianto è quello che mi servirebbe."
Yoongi si toglie il cappotto con un sospiro. A volte la sua vulnerabilità lo disgusta. Abbandonarsi al patetismo ogni tanto è salutare, questo lo sa bene anche lui; non possiamo pretendere che la maschera con cui ci presentiamo al mondo sia sempre pulita e priva di crepe. Il problema di Yoongi è che, anche in privato, fatica a guardarsi in faccia. La perfezione che propina agli altri non è una recita che sfrutta per imbambolarli, ma un obiettivo personale da cui lui stesso è il primo a trarre godimento. Si impegna ogni giorno come un pittore che, ossessionato dalla propria immagine, versa lacrime e sangue nella realizzazione di un autoritratto, sperando che il dipinto, alla fine, possa superare in grazia e bellezza la realtà che l'ha ispirato. Identificarsi con quel dipinto lo aiuta ad andare avanti, vedersi vivere attraverso la tela lo convince di esserne diventato parte. Ogni emozione esterna al quadro, che lui non abbia previsto e quindi considerato appropriata al suo IO ideale, non ha il diritto d'esistere.
La tristezza di quella sera è una macchia di colore inaspettata, schizzata oltre la cornice, fuori dalla tela. Per questo Yoongi non può accettarla. Se ne fosse in grado, vorrebbe spedirla lontano, oltre i confini di Shinjuku, a marcire insieme a quei quartieri di Tokyo di cui lui nega l'esistenza.
Certo il problema non è la tristezza in sé; sarebbe da stupidi escludere a priori tale emozione dal nostro progetto di vita. Yoongi non disdegna la tristezza quando è generata da un motivo che ritiene valido, come la perdita di un parente, la lontananza da un amico o il finale commovente di un film. Ecco perché Flashdance adesso sarebbe una manna dal cielo: gli consentirebbe di sfogarsi eclissando la causa reale del suo turbamento, quella a cui lui non vuole pensare. Svalutare le cose a volte ci aiuta a farle sparire. Nel caso in cui questa strategia non dovesse funzionare, comunque, c'è sempre l'alcool.
«Per me un Moscow Mule, mentre al mio amico...»
«Irish bomb. Magari due o tre.»
Namjoon ride, pensa sia una battuta, ma quando il barista allunga loro quattro bicchieri non fa commenti negativi.
«È giusto iniziare la serata col botto» dice, poi brinda con l'amico e sorseggia il suo cocktail, mentre l'altro butta giù due cicchetti di fila.
Sono seduti entrambi sugli sgabelli al bancone principale. Il locale all'interno non spicca per originalità. Il bar, posto al centro della sala, è circolare e si illumina come un ufo a tempo di musica. Attorno, nella quasi più completa oscurità, si dispongono le navi spaziali più piccole: tavolini bassi, divanetti e pouf informi. L'arredamento monocromatico prevede nero bizzeffe e qualche sputo di blu, ma, anche se fosse stato ammesso qualche altro colore, la scarsa illuminazione avrebbe provveduto subito ad assassinarlo.
L'unica area in tutto il locale in cui si possano distinguere i volti è proprio quella in cui si trovano Yoongi e Namjoon; i led blu disposti sopra gli scaffali delle bottiglie e il bancone stroboscopio danno l'impressione di essere in un acquario, ma per lo meno è possibile bere guardandosi negli occhi.
Yoongi, ovviamente, non approfitta della cosa. Reggere lo sguardo della gente è una tortura a cui si sottopone solo alla luce del sole e, adesso che Namjoon è partito per la tangente, già solo sopportare la sua voce diventa un'impresa titanica. Come sempre quando sono a Tokyo (Shinjuku), il suo collega si sta lamentando del jet-lag, degli alberghi giapponesi, dei voli di seconda classe pagati dalla compagnia e dei rinfreschi post-riunioni mai inclusi nel prezzo.
Yoongi beve e annuisce. Un'altra costante dei locali notturni della metropoli, oltre al buio, è la musica alta, un agente asociale formidabile che vieta a chiunque di fare conversazione.
"Probabilmente qui dentro l'unico posto in cui si può parlare è il bagno."
Yoongi si lecca le labbra mentre il disco rotto della frustrazione di Namjoon fa da sottofondo alla sua potenziale sbronza; il collega parla e lui legge le etichette delle bottiglie alle spalle del barista, segue i tragitti zigzaganti dei faretti blu, conta le teste bionde nel boudoir e le separa da quelle more. Insomma, si annoia, com'è prevedibile che accada a qualsiasi impiegato aziendale, dopo una giornata in trasferta negli uffici di Tokyo e all'indomani di un fallimento professionale eclatante.
«Ci stai ancora pensando, non è vero?»
Yoongi coglie la domanda solo perché, dopo l'accento interrogativo, la voce di Namjoon si spegne.
«Cos'hai detto, scusa?» borbotta, rigirandosi tra le dita il bicchiere vuoto.
«Ti ho chiesto se stai ancora pensando a... insomma, il briefing di ieri...»
L'alcool già ingerito da Yoongi prende fuoco nel suo stomaco, provocandogli una vampata di rigurgito che gli corrode la gola, prima di essere respinta giù.
Il ragazzo tossisce.
«Era un progetto a cui io e il mio team lavoravamo da due mesi. Secondo te non dovrei pensarci?»
«No, certo... cioè voglio dire sì, è normale che ci pensi...»
«Allora perché mi fai domande del cazzo?»
Yoongi beve di nuovo e Namjoon si accarezza il lobo dell'orecchio. Lo fa sempre quando è imbarazzato ed è uno spasso a vedersi: un omone di un metro e ottanta, in giacca e cravatta, con i capelli impomatati e gli occhiali splendenti sul naso, intento a grattarsi l'orecchio con aria spaesata.
«Volevo solo dirti che secondo me la tua idea di base era più valida. Il concept mitologico, il riferimento ai Baccanali e l'aura mistica... sarebbe stata una pubblicità che mi avrebbe colpito.»
«Già, peccato che il resto del mondo non abbia il tuo stesso QI. Il mercato ha bisogno di messaggi più intuitivi.»
«È stato Hoseok a dirlo, non è vero? Quell'idiota manderà l'azienda del padre allo sfacelo.»
«Mhmh.»
Yoongi fa ruotare lo sgabello e ordina un Long Island. Spera che dare le spalle a Namjoon basti a chiudere il discorso. I complimenti di un addetto alle vendite valgono ben poco per un direttore creativo. Yoongi non considera il collega un inetto, ma la sua totale estraneità al campo creativo gli impedisce di fidarsi della sua opinione. Anche se, in fondo, lo stesso Yoongi si trova d'accordo con quel giudizio: il suo lavoro era il migliore. Il concept innovativo, la campagna curata fin nei minimi dettagli e il prospetto presentato al meeting pulito e conciso. Forse, persino il dirigente la pensava così. Ma l'esuberante erede di Jung senior, quel principino slavato con la faccia cavallina e la voce squillante, non era stato dello stesso avviso. In quanto cliente, la decisione finale era ricaduta su di lui e, da bravo presidente in seconda senza un minimino di esperienza, si era lasciato abbagliare dall'offerta più banale e prevedibile, quella proposta dal nuovo social manager della ditta, l'avvenente e irresistibile...
«Porca troia!»
Namjoon impreca sputacchiando nel proprio bicchiere e Yoongi gli rivolge un'occhiata interrogativa. Il contabile scuote la testa.
«Nulla hyung, tutto bene! È solo che... non girarti!»
Certo, "non girarti", il famoso comando in negativo che, come per magia, spinge tutti coloro che lo ricevono a disobbedire. Persino Yoongi, che di solito è capace di sottomettersi, quella sera non resiste e si gira. Lì, sui tre scalini sotto la porta d'entrata, la vede.
La macchia fuori dalla sua tela.
La causa di una debolezza che non dovrebbe esistere.
Kim fottuto Seokjin.
«Andiamocene» Namjoon lo suggerisce a bassa voce, tirando Yoongi dalla giacca. «Leviamoci di torno prima che...»
«MIN YOONGI.»
Incredibile quanto forte possa risuonare il tuo nome, in un locale affollato e bombardato di musica, quando a pronunciarlo è la tua nemesi.
Nell'udirlo, Yoongi rabbrividisce, ma poi si volta con un sorriso.
