NOTA: CARUSO = ( DAL DIALETTO SICILIANO)BAMBINO,RAGAZZINO
Era da un mese ormai che i carusi si rifiutavano di andare fin là giù , nella parte più bassa della galleria. Solo Mario, il più grande e forte tra di loro era stato mandato in fondo alla miniera per poi uscirne e dimostrare ai bambini, e un po' anche ai grandi, che erano tutte scemenze. Nonostante ciò nessuno, né piccoli, né adulti, scendevano volentieri in quella zona. Il mese prima, nella miniera di zolfo, era crollata la parte terminale della galleria, che aveva travolto uno dei carusi. Niente di speciale, i crolli e i minatori che ne morivano schiacciati erano all'ordine del giorno, se non fosse che questa volta la vittima era Melo u Iancu. Melo era stato prelevato quattro mesi prima dall'orfanotrofio, adottato da una famiglia del luogo e subito avviato al lavoro della miniera. Come minatore non valeva molto, era debole, malaticcio e pallido di suo (da qui il soprannome), già prima che fosse adottato e mandato a lavorare in quell'inferno giallo. Nonostante tutto, nella miniera gli altri carusi lo invidiavano perché u zu Saru, il più anziano, vedendolo così pallido e magro, gli prestava maggiori attenzioni: gli lasciava parte della sua minestra, faceva in modo che a lui andassero solo i lavori più leggeri, lo difendeva dai carusi che lo picchiavano e a volte se lo portava in paese a fargli prendere una boccata di aria fresca che certamente lo avrebbe aiutato, vista la cagionevole salute. U zu Saru, forse per la veneranda età , forse per il troppo sforzo in miniera, o forse per entrambi i motivi morì improvvisamente. Il povero Melo rimase solo, i carusi lo picchiavano e spesso era mandato a perlustrare i luoghi più pericolosi della miniera. Fu così che anche lui come u zu Saru se ne andò. Lo avevano mandato a scavare proprio in quella pericolosa zona finale della galleria e fu travolto dall'ennesimo crollo. Alcuni minatori dall'animo gentile si misero a scavare per cercare di salvare il malcapitato. Ma appena cominciarono a spalare terra e a togliere pietre, il capomastro della miniera che stava lì ad osservare li fermò: "Non vale la pena sforzarsi così tanto per salvare un caruso inutile come Melo, tanto tra qualche giorno sarebbe morto lo stesso, magro com'era. Forza, tornate a lavorare!" ordinò freddamente il padrone. I minatori, come da ordine, tornarono a lavorare, abbandonando le ricerche del povero caruso. Qualche giorno dopo, altri due carusi furono mandati in quel posto pericoloso, a cavare zolfo, perché era proprio lì, in quel maledettissimo luogo che si concentrava gran parte del prezioso minerale. I due non tornarono più indietro, questa volta non per colpa di un crollo. Tutti i minatori si chiedevano come mai i carusi non tornavano; già nella miniera giravano voci di come l'anima di Melo u Iancu fosse rimasta intrappolata in quel posto, pronta a portare con sé chiunque si fosse avvicinato al luogo del suo decesso, per vendicarsi dei soprusi subiti quando era in vita. Come detto prima, solo Mario, dopo la misteriosa scomparsa dei due giovani, ebbe il coraggio di avventurarsi nel posto maledetto: stranamente però, lui ne uscì sano e salvo, con un grosso sacco pieno di zolfo sopra la testa. I minatori incuriositi chiesero come fosse sopravvissuto e cosa avesse visto in quel posto. Mario raccontò che, nonostante le innumerevoli torce che piazzava sulle pareti, al centro della grotta, dove stava il cumulo di terra, era completamente buio e non c'era modo di rischiararlo; disse anche che in una delle pareti erano incise delle scritte che solo a toccarle gelavano le mani. I minatori restarono sbalorditi dalle parole del caruso, adesso tutti volevano sapere cosa c'era scritto nella parete, ma nessuno sapeva leggere......L'unico che aveva frequentato le scuole, era il capomastro che però non ne voleva sentire di scendere in quel posto tanto umido con il rischio di rompersi un piede o di essere schiacciato da un altro crollo. La curiosità era tanta, anche per il capomastro che per l'occasione richiamò al lavoro un minatore, da tempo licenziato perché anziano: Turiddu Calà detto "u poeta", forse l'unico tra quelli che sapevano leggere ad avere abbastanza coraggio e sana curiosità per scendere laggiù.
Tutti i minatori quella mattina andarono al lavoro curiosi di ciò che poteva scoprire u poeta in fondo alla galleria maledetta. "Tutte baggianate" ripeteva il poeta , ma anche in lui, se pur piccolo, scorreva un filo di paura. "Vi accompagno io, che già conosco il posto", disse con voce sicura Mario.
