Prologue.

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Prologue. 

“Miss Weber?”

Quando sento chiamare il mio nome dalla ragazza appena entrata dalle porte di vetro, l’ansia che mi ero imposta di fingere di non sentire esce immediatamente dal suo nascondiglio. Tiro un lungo respiro, alzandomi immediatamente dalla sedia su cui sono seduta in quell’elegante sala d’attesa.
Quando raggiungo la ragazza che ha chiamato il mio nome, mi becco subito uno sguardo che non riesco a decifrare con esattezza da parte sua. Direi quasi disgusto, però io non la conosco e lei non conosce assolutamente me, quindi non capisco perché dovrebbe dedicarmi un sentimento del genere.
Certo, non sono vestita eccellentemente come le altre ragazze in attesa lì fuori, ma non credo che il posto da giornalista verrà affidato in base a quello che indossi.
Io ho un cervello, a differenza di molte lì fuori.
Mi sistemo la mia giacca grigia, prima di farmi coraggio e entrare nell’ufficio indicatomi dalla ragazza tutt’altro che simpatica.
Davanti a me si presenta un ufficio a dir poco elegante. Le pareti, o meglio, non ci sono pareti; sono completamente fatte in vetro, lasciando spazio alla meravigliosa vista dei grattacieli di New York. E’ una vista da mozzare il fiato. Riesco a vedere l’Empire State Building da qui.
Davanti a me, dietro una scrivania elegante in nero lucido, c’è una donna che mi rivolge uno sguardo severo. I suoi capelli sono tirati indietro,  sono di un biondo platino, quasi bianco. Il suo viso, truccato alla perfezione non lascia trasparire nessuna emozione positiva nei miei confronti. Non è un bel segno.
Decido così di sedermi subito davanti a lei, invece di rimanere lì imbambolata.
“E’ un piacere conoscerla, Mrs. Priestly! Io sono Nicol Weber“ stendo la mano verso di lei, ma la ritiro velocemente quando mi accorgo che non ha in mente di stringerla, dato che il suo sguardo è su un foglio bianco che tiene tra le mani.
“Signorina Weber… ho qui davanti il suo curriculum. Davvero interessante! Ha fatto una strada lunga dalla Germania fin qui a New York” il suo tono non sembra davvero sorpreso, piuttosto indagatore, come se mi stesse chiedendo implicitamente perché sono venuta fino a qui. Se mi avesse posto la domanda esplicitamente gliene avrei parlato senza problemi, ma adesso non riesco a capire se è quello che vuole sapere sul serio. Non ho voglia di sbagliare davanti a lei, non sembra una che perdona con facilità.
“Sì… fin da quando ho capito di voler fare la giornalista ho saputo quello che avrei fatto. Ho deciso di finire i miei studi in Germania, dove appunto sono nata, per poi venire qui a New York” non scendo troppo nei dettagli e personalmente mi sembra una risposta soddisfacente, ad una domanda non specifica.
“Sì lo vedo… vedo che hai studiato media e comunicazione alla Passau University, ma non vedo niente che mi possa indicare che lei sia in grado di fare la giornalista in una rivista di moda. Tantomeno il suo abbigliamento” il suo sguardo critico è su di me, o meglio, sulla mia scelta di abbigliamento. Non credevo che un semplice tailleur grigio avrebbe creato problemi, è una scelta classica per i colloqui di lavoro. E’ la mia scelta classica!
“In realtà no… non so nulla sulla moda e non credevo fosse necessario” non appena quelle parole mi escono da bocca, me ne pento immediatamente, infatti la mia voce inizia ad abbassarsi gradualmente. Gli occhi di Miranda si accendono in un istante.
“Non credevi fosse… necessario?!” il suo tono è quasi sdegnato nei miei confronti, nei confronti di quello che mi è uscito dalla bocca.
“Non intendevo questo, mi sono espressa male, mi dispiace! Credevo che la cosa fondamentale fosse essere in grado di scrivere, l’argomento era secondario per me. Sono una che impara velocemente, sono sicura che sarò in grado di scrivere su qualunque cosa mi sarà assegnata, o chiesto” spero di poter recuperare in questo modo, anche se non ci spero più di tanto. Non può andarmi male anche questo colloquio.
“Non so come funzionano le cose in Germania, ma qui non funzionano in questo modo. Qui siamo a Vogue, non in una rivistuccia da quattro soldi. Lì fuori ci sono milioni di ragazze che ucciderebbero per questo posto, che leggono la mia rivista tutti i giorni, mentre tu hai la sfacciataggine di venire qui e dirmi che una conoscenza, almeno basilare, di quello che tratta la mia rivista non è necessaria. Sai cosa penso? Penso che questa era la tua ultima risorsa, non t’interessa la mia rivista, vuoi lavorare qui perché dopo potrai andare da qualunque altra parte, ma sai una cosa? Non è così facile!” la sua voce è severa, ma sicura. Credo che abbia fatto scappare da qui in lacrime parecchie ragazze, se ha parlato loro nel modo in cui sta parlando a me adesso. Ma non mi tocca così tanto, perché lei ha ragione, non m’importa come importa ad altre ragazze. Quello che mi preoccupa è che tornerò per l’ennesima volta a casa, la casa in cui vivo da nemmeno una settimana con il mio fidanzato, di nuovo senza lavoro. O speranze di averne uno.
“Allora ha ragione, non sono tagliata per questo posto” non mi sembra il caso di restare qui a discutere, ormai mi sono arresa. Mi alzo dal mio posto e procedo verso la porta, fino a quando vengo fermata dalla sua voce.
“Sai, è un peccato, perché se solo avessi avuto delle conoscenze in più il posto sarebbe stato tuo” a quelle parole mi giro di scatto verso di lei di nuovo, con un’idea folle che inizia a farsi spazio nella mia testa. In un attimo è riuscita a ricostruire tutta la mia decisione e speranza.
“Se tornassi, con più conoscenze, tra un po’ di tempo, mi assumereste?” il mio tono è quasi di sfida, ma non è nei suoi confronti. E’ nei miei, non posso fallire anche sta volta.
“Se lo farai, il posto sarà tuo!” non mi servono altre conferme, lascio velocemente il suo ufficio con almeno un qualcosa tra le mani.
Ho studiato tutta la vita per arrivare in questa città, non mi fermerò adesso. Devo solo imparare qualcosa sul mondo della moda, quanto sarà mai difficile?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 29, 2014 ⏰

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