«Kim Seokjin» intona. «Che piacere vederti in un posto diverso dall'ufficio. Ero arrivato a pensare che vivessi lì, ormai.»
«A volte penso di viverci anche io, mio caro.»
Il nuovo arrivato risponde tendendo la mano ai due seduti sugli sgabelli. È un uomo alto, dalle spalle larghe, bello in maniera quasi offensiva. Smessi gli abiti da manager aziendale, adesso indossa una camicia di seta nera, dei jeans aderenti al punto giusto e parecchi bracciali di cuoio dalle chiusure argentee. Anche in quella tenuta emana un'aura elegante, invidiabile. Da vincente.
Yoongi non può competere in fatto di vestiario casual; dopo il meeting pomeridiano non si è nemmeno cambiato. I suoi weekend lavorativi in Giappone trascorrono sempre all'insegna del minimo indispensabile e, per quella trasferta di fine marzo, la sua valigia dispone solo di tre completi classici e un pigiama.
Quindi adesso è in un locale notturno abbigliato come un damerino e si trova davanti al collega che, solo poche ore prima, gli ha soffiato via un progetto milionario da sotto il naso.
Una situazione decisamente imbarazzante. La fuga sarebbe un'ottima alternativa. Ma se Yoongi seguisse il consiglio di Namjoon, il suo umore peggiorerebbe. Defilarsi con la coda tra le gambe vorrebbe dire riconoscere la superiorità di Seokjin, confermare la sua vittoria di quella mattina e, sostanzialmente, ammettere che la sua persona rappresenta una minaccia. Un motivo per piangere.
Perciò Yoongi non si ritira, ma ricambia la stretta di Seokjin, si esibisce in una profusione di convenevoli e poi, contro ogni logica, accetta il suo invito a seguirlo al tavolo che ha prenotato. Un suicidio psicologico, insomma. Ma Yoongi non può rifiutare. Per perfezionare l'autoritratto nella sua testa deve fronteggiare miliardi di situazioni sociali spiacevoli, quelle che il suo carattere naturale tende ad evitare. Quindi, anche se vorrebbe già essere in camera sua, con una vaschetta di gelato in mano e le ciabatte ai piedi, finisce col sedersi su uno dei divanetti neri nei meandri del locale, scortato da Kim Seokjin e il suo seguito. Quella serata di autocommiserazione potrebbe trasformarsi in una rivincita insidiosa. Yoongi ha intenzione di sfruttarla per farsi amico un rivale. Seokjin, probabilmente, ha mire simili: vuole studiare il collega, capirlo, forse umiliarlo.
Per questo, quando si sono già tutti accomodati attorno al tavolinetto, ordina una bottiglia da 80000 yen.
«Offre la casa» annuncia ai compagni. «O meglio, la nostra azienda, considerato che è lei a pagarmi.»
«È sempre bello sapere che i soldi dei dipendenti fanno una fine onorevole» Yoongi allunga il bicchiere ancora vuoto per ricevere il suo champagne. «Vorrei che riempissero così anche i frigobar delle nostre camere d'albergo.»
«A quanto ne so, le suite dei dirigenti sono ben fornite in questo senso.»
«Beh lì un frigo sarebbe il minimo. Ho sentito che Wang aveva a disposizione un bar intero, nella sua camera ad Osaka.»
«E come fa lei a saperlo, signor Kim?»
«La rete di informazioni organizzata da noi contabili è la più affidabile sulla piazza, glielo posso assicurare.»
Un fruscio di risate scuote la compagnia. Namjoon si è accodato di malavoglia alla combriccola ma sta già iniziando a sciogliersi. Anche se amico di Yoongi, non si fa scrupoli ad ostentare la propria conoscenza soprattutto in presenza di persone interessanti come Seokjin. Al tavolo però ci sono anche altri visi degni d'attenzione. Quello timido e abbronzato di Kim Taehyung, assistente social manager; quello tondo e conigliesco di Jeon Jungkook, lo stagista assegnato al reparto grafico; quello forte e orgoglioso di Ahn Hye-jin, direttrice della sezione marketing internazionale.
Altri due volti, però, Yoongi non riesce ad identificarli.
Sono quelli di due ragazze sedute accanto a Seokjin. Una bionda e dai tratti occidentali, porta gli occhiali e stringe al seno una borsetta; potrebbe essere una segretaria. L'altra ha un aspetto totalmente anomalo nel contesto aziendale creatosi attorno a quel tavolo. Porta i capelli corti, da maschiaccio, indossa una canottiera nera e dei vistosi guanti dello stesso colore che, dalla mano, le risalgono fino al gomito. Sotto dei pantaloni larghi e intarsiati di cerniere, spiccano delle décolleté a punta, la cui eleganza stride con il resto dell'outfit quasi sportivo.
"C'è qualcuno vestito peggio di me qui."
Yooni si allenta il nodo della cravatta e poi cerca di ignorare il cattivo gusto di quella ragazza, concentrandosi sui discorsi dei colleghi. Come previsto, Namjoon tiene banco: i suoi aneddoti da contabile divertono da morire tutti quegli individui che, nella catena del comando, siedono sopra di lui.
Yoongi lo ascolta, confermando le sue storielle ogni tanto, con un sorriso o un cenno del capo. Vorrebbe udire di più la voce di Seokjin, ma il suo rivale, come lui, quella sera non è molto loquace. Sembra che, una volta uscito dalla sala riunioni, abbia seppellito l'ascia di guerra per cimentarsi nella scrittura di sonetti d'amore. Sonetti dedicati alla strana ragazza con i guanti.
"Che sia lei il suo punto debole?"
Per quanto indagare sulla vita privata degli avversari non sia tipico del suo modus operandi, Yoongi non può fare a meno di osservare l'uomo d'affari che ammira e teme sciogliersi al tocco di una ragazzina qualsiasi.
Seokjin segue a malapena la conversazione tra gli altri, passa il tempo a bere e ridacchiare con la sua amica; le accarezza le cosce e le sussurra segreti all'orecchio. La ragazza ride sempre, si copre la bocca dipinta con la mano guantata, si spalma languida sul fianco dell'uomo, come un gatto arrogante che esige d'essere accarezzato.
"Che figura."
Yoongi lo pensa con una certa soddisfazione. Certo, essere trascurato da Seokjin gli rode, ma poterlo spiare in quella veste inedita non gli dispiace. Si sente come un paparazzo che, colto un politico retto e impeccabile in atteggiamenti intimi, gode immensamente nello scattare miriadi di foto. Non si aspettava che Seokjin potesse essere così ingenuo o menefreghista da gettare la maschera di fronte a lui.
"Forse quella gli ha davvero fottuto il cervello."
In fondo, Yoongi non può biasimarlo. La ragazza, tutto sommato, è carina. Nonostante l'illuminazione inesistente, i tratti morbidi del suo viso spiccano quando poggia il capo sulla spalla di Seokjin: le labbra carnose, le guance piene e i capelli ondulati, blu come le luci che danzano su di loro.
Yoongi non si rende conto di star guardando lei, adesso, e non più Seokjin. C'è qualcosa, nel modo in cui la ragazza si struscia sull'uomo d'affari, che lo disgusta e lo ammalia insieme. Distratto e accalorato da questo paradosso, quando si protende per riappropriarsi del bicchiere posato sul tavolino, finisce col rovesciarlo.
Lo champagne schizza sui piedi di lei.
«Per caso Min Yoongi è ubriaco?»
Seokjin ride urlando, attirando l'attenzione di tutti sul direttore creativo. Yoongi cerca di darsi un contegno mentre si piega per recuperare il bicchiere.
«Magari lo fossi» sbotta. «Questo tavolo è troppo piccolo.»
«Secondo me dovresti comunque chiedere scusa a Minnie.»
«Signor Kim, non si preoccupi. È tutto a posto.»
Per la prima volta, la ragazza parla alle orecchie di tutti. Lo fa in coreano, con un leggero accento giapponese. La sua voce è placida e cristallina, fragile e suadente come la nota più acuta prodotta dalle corde di un'arpa. Yoongi la sente su di sé quando anche lei si china per tamponarsi le caviglie umide con un fazzoletto.
«Non importa, davvero» sta dicendo. «Queste scarpe comunque le odio.»
