Sono tornato al tavolo, quello nostro. E di Jesus. E di qualcun altro del cast che si è unito a noi.
Ma non c'è niente, non c'è nessuno.
Non c'è la vostra roba, non ci siete voi.
Non ci sei tu seduta a guardare fuori, proprio come quando ti ho lasciato.
Mi guardo attorno.
Vedo Jesus con gli altri ragazzi, seduti tutti insieme ad un altro tavolo.
Ma non vedo te o il tuo telefono sul tavolo o la felpa che tenevi appoggiata allo schienale della sedia, niente.
Non ci sei.
Decido di sedermi comunque, ma questa volta al tuo posto. Magari torni.
Hai voluto il tavolo con l'affaccio sul mare, volevi sederti accanto alla vetrata e goderti il rumore delle onde e la vista.
"Ma non lo vedi"
"Non fa niente"
Mi hai guardato, mi hai supplicato con lo sguardo.
Ci tieni a queste cose. Ed io non sono uno estremamente romantico, non lo sei neanche tu, ma ti piacciono queste cose piccole, semplici, che non sono niente ma che per te sono.
Ti ho accontentata, hai mostrato quel tuo sorriso largo, particolare, che compare quando sei felice come una bambina.
Che poi, tu, un po' bimba lo sei perché a volte ti ci trasformi.Ti ho lasciato scegliere tutto.
Il tavolo, il posto tuo che hai voluto nell'angolino dietro agli altri, il posto mio che hai voluto davanti a te.
Ti ho lasciato scegliere anche il mio piatto perché volevo assaggiare qulcosa che piacesse a te, uno di quei piatti che non mangi ovunque, che non mangi quando torni a casa perché, per quanto ti piaccia cimentarti in cucina, sei troppo stanca per metterti davanti ai fornelli.
Ti ho lasciato scegliere tutto, ma non il vino. Quello l'ho scelto io, è compito mio.
Hai parlato, sorriso, scherzato.
Hai riso alle mie battute che, per quanto pessime a volte, ti facevano ridere davvero.
Ridevi anche per il nulla, come spesso fai.
E mi guardavi.
E ti guardavo, tra un sorso di vino e l'altro.
Ti guardavo e mi beavo.
Della tua risata, della tua compagnia, della tua spontaneità.
Della te al di fuori dal set, in una normale serata tra amici.
Della te che prendeva il mio calice e beveva tranquillamente, come se fosse la cosa più normale al mondo, un po' come quando eravamo in Thailandia.
Mi beavo di te e basta.
Anche dei tuoi silenzi, quelli che calavano nel mezzo delle conversazioni degli altri che smettevo di seguire per riporre la mia attenzione a te, perchè ti vedevo intenta ad osservare la vetrata al lato, quel che c'era oltre ad essa, e ti perdevi guardando il mare, anche se non lo vedevi chiaramente.
Però tu lo vedevi, il mare, e ti perdevi.E avevi ragione, sai?
Avevi ragione a volerti sedere qui.
Avevi anche ragione a perderti.
Si sente il rumore delle onde.
Se guardi nei riflessi delle luci, ti concentri, e lo senti.
E il resto scompare.E allora capisco anche il tuo perderti, così, dal nulla. Capisco il tuo arrivare lì e poi tornare alle nostre conversazioni all'improvviso.
E lo faccio anche io, torno alla realtà.
Torno e mi alzo.
Prendo le mie cose ed esco dal ristorante, di corsa. Ti vengo a cercare, anche se so già dove puoi essere, e non è la tua camera, no.
Scendo sulla spiaggia.
Ti trovo.
Lo sapevo.
Sei seduta sulla sabbia, quasi vicino la riva, con le mani che ti scompaiono nelle maniche della mia felpa che ti va enorme, le gambe rannicchiate al petto e tenute strette con le braccia che ti strofini per il freddo.
Scatto qualche foto.
A te di schiena che guardi il mare.
Al mare.
Mi avvicino di più, ti raggiungo, con una coperta in mano.
Te la poggio sulle spalle.
Ti volti.
Mi vedi.
Mi guardi per qualche istante.Cosa c'è?
Non mi aspettavi qui?
Non è difficile trovarti, non è difficile capirti.Mi fai cenno con la testa di sedermi accanto a te, poi torni a guardare il mare.
Però non lo faccio, non ti do retta.
Non mi siedo accanto a te.
