prologo

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Finalmente via e lontani dalla caotica confusione di città, dalla puzza di scarico e dalle urla e bestemmie degli automobilisti nel traffico ad ogni ora, dalla confusione e dalle troppe persone, su quella collinetta sotto il flebile brillare delle piccole stelle, dove vi era un'aria veramente diversa in tutto per tutto da quella della città. Un bel fresco. E i due si appostarono su una radura, sul dorso della collinetta, dove a circondarli c'erano tutti gli alberi del bosco pieni di un fascino dato dal bianco chiarore della luna che li delineava.
Quella docile luce bianca si immergeva negli occhi spalancati e pieni di stupore di Renox e la sua espressione su quel soffice e liscio volto da bambino di soli sette anni, era intrisa di magia e meraviglia. Era così tranquillo e stupefatto mentre assaporava quella morbida aria estiva e serale, fresca e rinvigorente.
Era tutto perfetto: l'atmosfera stracolma di piacere, il cielo punto da innumerevoli stelle che scintillavano come lanterne nel buio, le comode e calde tende,  la bellezza del telescopio, bianco e pulitissimo, perfetto in ogni dettaglio e lineamento. Questo appariva poi così fragile. E solo sotto la guida della mano esperta del padre, il piccoletto e promettente futuro astronomo, con maggior sicurezza, riuscì finalmente a posare l'occhio su quella lente. Così e solo per quella sera, vide il cielo che tanto fissava ogni volta nello smog cittadino dalla finestra della sua cameretta, come non lo aveva mai visto in tutta la sua vita.

Rimasero svegli a lungo, stesi sull'erba che li arrivava quasi fin sopra le guance e che solleticava i loro visi. E sotto il cielo, Renox si perdeva in quel profondo oceano sopra la sua testa dove le stelle sembravano innumerevoli vascelli che lo solcavano.

"Chissà come sarebbero, se esistessero", sussurrò d'un tratto, in un momento di silenzio e relax, il piccolo Renox.
Suo padre rispose voltandosi verso di lui accennando un'espressione di dubbio.
"Gli alieni..."
"Beh, dipende. Ma non credo che siano molto diversi da noi. Probabilmente proveranno sentimenti, sapranno amare oppure odiare, sbagliare o fare le cose giuste; c'è sempre chi è buono o cattivo, nessuno è uguale di carattere. Almeno per noi umani è così. Ma chissà..."
Renox dopo pochi minuti, mentre continuava ancora ad osservare le stelle disteso sul letto d'erba bagnata di rugiada, non riuscì più a opporsi al peso delle palpebre e si addormentò con quel suo immancabile viso angelico, pieno come la luna in quella sera. Il papà lo raccolse tra le sue braccia portandolo all'interno della capiente tenda adatta per riscaldare, accogliere e sostituisce perfettamente, forse anche meglio, qualsiasi tipo di letto. Infine gli rimboccò le coperte ben strette e si stese affianco al piccolo angioletto addormentato e, senza che nemmeno se ne accorgesse, chiuse gli occhi anche lui.

***

Quando sorse l'alba, contro le aspettative dell'uomo che sorpreso si alzò, Renox era già in piedi ad osservare il giovane sole mentre le gocce di rugiada pendevano dalle foglie.
Il padre del bambino aveva all'inizio in programma di alzarsi per primo, con l'intento di iniziare a raccogliere un po' di cose. Sempre con tutta calma poiché era domenica e l'agenda era vuota, finalmente. Cosa più unica che rara. La prima cosa che egli prese e conservò, con mano esitante, come se fosse una fragile reliquia, fu il telescopio. Ogni pezzo andava messo con criterio e con estrema cura dentro la valigetta dopo che veniva smontato delicatamente, anche se quel apparecchio era più duro di quanto sembrasse. Renox intanto piegava tutte le coperte all'interno delle tende, certamente muovendosi molto più velocemente in confronto al padre. Quest'ultimo successivamente andò a chiudere la tenda e fu rapido nel farlo. Ma quando suo figlio si piegò per raccoglierla... il sole si spense e qualcosa iniziò a pesare sulle loro spalle.
Era il cielo, che era diventato d'acciaio.