L'ultimo commento è destinato solo a lui e Yoongi accenna un sorriso.
La cosa irrita Seokjin.
«Ti fa bene ridere un po', Min. Quella faccia da becchino non è sempre un buon ingrediente per gli affari.»
L'aria attorno al tavolo si fa gelida. Namjoon, presentendo il pericolo, cerca di trascinare gli altri in una delle sue rocambolesche narrazioni. Jungkook e Taehyung lo seguono, mentre le donne tendono le orecchie, in attesa del contrattacco di Yoongi.
Quello arriva dopo un sorso di champagne e un risolino.
«Quando qualcuno è convito della validità della sua idea, non ha bisogno di mettere su falsi sorrisi per farla approvare.»
Seokjin sbuffa, ma un tic alla palpebra destra rende evidente la sua stizza.
«In tempi come questi non ci si può affidare solo alle idee» ribatte. «Il talento non sta esclusivamente nel pensare, ma anche nel convincere le persone a pensarla come te. Le competenze comunicative sono il vero futuro del nostro settore. Ma un direttore creativo dovrebbe saperlo meglio di me, suppongo.»
«Supponi bene» ghigna Yoongi, osservando il ghiaccio sciogliersi nel proprio bicchiere. «Ma io ancora non considero leccare il culo una dote comunicativa. E, anche se lo fosse, lascio ad altri l'arduo compito di usarla.»
Se fossero stati soli, probabilmente Kim Seokjin avrebbe approfittato delle sue spalle larghe e delle sue nocche adamantine per sferrare un pugno al collega. Quella sera, però, ripensando al proprio successo mattutino e stringendo con fierezza il fianco della sua ragazza, riesce a trattenersi.
«Finché si dimostra un compito remunerativo, non mi esimerò dal portarlo avanti. Mi dispiace se tu la pensi diversamente. Un progetto respinto è una bella rogna per tutto il team creativo...»
«Il mio team e il suo lavoro non sono campi di tua competenza.»
Ah. Passo falso.
La risposta di Yoongi è stata troppo repentina, il suo tono troppo velenoso. Si sta innervosendo e Seokjin è pronto a cogliere l'occasione per passare in vantaggio. Tuttavia, la ragazza avvinghiata a lui lo precede.
«Basta con questi discorsi noiosi» dichiara con voce melodiosa. «Siete qui per prendervi una pausa dal lavoro, non ha senso trasformare il tavolo nel vostro ufficio. Io voglio ubriacarmi e ballare. Perciò fatela finita e bevete!»
La compagnia accoglie la sua filippica con un'ovazione. Persino Seokjin, un attimo prima così agguerrito, fa scontrare il proprio bicchiere con quello di Yoongi, brindando al lavoro di squadra, per poi alzarsi insieme agli altri. La ragazza con i guanti lo sta trascinando sulla pista di ballo.
Yoongi rimane indietro. Lui odia ballare.
"E odio anche quel pomposo, arrogante rompipalle che..."
No. Lasciarsi assalire dalla rabbia non è salutare. Quell'emozione, così come la tristezza, non deve infettare l'autoritratto. Incolpare Seokjin non farebbe che conferirgli importanza. Perciò, mentre finisce da solo il suo champagne, Yoongi trova un degno sostituto a cui addebitare il proprio malcontento.
La ragazza con i guanti.
Con il suo intervento, consapevole o meno, lo ha tratto fuori da una situazione spinosa, ma Yoongi non le è affatto grato per questo. Essere aiutato lo indispettisce, soprattutto in contesti pubblici, alla presenza di testimoni. Tutti gli assistenti e gli stagisti raggruppati quella sera attorno al tavolo avrebbero presto raccontato ad altri stagisti e assistenti di come lo scontro epico tra due personalità dirigenziali si fosse concluso in parità a causa di un'ubriacona qualunque. Lo smacco di Yoongi, la sua incapacità di reggere il confronto, sarebbero diventati leggenda tra i cubicoli dei contabili e, forse, anche Namjoon avrebbe potuto adoperarli in una delle sue future storielle.
"Se solo avessimo potuto continuare..."
Yoongi schiocca la lingua. Nella sua mente, cerca di convincersi che, se la discussione fosse andata avanti, lui avrebbe vinto. La verità è che, considerato il suo stato emotivo, l'intromissione della ragazza lo ha salvato.
Questo, però, lui non lo ammetterà mai.
E adesso osserva la sua benefattrice dal divanetto, brillo e imbronciato, mente lei balla con Seokjin.
Il social manager è davvero pessimo nella danza, gli arti lunghi lo impacciano, i jeans stretti lo limitano, e il ritmo fugge via, più veloce dei suoi movimenti.
La ragazza che lo tiene per mano, invece, è uno spettacolo. Guardandola volteggiare sui tacchi, Yoongi si accorge che non solo il suo viso, ma anche il suo corpo è morbido e levigato. Nonostante il petto poco pronunciato e la canottiera lunghissima, la sua figura risulta ben bilanciata dai fianchi stretti e dal bacino largo, mentre i glutei, tondi e pieni, danno al suo profilo una svolta curvilinea naturale e piacevole.
Dal modo in cui si regge a Seokjin mentre danza è evidente che lui la rallenti. I suoi piedi si muovono a tempo, i suoi fianchi scivolano sulla musica come acqua, il capo reclinato all'indietro e il collo ben arcuato sono prova di una passione sincera, ma trattenuta. È brava a ballare ma, per far piacere al suo uomo, si lascia condurre da lui.
Questa verità infastidisce Yoongi più del previsto. Si ritrova a pensare che, se ballasse sola, quella donna potrebbe ipnotizzare il mondo intero. Invece è costretta tra le braccia di Seokjin; lui la ingabbia, tenendole le mani sui fianchi e cercando il suo collo con la bocca. Lei ondeggia a ritmo, si schermisce sorridendo, dà qualche colpo di bacino per accontentare il suo partner, ma non concede mai le sue labbra.
Ah che peccato. Sembra che, in quel marasma di luci psichedeliche, pur sfoggiando tutte le sue qualità, Seokjin non riuscirà ad ottenere un bacio, quella notte.
"Un sorriso alle volte non basta."
Yoongi ridacchia da solo, compiaciuto dalla scoperta di un particolare così superficiale. Eppure, nei recessi della sua mente, c'è ancora qualcosa che lo turba. Stavolta Seokjin non c'entra niente.
Ma lei, lei...
Bagnata dai flash delle luci, le braccia bianche sollevate, i capelli umidi sulla fronte e quelle labbra schiuse, perennemente sul punto di rivelare un segreto inconfessabile...
Yoongi deglutisce e si alza. Finire con l'invidiare Seokjin anche per le ragazze che si porta appresso sarebbe l'apoteosi della sconfitta. Meglio lasciare la pista da ballo e rifugiarsi in bagno. Lì avrà modo di schiarirsi le idee.
Come tutti i servizi igienici giapponesi, anche quello del Pied Piper è degno di nota. Dopo aver varcato la porta con i simboli stilizzati indicanti il sesso maschile, Yoongi accede ad uno spazio ampio e ben illuminato. Una finestra enorme, da cattedrale, fronteggia l'entrata e, perpendicolari alle sue vetrate, sono ordinatamente disposti lavandini e cubicoli, i primi sulla sinistra, gli altri sulla destra. Nessun orinatoio in vista. Yoongi apprezza quella scelta di design; presenziare alle pisciate altrui di solito lo mette in imbarazzo.
Quella sera si dirige ai lavandini sospirando. Il bagno, come aveva previsto, è esente dal caos presente in sala. Bianco e asettico, splendente di vuoto, galleggia come una bolla d'aria in un mare tempestoso, imperturbabile e insonorizzata. Infilatosi in quella porzione di nulla, Yoongi può finalmente ascoltare il proprio respiro, mentre la musica e le voci del locale vengono sbalzate indietro, tenute lontane da un recinto elettrico di isolamento.
È una sensazione paradisiaca, quella della solitudine a contatto con il mondo. Lo sgocciolare via dal flusso della vita per guardarlo scorrere da fuori mentre noi, immobili, evaporiamo al sole.