I due, afferrate le loro lampade di acetilene, si addentrarono lentamente, con il cuore in gola dentro le fauci di pietra. L'anziano poeta procedeva lentamente, si aggrappava spesso alle pietre che sporgevano dal muro e si aiutava con il suo bastone , dava l'idea di poter cadere da un momento all'altro, così Mario porse al tremolante uomo il suo forte e giovane braccio per potersi appoggiare.
Ci volle un bel po' prima di arrivare in fondo alla galleria, ma appena arrivati, i due uomini si strinsero ancor più uno all'altro con un braccio, quasi a volersi far coraggio, mentre con le mani libere alzarono le lampade, che fino a quel momento avevano schiarito i loro passi, verso i muri del nerissimo budello in cui si trovavano, alla ricerca delle misteriose iscrizioni. Ma per quanto sforzassero la vista, una strana e profonda oscurità, non permetteva loro di vedere nulla. All'improvviso una specie di bagliore colpì i lori occhi sgranati per la lunga oscurità a cui erano stati sottoposti, le flebili luci delle acetilene avevano colpito sulle pareti nerissime dei segni che si erano illuminati come delle scintille, facendo sobbalzare i loro cuori già provati dall'ardua impresa a cui si erano sottoposti. Le scritte, c'erano davvero! Eccole incise sulla viva roccia come da artigli d'acciaio, segni profondi e sconnessi, ma chiari e reali. Avrebbero voluto urlare "cca, cca sunu( QUA QUA SONO)", ma non uscì nulla dalla loro bocca arsa dalla tensione. Entrambi li guardarono senza capirne il significato, accecati dalla paura e dall'ansia. Tuttavia, dopo un primo normale smarrimento, il vecchio poeta, preso il coraggio a due mani, cominciò a leggere le tetre scritte, cercando la parola successiva che non sempre era accanto alla precedente. Quello che pian piano l'anziano leggeva raggelò il sangue nelle vene dei due temerari. L'anziano uomo pronunciò: "Quando la mia anima lascerà questo posto, sappiate che andrà in Paradiso, perché l'Inferno io l'ho già vissuto quaggiù."
I due restarono impietriti da quello che aveva letto u poeta, tante domande percorrevano la giovane mente di Mario ... ma nessuna parola, riusciva a liberarsi dalla sua bocca.
Turi ne aveva viste tante di stramberie nella sua vita, ma questa le superava tutte.
Le sue grinzose mani strinsero forte il ragazzo: "Ce la faremo" pronunciò piano.
Polvere e sassi, intanto, cominciarono a cadere sui due coraggiosi, la volta della galleria cominciava a sbriciolarsi, inspiegabilmente, come il guscio di una noce nella morsa di uno schiaccianoci.
Mario era giovane e le sue gambe correvano veloci , ma il povero vecchio...lui no, non ce l'avrebbe fatta con le proprie stanche gambe, gravate del peso di quarant'anni di lavoro in miniera.
Mario poteva scegliere: salvare la sua vita abbandonando don Turi, oppure rischiare grosso tentando di salvarlo. Le parole poco prima pronunciate dal poeta rimbombavano nella testa del caruso, che dopo una breve riflessione, lo prese sulle spalle, novello Enea, e si avviò più velocemente possibile all'uscita della galleria e quindi alla salvezza. Cadde varie volte, ma le richieste d'aiuto del poeta lo incitavano a rialzarsi e a trovare dentro di sé più forza di quanta ne avesse veramente.
La fortuna li aiutò e riuscirono ad allontanarsi da quell'orribile posto.
Tutti i minatori, vedendoli uscire tra polvere e rumori, dalla miniera, li guardarono increduli come se vedessero due fantasmi. Il poeta, dopo essersi scrollato di dosso la polvere, disse solennemente: "Questo ragazzo è un eroe! Ringrazio lui se sono ancora in questo mondo e sono sicuro che anche Melo, se pur accecato dalla rabbia, abbia provato compassione per me, un povero vecchio, e per l'altruismo di Mario che ha messo a rischio la sua vita per salvare la mia". Un forte e accorato applauso risuonò per tutta la miniera.Il giorno dopo, il capomastro ordinò di far chiudere quella galleria e da allora l'anima di Melo trovò pace e non fece più vittime. Ma, a distanza di anni, ancora, qualche zolfataro afferma di sentire una fredda mano bianca che gli accarezza il viso mentre lavora, o di udire il ghigno beffardo di un bambino che risuona nelle profondità della miniera.
DI:
Carlo Uccellatore