silenzio.

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Nelson sentiva la frustrazione salire ogni secondo di più.

Quella era la sua canzone, quella che aveva scritto con le lacrime agli occhi seduto sul pavimento della cucina dopo il litigio con Cesare, quello che aveva quasi fatto finire tutto.    Quella stessa canzone che gli aveva poi fatto sentire alle quattro del mattino mentre erano sdraiati sul letto, sudati e ancora sfiniti dall'amore che avevano consumato dopo aver fatto pace. Era la sua canzone, la loro.

Ed ora era là per inciderla, per darle finalmente una vita propria, per darla in pasto al mondo. E ne era contento davvero, anche se ancora sotto sotto lo terrorizzava il fatto di regalare alle altre persone un pezzo tanto intimo della sua persona. Forse era questo che lo bloccava. 

 Si trovava davanti al microfono da ore probabilmente, continuava a provare e riprovare a registrare la sua voce ma ogni volta il risultato era a malapena scarso. Non riusciva più a concentrarsi. La canzone veniva male ed era già frustrante di suo, ma il fatto che la sua canzone, il suo piccolo pezzo di cuore dell'album gli stesse dando così tanti problemi gli faceva aumentare il nervosismo ancora di più. 

Com'era possibile che una canzone così personale sembrasse così estranea mentre incideva? quello che lo faceva infuriare non erano gli errori nella sua voce d'altronde, anche se bisogna ammetterlo c'erano ed erano il motivo per cui si trovava ancora lì a ripetere il pezzo e non avevano già finito. La sua rabbia arrivava dal fatto che la canzone non sembrava già più sua dal momento in cui aveva messo le cuffie e aveva cominciato a cantare nel microfono. E quello lo spaventava a morte e lo faceva stonare.  

Nelson si tolse le cuffie e le lanciò contro il muro in un scatto di rabbia. Ne aveva avuto abbastanza. Stava solo facendo perdere tempo a tutti, tutte quelle persone che erano là perché avevano creduto nel sogno suo e dei suoi amici, proprio quegli amici che erano stati impeccabili, avevano registrato le loro parti senza lamentarsi e senza errori anche se erano le cinque del mattino ed erano tutti stanchi morti.

 Era un fallimento. La sua canzone era un fallimento, il talento che credeva di avere non esisteva. Stava solamente deludendo tutte le persone che ora si trovavano dall'altra parte del vetro e che lo guardavano con aria preoccupata. Prendendosi la testa tra le mani e tirandosi i capelli, Nelson cominciò a respirare forte. Aveva bisogno di mettere i pensieri in pausa ma non poteva permetterselo, non era il momento per crollare, questo era il suo momento di dimostrare a tutti che poteva farcela. Ma non riusciva a rimettere quelle cuffie sulla testa e riprovarci, il solo pensiero lo faceva rabbrividire. Sentiva la frustrazione costante nel suo petto come il rumore del motore sotto i sedili quando guidi. Aveva bisogno di scappare, di uscire da lì, di andare lontano da questo suo fallimento. Come aveva anche solo pensato di poter fare una cosa del genere? Era stato uno sbaglio credere in questo sogno, davvero troppo grande per il piccolo Nelson Venceslai. 

Si alzò di scatto: sentiva il bisogno di sfogarsi, di liberarsi di questa frustrazione e di questa rabbia. Senza quasi rendersene conto si ritrovò a scagliare il ventilatore che stava alla sua destra contro il muro, sicuramente ammaccandolo. Riprendendo coscienza di sé stesso e capendo cosa aveva fatto non potè fare altro che abbandonarsi ad un pianto amaro, di quelli che fanno male al petto, di quelli che sembrano andare avanti per l'eternità. 

Nel mezzo di quel mare di lacrime sentì due braccia familiari circondargli il corpo e attirarlo a sé. Nelson si rese subito conto di chi era, sentiva quella sensazione di familiarità e calore che lo faceva sentire al sicuro da ogni cosa, come a casa: Cesare. Non ebbe il coraggio di incrociare il suo sguardo ma non ce n'era bisogno, da quella posizione con la testa appoggiata alla spalla di Cesare riusciva benissimo a sentire ciò che il ragazzo gli sussurrava tra i capelli "va tutto bene Nels, è tutto okay giuro". E di solito quelle parole a Nelson sembrano vuote. dire che tutto è okay non rende quasi mai la situazione migliore. Ma se le diceva Cesare quelle parole allora Nelson un po' ci credeva.

Cesare continuò a tenere Nelson stretto a sé, a cullarlo finché il suo respiro non tornò normale e le lacrime si asciugarono sul suo viso. "Sono un fallimento" sussurrò Nelson alzando finalmente la testa e incrociando lo sguardo del suo ragazzo "sto facendo un casino e sto deludendo tutti". "Hey hey fermo un attimo. Nelson è normale fare degli errori. Un solo errore non ti rende un fallimento. Tu sei talentuoso, dolce, bellissimo, divertente e soprattutto sei caparbio. Non ho mai visto Nelson Venceslai mollare, non nelle cose che contano. Nelson hai un modo di arrivare al cuore con la tua voce e con le tue canzoni che è speciale. Sei nato per fare emozionare le persone. Per cui non sarà certo una registrazione che non va a bloccarti". Cesare gli disse tutto questo guardandolo dritto negli occhi come se volesse assicurarsi che Nelson avesse capito perfettamente cosa voleva dirgli. 

"Ti amo Nelson. Lo sai che ti amo. E che sono fiero di te, sempre. Sono fiero di amare una persona straordinaria come te. Per cui adesso rimetti le cuffie, vai davanti a quel microfono e fai vedere a tutti quanto è speciale la voce del ragazzo che amo".

Un sorriso spuntò automaticamente sul viso di Nelson come ogni volta che Cesare gli diceva di amarlo. Cesare si precipitò a baciare il sorriso di Nelson e ad accarezzargli teneramente le guance per togliere ogni traccia delle lacrime e insieme a loro nelson sentì la frustrazione e l'insicurezza andare via. Cesare credeva in Nelson, Cesare lo amava. E quindi Nelson poteva farcela.

Dopo aver sussurrato a Cesare un ti amo di rimando, i due ragazzi finalmente si alzarono dal pavimento e con un ultimo bacio Cesare tornò al suo posto dall'altra parte del vetro, pronto a vedere il ragazzo che amava spaccare come faceva di solito.

Nelson rimise le cuffie e dopo essersi scusato velocemente con gli altri ricominciò ad incidere la sua canzone. 

Era ritornata ad essere la sua canzone, quel pezzo della sua anima. In quel momento capì che anche se quella canzone fosse andata a colmare i vuoti di qualcun altro, sarebbe sempre stata sua e di Cesare. In quel momento Nelson si rese conto di quanto fosse strano e a tratti divertente il fatto che lui e Cesare fossero legati da una canzone così malinconica quando invece la loro relazione era la cosa più bella delle loro vite. Ma alla fine il loro amore era fatto di contraddizioni, di stranezze. Funzionava perché insieme avevano smesso di aver paura del silenzio che da sempre aveva spaventato a morte i due ragazzi. Perché il silenzio significava non avere niente da dirsi. Ma per loro due questo non valeva più perché anche il silenzio fra loro era carico di significato, di voglia di scoprirsi, di stare insieme, di amarsi, di viversi.

Nelson incrociò lo sguardo con Cesare che dall'altra parte del vetro lo guardava con un sorriso stampato sul viso e si sentì sorridere a sua volta mentre continuava a cantare la loro canzone.

"Ma che ne sai tu del silenzio?"

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