Yoongi gode di quel calore interiore mentre si sciacqua la faccia con dell'acqua ghiacciata. Non è messo benissimo. I capelli grigi ricadono disordinati sulla fronte e fanno pendant con delle occhiaie malsane. Il resto del viso è cereo e affilato, gareggia in pallore con la camicia ormai stropicciata. Yoongi ha abbandonato la giacca sul divanetto, ma porta ancora la cravatta al collo, allentata e sbilenca come quella di uno studente che maltratta la propria divisa scolastica per darsi un'aria trasgressiva.
"Io però sembro solo un trentenne stressato dal lavoro e dipendente dalla coca."
Yoongi sospira, agitando le mani per asciugarle. Forse è arrivato il momento di ritirarsi. Di lasciare Seokjin a bollire nel suo brodo, segregare quella giornata nell'armadio delle esperienze da dimenticare e tornare in albergo. Tornare a casa.
Raccolti i pensieri e le forze, Yoongi fa per ruotare la manopola del lavandino. Ma poi qualcosa accade: la porta si apre ed entra lei.
La ragazza con i guanti.
Yoongi la riconosce dal riflesso nello specchio e, chissà perché, torna a bagnarsi le mani, attendendo diligentemente che anche lei raggiunga i lavandini.
In effetti lo fa, ora sono uno accanto all'altra. La ragazza, però, è lì per lo specchio. Da uno zaino nero ha cavato fuori un rossetto e ora se lo sta passando sulle labbra.
Yoongi la scruta.
Le sue dita, che spuntano oltre i guanti dalle maglie tagliate, sono piccole e graziose. Le labbra, protese verso il vetro, hanno la forma di un cuore pieno e gonfio; il rossetto bordeaux, denso e corposo, fa risaltare i capelli tinti; non era un'illusione ottica, sono davvero blu. Blu come le rifiniture della canotta di raso che, con uno scollo a conca, le fluisce liquida dalle spalle fin sul petto piatto. Un petto da uomo.
Yoongi sbatte le palpebre come un camionista che, colto da un colpo di sonno, si risveglia appena in tempo per sterzare, abbandonando la corsia dei sogni per tornare su quella della realtà.
La ragazza con i guanti è un ragazzo.
Il direttore creativo ormai lo guarda senza ritegno. Le maniche della canotta, larghissime, non lasciano più spazio a dubbi: le porzioni di petto e sterno visibili sono quelle di un uomo dall'ossatura minuta e dalla pelle glabra. Sul viso ovale, perfettamente tornito, si intravede l'ombra di una peluria setosa. E il collo lungo, scoperto, è marcato dalla protuberanza del pomo d'Adamo.
Impossibile sbagliare, quello accanto a Yoongi è un ragazzo.
Un ragazzo ben consapevole di essere osservato.
«Sai che fissare la gente così è da maleducati?»
L'uomo in camicia tossisce, arrossisce, chiude l'acqua.
«Perdonami» borbotta. «È solo che...»
"Ti credevo una donna."
No, terribile, pessimo approccio.
È solo che?
«...che prima, al tavolo, non mi sono scusato come si deve. Mi chiedevo se fosse il caso di farlo adesso.»
Ritrattazione esemplare, con tutte le parole posizionate al punto giusto. Yoongi è orgoglioso di sé stesso anche se, è evidente, il ragazzo con i guanti non gli crede: lo sta guardando con un sopracciglio inarcato, mentre preme il labbro superiore su quello inferiore, per far attecchire meglio il trucco.
«Facciamo finta che sia vero» concede alla fine. «Accetto le tue scuse. Anche se, come ti ho già detto, odio queste scarpe.»
«Sotto dei pantaloni così sono una scelta azzardata.»
«Lo so bene anche io!» il ragazzo ripone il rossetto nel proprio zaino con un gesto oltraggiato. «Non pensare che mi diverta a mettere addosso questi completi insensati! Il mio è solo dovere professionale... anzi! Che ore sono?»
Yoongi, preso totalmente in contropiede, controlla l'orologio. «L'una e un quarto. Perché?»
Il ragazzo con i guanti fa un sospiro liberatorio.
«Perché il mio turno è finito» dichiara e poi sgambetta verso la finestra. «Sono libero.»
Detto questo, si issa sul cornicione. Non gli ci vuole molto, i vetri sono ad altezza uomo e lui, con un saltello, ci finisce seduto di fronte. Lì, accavalla le gambe come una Venere ottocentesca e si sfila le décolleté, prima la destra, poi la sinistra. I suoi piedi, come le mani, sono minuscoli. Yoongi li trova stranamente teneri, ma cerca di non analizzarli troppo a lungo. È più interessato a capire di cosa diavolo stia parlando il ragazzo, o meglio...
«Minnie, giusto?» chiede, avvicinandosi. «È il tuo vero nome?»
Il tipetto alla finestra, intento a rovistare nel proprio zaino, si stringe nelle spalle.
«No, certo che non lo è. Ma puoi chiamarmi così se vuoi. Tu invece sei davvero Min Yoongi?»
«Già. Seokjin l'ha urlato abbastanza forte da fare le presentazioni al posto mio.»
«In realtà ti ha nominato spesso anche prima di stasera. Io so chi sei da molto tempo.»
Nel dirlo, Minnie gli lancia uno sguardo fulmineo. I suoi occhi sono sottili, affilati da una linea di eyeliner. Yoongi si sente in soggezione. Quel ragazzo ha appena dichiarato di conoscerlo proprio a causa del suo nemico numero uno, Kim Seokjin. La cosa non può voler dire niente di buono. Ma potrebbe anche essere un'occasione succosa per fare parecchie scoperte: cosa pensa Seokjin di lui? Come si relaziona al mondo fuori dallo studio? E quel ragazzo con cui si è dilettato per tutta la sera, chi è?
Nonostante la stanchezza e il sentore di disagio, Yoongi sa che per togliersi ogni curiosità deve continuare quella conversazione.
«Molto tempo» ripete tra sé, «è un'affermazione un po' inquietante da fare di fronte a qualcuno che non ha idea di chi tu sia.»
Minnie sorride, fa dondolare i piedi come una bambina svampita su un'altalena.
«Se ti può consolare, io voglio che tu ti faccia un'idea di me. È per questo che ti ho seguito fin qui. Per farmi conoscere.»
«Scusa se mi permetto, ma per quale assurdo motivo credi che a me interessi conoscerti?»
«Uhm non lo so... è solo che il tuo sguardo mi è sembrato abbastanza interessato prima.»
Yoongi strabuzza gli occhi, arrossisce, cerca nella propria testa un discorso che possa fargli da scialuppa di salvataggio.
«Seokjin» balbetta. «Non l'avevo mai visto in compagnia di nessuno... in quel modo. Ero solo piacevolmente sorpreso.»
«Piacevolmente?» Minnie ride. Ha estratto una sigaretta dallo zaino e ora la tiene tra le labbra. «Per essere suo nemico giurato, sembra che il suo divertimento ti stia molto a cuore.»
«Nemico giurato? È così che mi ha descritto?»
Minnie non risponde subito. È tutto preso dalla sua sigaretta; la accende, apre un'anta della finestra, poi aspira con fare svogliato.
«Non ti ha descritto in nessun modo» butta fuori. «È solo una mia supposizione. Per fare bene il mio lavoro devo capire cosa si cela dietro ciò che ascolto.»
Yoongi si morde l'interno della guancia. Con le mani in tasca e la testa ciondolante, senza rendersene conto, si è avvicinato alla finestra, esattamente come un topino attratto dalla musica di un flauto magico. La sua mente, però, pur se soggiogata, lavora instancabilmente: dovere professionale, turno, lavoro. Sono tutte parole che il ragazzo con i guanti ha lanciato in mezzo ai suoi discorsi, come fossero mollichine di pane in un bosco incantato. Yoongi ha la vaga sensazione che lo abbia fatto di proposito, con il chiaro intento di far giungere lui alla casetta di marzapane nascosta tra gli alberi. Tuttavia, ciò che Yoongi riesce ad intravedere finora, nella flora boschiva, sono solo porzioni di verità, ognuna reale nella sua individualità, ma in qualche modo ancora distaccata dalle altre. Per avere un'idea precisa dell'intera struttura deve andare più a fondo. E ripartire dalle mollichine sul proprio sentiero: dovere professionale, turno, lavoro.
«Come hai conosciuto Seokjin?» chiede.
Minnie fa finta di pensarci su.