Accanto non mi basta, è ancora troppo lontano, è troppo limitato, ed io, con te, non ho limiti, non li voglio.
I limiti sono per chi vuoi tenere fuori, al margine.
Ed io non ti voglio tenere al margine o fuori.
Io voglio tenerti dentro, voglio tenerti addosso.
Mi siedo, sì, ma dietro, con le gambe al lato delle tue, la tua schiena contro di me e le braccia sulle tue.
"Mettila tu e copri entrambi, altrimenti muori di freddo"
Me lo dici alzando la testa verso di me.
Ti dico di no.
Ti dico di stare ferma, che non c'è bisogno, che sto bene così, col mio maglione leggero e basta.
Insisti.
Insisto.
Prendi due lembi della coperta tra le mani.
Ti blocco.
Ti fermo.
Ti copro di più.
Con la coperta, con le mie braccia.
Ti arrendi.
"Grazie"
Lo dici dal nulla.
A volte succede.
A volte lo dici senza un motivo ben preciso. Ed io non ti chiedo mai il perché, altrimenti poi continui a fare la vaga o a cambiare discorso.
A volte, quando lo dici, non so mai cosa risponderti, proprio come ora.
Allora ti lascio un bacio, sulla tempia.
Tanto lo sai che vale come risposta.
Non parliamo, non diciamo niente.
Ci fermiamo ad ascoltare il rumore delle onde, in silenzio, anche se è strano.
Noi non stiamo mai in silenzio, parliamo sempre, anche quando non parliamo.
Dopo un po' appoggi la testa contro il mio petto, ti stringi, ti fai più piccola, quasi sparisci.
Metto una storia su instagram.
"Una cena con vistas"
Semplice, senza alcuna musica di sottofondo.
"Eri un fotografo migliore in Thailandia" dici rivolgendo lo sguardo al mio telefono.
"Era merito del soggetto"
Ridi.
Ridi e scuoti la testa.
Ridi e mi dai del cretino.
Ed io me lo prendo quel "cretino".
Me la prendo quella risata.
Prendo e lo conservo per quelle sere che non saranno più come questa.
Sbadigli portandoti una mano alla bocca.
Ti dico che è ora di andare.
Fai il labbruccio, mi preghi di restare ancora un po'.
Mi ricordi Julieta quando cerca di convincermi per farla dormire con me nel lettone.Dici che ti piace stare qui, così.
"Così come?"
Che lo so cosa vuoi dire, ma voglio sentirlo.
"Così, insieme"
Ti bacio la testa.
Vorrei dirti che piace anche a me, che si sta bene.
Però non lo dico.
Io queste cose non te le dico quasi mai.
Però lo sai che è così, lo sai che è lo stesso per me.
Ti sento sbadigliare ancora una volta.
È proprio ora di andare e tu non ti smuoverai.
Mi alzo.
Ti ricordo che domani mattina presto dobbiamo andare via.
Sbuffi e incroci le braccia restando per terra, seduta, non mostrando alcuna intenzione di voler andare via.
Una bimba.
Mi abbasso, ti bacio il labbro per quell'espressione imbronciata che hai messo su e ti prendo in braccio.
Urli.
"Ssh"
"Alvaro, mettimi giù."
Non ti ascolto, continuo a camminare facendo attenzione a non inciampare nelle pietre.
"Ci vedono" mi ricordi ridendo.
Sbuffo.
Aspetto di arrivare all'entrata dell'hotel e lo faccio, ti metto giù nonostante il mio essere contrariato.
Mi guardi.
Poi ti guardi attorno, attenta.
Poi mi baci, veloce.
Poi entri, da sola. Non mi aspetti.
Scuoto la testa divertito ed entro anche io.
Arriviamo alla camera, la tua.
Mi dai la buonanotte con un bacio sulla guancia, inserisci la chiave ed entri dentro.Dove vai?
Vuoi dormire da sola?
Perché io non voglio farlo, non questa sera, non oggi.
Mi aspetti sotto la porta che mi lasci aperta.
Posso entrare?
Mi lasci entrare?
Lo sai che poi se entro, non esco più.
Però ti va bene.
Ti va bene perché mi volti le spalle ma mi lasci la tua porta aperta
Ti va bene perché mi chiudo la porta alle spalle e non mi dici di andarmene
Ti va bene perché appena mi stendo, ti appoggi a me.
Ti va bene.
Mi va bene.