NEI CIELI

I Votan erano rimasti fuori da ogni cosa per tanto tempo: un tempo immenso ma dal peso d'una piuma, che aveva perso consistenza diventando come una cosa impercettibile. Erano definitivamente andati via dal suo dominio. Ma quel periodo tuttavia aveva pesato sulle spalle delle innumerevoli generazioni che in esso erano esistite. E solo quando riaprirono gli occhioni, tre volte più grandi e molto più profondi di quelli degli umani, quando l'oscurità per loro svanì e cominciarono a percepire nuovamente i propri battiti e respiri, la pesantezza del flusso inarrestabile del tempo li aveva ripresi e ristretti a sé.
Il primo Votan si svegliò non appena la capsula di ibernazione si fu aperta, sentendo così il primo suono dopo aver dormito così a lungo. Un aspro suono meccanico. E l'oscurità di cui si trovò circondato era identica a quella in cui era immerso quando era inconscio. A parte che questa pesava, ed era percepibile.
Successivamente, I suoi passi furono pressoché identici ai primi che può compiere un neonato: scoordinati e deboli. E una forte nausea iniziò subito a pulsare nella sua gola quando si svegliò, come se fosse affetto da una forte febbre che lo portava ad avere anche violenti giramenti di testa persino mentre stava fermo. 
Perse inevitabilmente l'equilibrio e cadde in ciò che all'apparenza era un pozzo infinitamente profondo, e nel momento in cui i suoi palmi ebbero un contatto con il nero pavimento metallico, il sangue che aveva appena cominciato a percepire scorrere, quasi si gelò nuovamente all'interno delle vene. Faceva così freddo in quella sconfinata stanza di metallo, rimasta sigillata per millenni. Quella sensazione lo spinse a scattare nuovamente in piedi, in modo troppo veloce, poiché così i suoi giramenti di testa si aggravarono: nulla intorno a lui stava più fermo, anche se non vedeva altro che un buio interminabile e vuoto.
Nemmeno lui riusciva a tenersi fermo, dritto e stabile più. Per questo andò nuovamente a sbattere. Ma prima di ricadere al suolo ancora una volta, tutto riacquistò colore: il tetto si apri lasciando spazio a un sottotetto di vetro, l'oscurità si ritirò, la luce del cielo si propagò in ogni angolo della sconfinata stanza. Allorché si rivelarono sconfinate file di capsule. Ma il giorno bruciava nello sguardo del Votan, tant'è che fu ancora più disorientato e confuso, e solo dopo qualche interminabile secondo trovò la forza di riaprire gli occhi vedendo così le migliaia di scatole nere e fredde che si aprirono emanando un intenso, lungo e freddo rumore meccanico. E la luce del sole si posò subito sui volti inespressivi, quasi privi del loro colore viola, e sulle palpebre serrate, del resto della specie, dando loro un benvenuto che bruciava.
Mai nella storia gli occhioni Votan avevano sofferto la luce, la luce che tanto amavano e a cui non potevano rinunciare per la loro terra e raccolto. Solo quella volta in cui ne erano rimasti separati per così tanto tempo.
Si lamentavano, si contorcevano, provavano a rialzarsi, cadevano, imprecavano, alcuni persino vomitavano. Tuttavia, tra mille lamenti( mille solo in quell'enorme stanza) risuonava mille volte più forte lo stridulo pianto di qualche neonato. Ma quando riacquistarono tutti quanti la vista e ogni cosa attorno smise di muoversi, il pavimento divenne trasparente: si aprì. Il primo strato di pavimento si ritrasse lasciando spazio ad un sottopavimento di vetro spessissimo e durissimo quanto il diamante ma estremamente trasparente, esattamente come quello che già avevano sopra la testa. Questo fece sì che l'onda anomala che si stava innalzando in modo sproporzionato, sotto le Arche e sotto i loro piedi, diventasse visibile.
Quell'onda anomala era formata da un ammasso di innumerevoli corpi vivi che emettevano infine grida e producevano disordine. I Votan la osservavano e i loro volti scossi, colmi di sgomento e paura. Tanta paura... una paura dovuta proprio dal fatto che non potevano conoscere le catastrofiche conseguenze che tutto ciò avrebbe portato, consapevoli soltanto che sarebbero state disastrose. E presto capirono che queste erano state causate da un unico loro errore: la Terra non era stata una meta scelta per caso, perché oltre a essere la più vicina, era anche l'unico pianeta abitabile e privo di forme di vita troppo evolute, ma questo almeno millenni e millenni prima.
La ragione negli umani aveva cessato di esistere.

***

L'indomani le prime bombe iniziarono a cadere sulle Arche come una scalpitante pioggia. L'oscurità all'orizzonte si interrompeva e veniva gradualmente inghiottita da una rossa e malvagia luce di gigantesche fiamme, che si levava e ingrandiva accompagnata da un incessante frastuono, come se vi fosse una pioggia di fulmini che si nascondeva nei suoi meandri. 
Non lontane le persone furono provvisoriamente raccolte in degli allestimenti tirati su nell'emergenza. 
Renox assisteva a quello scenario, terrorizzato; era da solo, aveva smarrito la famiglia... suo padre gli afferrò il braccio e cominciò a portarlo via tenendolo stretto il più che potesse. Ma una valanga di corpi investì entrambi così forte che il piccolo cadde immediatamente sull'asfalto. E l'uomo non ebbe nemmeno il tempo di aiutarlo a rialzarsi, che entrambi furono violentemente strattonati nuovamente. La testolina di Renox andò violentemente a sbattere contro le macchine, e non ebbe più forza di rialzarsi dopo.
Il suo braccio veniva ancora stretto dalla mano del padre che provava disperatamente a salvarlo: tra i selvaggi e furibondi strattoni, non lo lasciava, non poteva. Ma pian piano che quel braccio scivolava dalle sue dita, l'onda si ingrandiva. Lui cercava di afferrarlo anche con l'altra mano e Renox lo stesso. L'intera città si era riversata su quella strada. Il sole era stato eclissato, l'orizzonte persino si era riempito d'oscurità e le urla provenivano da ogni dove.
Infine, l'uomo andò definitamente a mancare dopo aver perso il piccolo, poiché fu buttato a terra e pestato da migliaia di persone. L'ultima cosa che vide fu il corpicino di Renox che annegava in quel mare. 
Ora il povero piccolo era destinato a rimanere abbandonato a se stesso, tra i rifugiati, e quel rimbombo non cessava mai e le fiamme continuavano a ingigantirsi.

A cosa avrebbe poi portato il corso degli eventi? L'intero genere umano visse una disastrosa guerra e ogni storia che si potrebbe raccontare è triste, piena di orrore, un incubo. Quando tutto incominciò, in molti smarrirono le loro famiglie e non le ritrovarono più.
Perché fu così crudele questa guerra? Beh, loro cos'erano, e cosa eravamo noi per loro?  

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