«Come l'ho conosciuto mmh» mugugna. «Beh ovviamente qui. Era una sera di due annetti fa. Jin era stato appena assunto da una nuova compagnia e voleva festeggiare. È stata la stessa sera in cui ho sentito per la prima volta il tuo nome. Quando è rilassato, Jin si lascia sfuggire parecchie cose.»
«Beh hai un'ottima memoria ma, lasciatelo dire, nemmeno tu mi sembri proprio un asso a tenere i segreti. Jin non è fortunato ad averti come amico.»
Minnie sbuffa, alza gli occhi al cielo. «Io e Jin non siamo amici. Credevo che fin qui ci fossi arrivato.»
Le rotelle nel cervello di Yoongi si inceppano per un attimo. Fino a quel punto ci era arrivato, è vero, ma non credeva che Minnie avrebbe confermato così candidamente le sue teorie. Dunque, lui e Jin non sono amici. E neanche amanti, a giudicare dal modo in cui il ragazzo dai capelli blu ha rifiutato il social manager, sulla pista da ballo. Ma allora...
«Allora lui è un tuo cliente» sussurra Yoongi. «E tu... tu sei un host.»
Nel bagno cade il silenzio. Minnie fuma e non lo guarda, fa ondeggiare il capo e soffia verso l'alto. Ma Yoongi attende lì, sul limitare del bosco. Finalmente vede la casa per intero. Adesso deve solo aspettare che qualcuno gli apra la porta.
«Quindi, lo sei o non lo sei?»
«Perché dovrei risponderti? Pensavo che non ti interessasse conoscermi.»
Yoongi sbuffa. Parlare con quel ragazzo è come camminare sui carboni ardenti. La sua bellezza, già intimidatoria di per sé, adesso che è contornata dall'aura della sua professione diviene ancora più letale. Yoongi non ha mai conosciuto un host. Sa che a Tokyo i club che li accolgono sono molti, ma non pensava che, nelle strade di Shinjuku vi si sarebbe mai imbattuto.
"È che qui non siamo più a Shinjuku."
Tutta colpa di Namjoon.
L'uomo d'affari sospira, torna a guardare il ragazzo sulla finestra. Ha finito la sua sigaretta, l'ha spenta direttamente sul marmo e adesso sta armeggiando con un paio di All Star, tirate fuori dal suo zaino multitasking.
«Allora, cos'è questo silenzio? Stai cercando qualche risposta sagace da darmi?» chiede, mentre si infila una delle scarpe.
Yoongi deglutisce. È impantanato nell'imbarazzo e, per uscirne, forse la scelta migliore è la sincerità.
«Io credo che tu lo sia» dice, senza mezzi termini. «Un host. Un accompagnatore.»
«Mhmh» Minnie annuisce e si lega i lacci delle scarpe. «E la cosa ti disturba?»
«No. Lo considero un lavoro come un altro. Nessun pregiudizio. È solo che mi dispiace per te.»
Il ragazzo con i guanti solleva il capo. Il suo sguardo lascia trasparire un sospetto pungente, pronto ad esplodere in una fiala d'orgoglio corrosivo.
«Ti dispiace per me?» ripete, velenoso. «E perché dovrebbe?»
«Beh insomma, un ragazzo così bello che finisce a lavorare per un tipo come Kim Seokjin. È un peccato.»
Il volto di Minnie si distende. È fin troppo abituato a ricevere paternali riguardanti il suo lavoro e temeva che Min Yoongi ne avrebbe aggiunta un'altra alla lista, ma si sbagliava. A quel dannato direttore creativo interessa solo svalutare il proprio rivale, seppur assente.
«Kim Seokjin» ripete perciò l'host, con fare altisonante. «In un modo o nell'altro, hai sempre il suo nome in bocca. Non è che per caso ti sei preso una cotta per lui?»
«Ti ho anche detto che sei bello. Perché quello non lo hai notato?»
«A che mi serve essere bello, se tu sei così ossessionato da un mio cliente? Non posso certo competere con un social manager di successo, dalle spalle larghe e gli occhi così sicuri ah!»
«Se ti piace tanto avresti dovuto baciarlo, sulla pista da ballo.»
Il ragazzo con i guanti solleva il capo. Ha finito di legarsi le scarpe e salta già dal cornicione con un balzo aggraziato.
«I baci» intona, «non sono inclusi nel prezzo.»
Yoongi sogghigna. Parlare con Minnie si sta rivelando più interessante del previsto. Se inizialmente si era addentrato nel bosco con il solo intento di scovare la dimora del suo nemico, adesso che ha scoperto quanto quella casa sia dolce e profumata, vorrebbe essere lui ad abitarla. A possederla.
"Jin paga questo ragazzo stupendo per stare con lui. Eppure, non è mai riuscito a baciarlo."
Yoongi lo pensa con un certo sollievo, inspirando a pieni polmoni l'odore dell'host che gli sta accanto: sa di limone e champagne. Una fragranza elegante e dissoluta insieme, proveniente dal suo collo e dalle sue labbra. Quelle, a una distanza così ravvicinata, appaino più rosse e succose che mai, come la mela appesa al ramo dell'albero proibito.
"I baci non sono inclusi nel prezzo."
Yoongi sospira, si fa coraggio.
«Se i baci non sono inclusi» azzarda, «cosa comprende la tua tariffa?»
Minnie, ora che non ha più né la sigaretta né le scarpe a cui pensare, lo guarda dritto negli occhi.
«Perché vuoi saperlo? Stai pensando di ingaggiarmi anche tu?»
«Beh può darsi. Non ti piacerebbe?»
Il ragazzo con i guanti ride. Il bagno risuona come una cristalliera durante un terremoto.
«Certo che mi piacerebbe! C'è solo un piccolo dettaglio che proprio non mi andrebbe giù.»
«Davvero? Di che si tratta?»
«Per essere accettati in un club, noi host dobbiamo seguire delle regole ben precise. E una di queste, sfortunatamente, ci proibisce di fare sesso con i clienti» Minnie sorride, i denti candidi e gli occhi splendenti. «Se tu mi ingaggiassi, non potrei fare quello che voglio con te.»
Un colpo da maestro. Un affondo pulito e preciso. Yoongi, che finora si è difeso abbastanza bene, perde l'equilibrio, cade dalla pedana, perde l'incontro. La lama di Minnie, rapida e sfacciata, l'ha colpito in pieno. E, questa volta, lo ha lasciato davvero senza parole.
Il suo avversario se ne rende conto subito.
«Che c'è?» sussurra, scivolandogli più vicino. «Ti ho messo in imbarazzo? O forse non ti piace essere abbordato? Scommetto che di solito sei tu a provarci con gli altri.»
«I-io... veramente...»
Minnie ridacchia di nuovo, le sue dita smaltate finiscono sulla cravatta di Yoongi.
«Che carino, balbetti. Ma non devi preoccuparti. Non sono qui per cercare di spillarti soldi. È solo che mi piaci.»
Quell'ennesima confessione arriva come una folata di vento. Stavolta Yoongi cerca di rimanere in piedi. Un ragazzo bellissimo, il cui lavoro è quello di ammaliare la gente, si è appena dichiarato a lui nel bagno di un locale giapponese. Incredibile. Surreale. Troppo bello per essere vero.
Perciò Yoongi arretra, solleva un sopracciglio e «Perché?» chiede. «Perché mai dovrei piacerti?»
Minnie, che non si aspettava una reazione tanto sulla difensiva, alza gli occhi al cielo ed esala un lamento esasperato.
«Perché?» ripete in tono derisorio. «Ti sembra normale chiedere a qualcuno conosciuto in un locale perché voglia portarti a letto? È colpa del mio lavoro, non è vero? Oppure è sempre colpa di Seokjin, credi che stia tramando qualcosa attraverso me.»
Il direttore creativo scuote il capo, ma si dà dello stupido per aver davvero valutato quella possibilità. La sua rivalità con Jin rischia di mandare all'aria l'occasione più assurda della sua vita.
«Non so nemmeno io cosa credo» si affretta a ritrattare. «È solo che...»
Uno sbuffo, uno strattone, e Yoongi perde il fiato. Minnie l'ha attirato a sé trascinandolo dalla cravatta, adesso sono così vicini che i loro nasi si sfiorano.
«Ascoltami bene» dice, con voce mielosa e fiato caldo. «È molto tempo che aspetto di conoscerti di persona. Per mia fortuna, stasera ho scoperto che non sei un vecchio bavoso o un impiegatuccio petulante. Ti ho visto lì fuori, mi sei piaciuto, ti ho seguito fin qui. Se fosse tutta una trappola, perché avrei dovuto difenderti davanti a Seokjin, mh?»
Il vento, a cui Yoongi era riuscito a resistere, adesso lo schiaffeggia dritto in faccia. Sulla tavolozza delle sue emozioni, la rabbia si mischia all'eccitazione.
«Nessuno ti ha chiesto d'intervenire. Era una conversazione tra esperti e me la sarei cavata benissimo anche senza di te.»
«Davvero? A me sembravi molto in difficoltà. Come lo sei adesso.»
«Avevo tutto sotto controllo» ribadisce Yoongi, a denti stretti. «E ce l'ho anche adesso. Non sono il tipo che si scioglie per qualche parola dolce e un bel faccino.»
Minnie sorride. Non è affatto intimorito dal nervosismo dell'altro, anzi, sta cercando di pigiare i tasti giusti per aizzarlo ancora di più.
«Il mio bel faccino non è abbastanza?» cantilena. «Allora perché ti scaldi tanto? Hai fatto lo stesso errore al tavolo, sai? Ti sei arrabbiato. Se non vi avessi interrotto, chissà cosa sarebbe successo...»
Probabilmente, Minnie lo sa benissimo, ma vuole vederlo accadere di fronte a sé. Con quell'ultima allusione, raggiunge il suo obbiettivo: i tasti sono premuti e Yoongi agisce comandato dall'ira. Scaccia la mano del ragazzo con i guanti, lo afferra dal collo, lo spinge al muro. Avviene tutto velocemente, nello sfarfallio dei neon del bagno. Nella diapositiva precedente due ragazzi si gravitavano attorno cautamente, di fronte ad una finestra. Adesso, invece, sono incastrati tra il muro e la porta di un cubicolo, il primo schiacciato contro la parete, l'altro con una mano sulla sua gola. È lui a prendere la parola.
«Tu non mi conosci» sibila. «Sai il mio nome, hai visto la mia faccia, ma è tutto qui. Quello che ti ha detto Jin di me, probabilmente, sono tutte cazzate. Perciò lascia che ti dica io una verità: non ho bisogno d'aiuto, mai. E sicuramente, al tavolo, non avevo bisogno di te.»
Minnie tossicchia, si lecca le labbra. Il guizzo dell'altro l'ha colto impreparato, ma la sua stretta non è molto forte, il modo in cui lo tiene fermo contro la porta non ha niente di realmente pericoloso. La sua voce però è cambiata: adesso è profonda, roca. Il ragazzo con i guanti vuole sentirla ancora.
«Se non hai bisogno di me» ribatte, sollevando il mento. «Allora vattene. Fuggi, come hai già fatto al tavolo. Se davvero non ti interesso, torna dal tuo amato Seokjin.»
L'ultima parola gli muore in bocca. La presa di Yoongi si è fatta più salda, ma oltre le labbra tirate e la fronte aggrottata, c'è qualcos'altro; dentro di lui è in corso una lotta, quella tra il pittore e l'autoritratto. Quale emozione e quale azione dovrebbero essere dipinte sulla tela, adesso? Questa indecisione ha trasformato il suo volto. Nonostante le dita stringano, i suoi occhi sono indifesi. Ed esaltati.
Minnie sorride, la sua mano risale sul petto di lui, fino alla cravatta.
«Non vuoi andartene?» sussurra. «La violenza ti eccita?»
La rabbia di Yoongi vacilla. La sua stretta si allenta, i suoi occhi cercano una via di fuga.
«No. Io... non volevo...»
«Io invece sì» Minnie tira la cravatta con decisione, lo guarda dritto negli occhi. «Lo volevo. Lo voglio.»
La luce sfarfalla di nuovo. La diapositiva cambia ancora. I due ragazzi contro il muro si stanno baciando.
È stato Yoongi a cedere per primo, assuefatto a quelle parole, a quello sguardo. Adesso le labbra sfrontate, che tanto ha odiato negli ultimi minuti, sono premute sulle sue, morbide e dolci di rossetto. Yoongi non le sopporta. Le succhia voracemente, le lecca e poi le separa, rude e impaziente come il suo respiro. Minnie le spalanca al suo comando e si fa baciare a bocca aperta, intrecciando la lingua alla sua, mugolando nel ribollire della saliva.
È un bacio sporco e disordinato, creato da volontà diverse che cozzano l'una contro l'altra. In quel caos di calore e morbidezza, Yoongi riversa ogni cosa: delusione, rabbia e desiderio, tutto si mischia nella bocca di Minnie, tutto cresce e si appiana sotto le sue mani che artigliano, tirano, accarezzano.
Yoongi ha ancora le dita sulla giugulare di lui, sente il suo battito accelerare sotto i polpastrelli e il suo corpo protendersi, alla ricerca di una frizione. L'uomo gliela concede schiacciandolo con più decisione contro il muro, infilando una gamba tra le sue.
Minnie ansima, gli tira i capelli, si sgancia dal bacio.
«Sei diventato più coraggioso» bisbiglia e poi dà un colpo di bacino, solleva la gamba, la strofina sul cavallo dei pantaloni dell'altro. «E sei già eccitato.»
Yoongi arretra di un passo, trattiene il respiro. È vero, è già eccitato. I boxer gli danno fastidio da un pezzo, dal primo momento in cui Minnie ha stretto in mano la sua cravatta, scuotendola come un guinzaglio.
«Dovremmo andare» mormora, rauco. «Ci serve un posto più tranquillo.»
«È davvero necessario?»
Minnie lo chiede con un sorriso malevolo in volto e poi la sua mano scatta: dal petto dell'altro, finisce rapida tra le sue gambe.
«Non voglio andarmene» sussurra, e preme il palmo sulla protuberanza nascosta dai pantaloni. «Non voglio più aspettare» le sue dita si contraggono sulla stoffa, il suo polso si piega. «E neanche tu vuoi, lo so.»
Yoongi deglutisce, scuote la testa. «No, ma siamo in un bagno pubblico e...»
Troppo tardi. La sua resistenza si perde in un'imprecazione. Minnie lo sta già accarezzando, con fare deciso ed esperto; la sua mano, quasi completamente aperta, strofina con dedizione il cotone teso dei pantaloni, seguendo la linea rigonfia del membro di Yoongi, che brucia e si gonfia a vista d'occhio.
«Voglio vederlo» Minnie ansima, inclina le spalle in avanti, cerca la giusta frizione tra la sua mano e l'erezione dell'altro. «Voglio vedere quanto sei eccitato. E farti venire come si deve. Non puoi certo rischiare di macchiare i pantaloni, mh?»
Yoongi risponde con un grugnito. Le sue mani, dalla gola di Minnie, sono scese fino alle sue spalle; adesso che il piacere inizia a crescere e le gambe a tremare, ha bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi. Il ragazzo con i guanti lo lascia fare, mentre le sue dita cercano già la cerniera dei pantaloni. Sa che per abbassarla non ha bisogno del permesso. Yoongi, in fondo, non vede l'ora di sentire la sua mano dentro i boxer, sulla pelle. Sta già pregustandone la sensazione, quando il silenzio sussultante del bagno si trasforma in un boato. Qualcuno ha aperto la porta.
I ragazzi al muro si separano come i poli uguali di due calamite. L'uomo che entra in bagno li vede in piedi, ansimanti e accalorati, ma addebita il tutto al ballo e all'alcool. D'altronde, neanche lui è messo meglio. Saluta i due con un cenno del capo, poi fa per lavarsi le mani.
Yoongi lancia un'occhiata a Minnie. L'host è elegantemente appoggiato alla porta di un cubicolo, la mano sul pomello e gli occhi incollati sull'intruso: non vede l'ora che sparisca.
Il direttore creativo è d'accordo con lui. Le pulsazioni del cuore gli rimbombano nelle orecchie come il ticchettare di un orologio troppo veloce. È un rumore snervante, insopportabile. Yoongi batte il piede a terra per coprirlo. Minnie fa un risolino. Si guardano, uno con le braccia incrociate e un vistoso rigonfiamento tra le cosce, l'altro con il fiato corto e la lingua tra le labbra. Osservando Yoongi, se le lecca. Il più grande avvampa, maledice l'uomo al lavandino, l'alcool bevuto e quello stupido bagno.
"Dovremmo essere fuori di qui, nella mia camera d'albergo, sul mio letto" pensa, frustrato. Eppure, quando finalmente l'intruso fila vila, non esita neanche un attimo a fiondarsi su Minnie. E sulla porta. Insieme la attraversano, si chiudono nel cubicolo, tornano a baciarsi.
"Cosa sto facendo?"
Yoongi solleva il viso e guarda il soffitto, mentre i baci di Minnie gli percorrono il collo. Tutto questo è assurdo. L'autoritratto sulla sua tela mentale rappresenta un uomo serio, affidabile, coscienzioso. Lui non si comporterebbe mai così. Non farebbe mai sesso con uno sconosciuto. Sesso nel bagno di un night club qualsiasi.
Yoongi schiocca la lingua, si sottrae alla bocca di Minnie, cerca contatto con la realtà.
«Che succede?» si sente chiedere, mentre osserva il luogo che li ospita.
Il cubicolo è abbastanza largo, pulito, puzza d'alcol e candeggina. Il cestino è stracolmo, lo scarico del water sgocciola un po', ci sono alcuni disegni sul muro. È un ambiente funzionale e tristemente precario, raccoglie storie di passaggio senza riuscire a trattenerne nessuna. Chiuso in quel scomparto di mondo così banale e infimo, Yoongi si sente soffocare. È stato tutto un errore. Deve ignorare il desiderio, tornare sui propri passi e...
E poi lo sente. Un tocco caldo e delicato sulla guancia. Una voce melodiosa all'orecchio.
«Yoongi-nim» lo chiama. «Sei agitato?»
Lui deglutisce e «Forse sì» confessa.
«Non devi» Minnie lo bacia e gli scioglie il nodo della cravatta. «Chiudi gli occhi» ordina e gli accarezza il petto. «Non pensare a quello che c'è fuori. Pensa solo a me.»
Yoongi sospira, obbedisce. Con le palpebre calate ogni sensazione assume una corposità diversa, più definita e rilevante. Le labbra di Minnie sulle clavicole e la sua mano sui fianchi sono come ferri incandescenti, al loro passaggio la pelle brucia e il respiro si accorcia. Averli addosso è straziante e, al tempo stesso, essenziale. Yoongi vorrebbe che lo ricoprissero per intero. Perciò, con gli occhi ancora chiusi, afferra Minnie dalla vita e lo avvicina a sé, gli bacia il capo, cerca la sua erezione con le mani.
«No» il fiuto arriva dolce e categorico. «Voglio pensare prima a te. Voglio farti venire.»
Minnie lo dice piazzando la mano sul membro dell'altro. Yoongi mugola di sorpresa, ma ormai non può più opporsi: Minnie ha abbassato la cerniera, si è fatto strada dentro i boxer e ha iniziato a pompare.
«Meglio così, mh?» chiede, muovendo il polso. «Non ho le mani grandi, ma sono molto bravo.»
Yoongi vorrebbe rispondere, invece finisce col mordere la spalla di quel demone che lo tiene in pugno.
Minnie è bravo, lo è davvero. Gli accarezza il glande con il palmo, inumidendosi i guanti neri, e poi scivola giù a dita serrate, una, due, tre volte. Sa bene che velocità tenere, dove stringere, quando allentare e Yoongi sente il calore al basso ventre aumentare insieme al ritmo del suo respiro. Potrebbe venire anche subito, se non fosse per i guanti. Il cotone è ruvido e la frizione poco lubrificata. Ogni scossa di piacere è accompagnata da un sussulto di dolore.
«Mi fai male» ammette, agitando il capo contro la fronte dell'altro. «Quei guanti...»
«Lo so» Minnie ridacchia e i movimenti del suo braccio si fanno più rapidi, forsennati. «So che fa male, ma non posso toglierli. Voglio che li sporchi. Voglio portarli a casa e masturbarmi pensando a te.»
Yoongi scuote la testa. È disgustato e affascinato al tempo stesso. Non può fare a meno di immaginare la scena: Minnie sul letto, a gambe spalancate, completamente nudo fatta eccezione per i guanti che si strofina addosso, che si porta tra le labbra...
«La bocca» Yoongi lo ansima quando il connubio tra godimento e irritazione raggiunge l'apice. «Voglio la tua bocca.»
Minnie lo guarda, sulle sue labbra aleggia un sorriso.
«La mia bocca?» sogghigna. «Cosa vuoi dalla mia bocca?»
«La voglio su di me. Voglio scoparmela e...»
Yoongi impreca, afferra il polso di Minnie, lo costringe a bloccarsi.
Fuori dal cubicolo si odono dei passi, l'acqua che scorre e poi una voce.
«Yoongi-hyung, sei qui?»
È Namjoon.
Il cuore di Yoongi schizza fuori dal petto. Le sue labbra si schiudono a rallentatore. Ma, prima che possano emettere qualsiasi suono, Minnie corre a tarparle. Lo fa baciandole e si allontana sorridendo; guarda il compagno, si mette un dito davanti alla bocca per imporgli il silenzio. E poi, si inginocchia.
«Allora, hyung ci sei? Sono quasi le due!»
Yoongi si morde le nocche per non urlare. Il suo migliore amico è là fuori a cercarlo, mentre lui si trova chiuso in un bagno, con il sesso eretto e un ragazzo bellissimo pronto a succhiarlo. Man mano che la notte avanza, la situazione diventa sempre più surreale.
Eppure, non c'è dubbio che Minnie sia davvero lì, con gli occhi luccicanti di malizia e le labbra pitturate di rosso, umide e gonfie...
«No Kook, non lo trovo. Adesso provo a chiamarlo.»
Il corpo di Yoongi trema insieme al suo cellulare.
Minnie ride in silenzio, prende in mano il membro eretto di fronte a sé. E ci sputa sopra. Lo fa lentamente, lasciando sgocciolare la saliva dalle labbra, per poi spalmarla sulla pelle tesa e arrossata, dalla punta fino ai testicoli.
Yoongi distoglie lo sguardo. Il suo telefono vibra nella tasca e la sua erezione pulsa in bocca a Minnie. La sensazione è paradisiaca, quasi soprannaturale. Le labbra dell'host sono tenere come burro, lo inglobano dolcemente per metà e poi risalgono strette fino al glande, leccandolo, baciandolo. La sua lingua è quasi altrettanto morbida, ma più calda, gli solletica la base, gli accarezza i testicoli e poi scorre verso su, seguendo le vene ingrossate sotto l'epidermide ipersensibile.
Yoongi può sentire tutto con paurosa precisione. Minnie imprime in ogni atto una cura maniacale, come un modellista puntiglioso intento a costruire la nave dei suoi sogni. Non lo fa per dovere, ma per piacere. Nel modo in cui stringe il membro di Yoongi, per poi infilarselo in bocca, c'è una passione sincera, un godimento pieno e ancestrale. I suoi occhi lo dimostrano: sottili come tagli su una tela, lucidi di lacrime, scrutano il volto dell'uomo che li sovrasta mentre lui ruota il capo, fa pressione con le labbra, accarezza con le dita.
I guanti sono ormai fradici di saliva e umori biancastri, il membro di Yoongi è ridotto allo stesso modo, sgocciolante e sempre più grosso.
«Buonissimo» geme Minnie, prima di dare l'ennesimo bacio e, finalmente, ingoiarlo per intero.
Yoongi non può più resistere. Il telefono nella sua tasca squilla ancora, i passi e le voci fuori non accennano a sparire, ma quella tortura non può più continuare. Si morde le labbra a sangue e poi cala la mano sulla testa di Minnie. Lo fa rudemente, senza alcun riguardo, nello stesso modo in cui, poco dopo, gli scopa la bocca.
È stanco di essere il burattino del suo spettacolo perverso, il bambino invitato nella casa di marzapane solo per essere sacrificato davanti ad un pubblico pagante. Adesso è lui ad assumere il comando, ad affrontare il piacere che finora ha rimandato, per poterlo afferrare il prima possibile. Così, abbandonata ogni inibizione, muove i fianchi contro le labbra di Minnie, fa aderire il suo viso al proprio pube, lo costringe a succhiare fino in fondo.
L'host reagisce spalancando gli occhi. Lacrime e saliva si mischiano sul suo mento, gli schiocchi acquosi delle sue labbra si alternano agli ansiti secchi provenienti dalla sua gola. Sta soffocando. E la cosa gli piace. Gli piace da impazzire.
Yoongi trova la scena orribile, quasi offensiva. Vorrebbe fermarsi, ma è proprio il ragazzo con i guanti ad impedirglielo: con una mano lo tiene ancora ben stretto dai testicoli, mentre con l'altra si aggrappa alla sua coscia, per accogliere meglio gli affondi del suo bacino.
Ormai il rumore dell'atto ha superato il vibrare del cellulare. Il gorgogliare osceno della bocca di Minnie rimbomba nel cubicolo stretto e freddo, lo sbattere volgare del suo volto sul ventre di Yoongi si amplifica ad ogni colpo.
"Sentiranno" l'uomo lo pensa trattenendo a stento una bestemmia. "È impossibile che non sentano, che non capiscano."
Incredibilmente, la cosa non lo preoccupa affatto, anzi, fomenta il suo piacere. Quella che era iniziata come una tortura adesso è la sua principale fonte di godimento. Insieme alla voce di Minnie. Riesce a sentirla, oltre lo sciabordare umido delle sue labbra: un lamento sottile, flebile e singhiozzante, che implora d'essere ascoltato.
E Yoongi lo fa, Yoongi lo ascolta fino alla fine, finché proprio lui interrompe la melodia, iniziando ad ansare furiosamente. La sua presa sui capelli di Minnie si allenta, il ragazzo in ginocchio torna a respirare e poi tira fuori la lingua. Vuole leccare fino all'ultima goccia.
Yoongi lo accontenta, abbandonandosi al piacere in un ringhio soffocato. L'orgasmo è forte e sconvolgente, lo scuote a tal punto che le gambe gli cedono. Se non ci fosse Minnie lì di fronte, cadrebbe. Ma, per fortuna, Minnie c'è, e sta ingoiando il suo seme, succhiandolo via dal glande ancora fremente, asciugandosi le labbra con i guanti.
Vederlo così, prostrato davanti a lui, spedisce Yoongi in una dimensione astrale, sospesa tra ribrezzo carnale ed estasi spirituale.
Il cellulare smette di vibrare quando Minnie si rialza da terra. Lo fa a fatica, boccheggiando. Ha le guance chiazzate e le labbra spaccate agli angoli. Il rossetto che si era messo con tanta attenzione è disfatto, gli imbratta il labbro superiore e il mento come sangue tra le zanne di un vampiro. Sembra esausto.
Nel vederlo ridotto a quel modo, il vuoto post-orgasmo di Yoongi si trasforma in tenerezza. Solleva la mano con cui fino a pochi secondi prima gli bloccava la testa, per poggiarla sulla sua guancia; con le dita, gli pulisce il viso dallo sperma e dalle macchie di trucco. Minnie accetta quella gentilezza chiudendo gli occhi, come un bambino che aspetta le carezze della madre per potersi addormentare.
«Allora? Valeva la pena conoscermi?»
Lo chiede con voce sfibrata, arrochita. La gola gli duole. Yoongi si sente in colpa.
«È la cosa migliore che mi sia successa oggi» perciò ammette, come per farsi perdonare. «Però vorrei conoscerti ancora più a fondo. Dovresti venire in albergo con me.»
Minnie dondola il capo, gli bacia le dita, poi si sottrae alle sue carezze e va verso il dispenser della carta.
«Lo stesso albergo in cui alloggia Seokjin» riflette, tamponandosi la bocca. «Non mi sembra una buona idea.»
«Allora io potrei...»
«Domani ho un appuntamento alle nove. Casa mia è off-limits. E anche i love motel. Si è fatto tardi.»
Yoongi, che si è ripulito e rivestito, inarca un sopracciglio. Minnie lo nota e sorride.
«Che c'è? Solo perché ti ho appena fatto un pompino credi che sia un pazzo irresponsabile? Io ci tengo al mio lavoro. Non posso rischiare di presentarmi ad un cliente con i postumi di una notte di sesso selvaggio.»
«Chi ha detto che sarebbe selvaggio?»
«Lo dico io» Minnie si ravviva i capelli e poi sospira. «So cosa mi piace.»
«Allora perché tante storie? Facciamolo qui...»
Il ragazzo con i guanti alza gli occhi al cielo, poi si accosta al direttore creativo e gli sistema la cravatta.
«Yoongi-nim» lo invoca dolcemente. «Vorrei davvero farmi scopare da te stanotte. Così come volevo davvero farti un pompino. Ma il mio tempo è scaduto. Non preoccuparti per me, ho sempre questi.»
Con un sogghigno, strofina la guancia contro i guanti sporchi. Poi se li sfila, li piega, e li ripone nello zaino.
Yoongi non sa più cosa ribattere, il suo encefalogramma è piatto. Nei minuti successivi, manda un messaggio per rassicurare Namjoon, mentre Minnie aspetta che il bagno si svuoti, in modo che possano uscire insieme senza destare sospetti.
«Va bene, via libera» dichiara dopo un po', ed entrambi si riversano fuori.
Si lavano le mani l'uno accanto all'altro, Yoongi si raddrizza la cravatta, Minnie applica di nuovo il rossetto sulle labbra martoriate.
Il più grande è ancora scombussolato. L'alcool, l'orgasmo, il rifiuto inaspettato. La sua mente vaga nel vento senza mai trovare un punto d'appoggio. Ripensa a Minnie sulla pista da ballo, al fianco di Seokjin, e poi a lui inginocchiato in bagno, tra le sue gambe. Sono due immagini contraddittorie eppure, a detta dell'host, possono coesistere.
"Ma per me non è così. Il mio autoritratto non ammette contraddizioni."
Ciò che sta vivendo adesso, allora, cosa diavolo è?
«Hyung!»
La voce di Namjoon rimbomba tra le mattonelle bianche del bagno. Entrambi i ragazzi al lavandino ruotano le manopole, si voltano.
«Ehi» borbotta quello in camicia. «Ero fuori a fumare, scusa, non ho sentito il telefono.»
Minnie accanto a lui alza una mano. «Posso confermare. Mi ha prestato l'accendino.»
Il contabile occhieggia entrambi e poi scuote il capo.
«Va bene, non importa. Ma hyung, non farlo mai più. Soprattutto dopo aver bevuto!»
«Joon, io sono sobrissimo.»
«Sì, certo come no. Ho già chiamato un taxi comunque. Ti aspetto fuori.»
«Grazie e... prendi la mia giacca al tavolo, per favore.»
Yoongi glielo urla dietro prima che la porta a spinta si chiuda. Minnie ridacchia.
«Sei proprio un despota. Ti ha aspettato finora, dovresti trattarlo meglio.»
«E perché? In fondo è colpa tua se ha dovuto aspettare.»
«Touché.»
Minnie glielo soffia nell'orecchio, prima di lasciargli un bacio minuscolo sul lobo.
«È stato un piacere conoscerti di persona, Min Yoongi.»
E così, sparisce. Esce dal bagno come ci era entrato, bello e solo.
Yoongi scuote il capo. Si sente come un paziente reduce dal coma. Dopo mesi di sogni e allucinazioni, come è possibile tornare a vivere nel mondo reale?
Lui non ne ha idea. Una cosa però è certa: l'autoritratto a cui si era tanto dedicato non esiste più. La tela e i pennelli hanno preso fuoco. Del Min Yoongi ideale rimane solo cenere.





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Salve a tutti!
Sono tornata con una storiella creata per passatempo, in onore dei guanti Jimin e della sua performance in ON.
Ho cercato di divertirmi un po' al presente, sfruttando un onestissimo pwp, che potrebbe (dovrebbe) anche avere un seguito, ma per ora è tutto in forse. Intanto, spero vi siate goduti questo capitolo autoconclusivo.

Adesso che ho distribuito la mia dose di porno al mondo posso tornare nell'oblio.
Grazie per la lettura e a presto! 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 04, 2020 ⏰

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