La melodia di Patroclo

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«𝘌 𝘴𝘦 𝘪𝘰 𝘮𝘰𝘳𝘪𝘴𝘴𝘪, 𝘈𝘤𝘩𝘪𝘭𝘭𝘦?»

«𝘋𝘰𝘳𝘮𝘪𝘳𝘦𝘪 𝘥𝘪 𝘧𝘪𝘢𝘯𝘤𝘰 𝘢𝘭 𝘵𝘶𝘰 𝘤𝘰𝘳𝘱𝘰 𝘧𝘪𝘯𝘤𝘩é 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘮𝘦𝘵𝘵𝘦𝘳𝘦𝘪 𝘥𝘪 𝘳𝘦𝘴𝘱𝘪𝘳𝘢𝘳𝘦. 𝘔𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘤𝘤𝘢𝘥𝘳à 𝘗𝘢𝘵𝘳𝘰𝘤𝘭𝘰, 𝘪𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘭𝘰 𝘱𝘦𝘳𝘮𝘦𝘵𝘵𝘦𝘳ò 𝘮𝘢𝘪.»

«Ma se accadesse. Prima o poi me ne andrò Achille, non sono una deità.» ripeté Patroclo. Iniziai a sentirmi scontroso e seccato, quel tipo di parole troppo insistenti da parte di Patroclo mi diedero noia.
«Perché mai dovresti morire? E prima di me soprattutto!» gli risposi con seccatura. Quando parlammo della sua morte lo facemmo per supposizione giovanile, quasi ingenua. Eravamo adolescenti nel nostro Olimpo di scoperte carnali e libertà, lì in cima al monte Pelio. Avevamo quindici anni e Patroclo desiderava saziare la sua fame d'amore.
Mi domandò ancora di prenderlo sul serio, e ripeté cosa avrei fatto se fosse morto?
A quei tempi non c'era profezia alcuna, n'è Troia in guerra e neanche sangue sulle armi. Tra l'erba alta e calda dei colli, col sole di mezzogiorno in faccia, io e Patroclo ci preoccupavamo solamente di non riuscire a baciarci abbastanza.

Mi tirai a sedere sorreggendo il peso del mio busto snello e slanciato con le mani morbide. Patroclo restò sdraiato sulla schiena con i polsi a fargli da guanciale sotto alla nuca. I poemi avrebbero cantato della mia bellezza dorata e splendente, ma quanta rabbia mi avvampava sul palato pensando che mai nessuno avrebbe fatto caso alla magnificenza di Patroclo, del mio Patroclo.

L'incarnato mulatto brillava sotto gli occhi per colpa del sudore. I ricci grandi e bruni odoravano di fatica e selvaggio, una fragranza che mi infastidiva e inselvvaggiva allo stesso tempo. Le ampie labbra carnose e secche di Patroclo restarono impercettibilmente dispiegate, come ad attendere con velata curiosità la mia risposta.

Mi presi del tempo ancora per guardarlo con tutta l'anima; se avessi potuto crearlo come fa Zeus lo avrei fatto allo stesso modo. L'incisivo centrale destro leggermente accavallato al sinistro, le sopracciglia folte e nere, i peli lunghi così come le ciglia quasi femminee. Le clavicole asciutte ed i capezzoli piccoli. Aveva la pelle di un bambino, con qualche piccola imperfezione che alludeva all'età dello sviluppo. I suoi occhi erano la sua voce. Seppur spesso taciturno ed introverso Patroclo era sempre riuscito ad insinuarsi nelle mie meningi con la voce delle sue iridi. Parole di colore verde cangiante, scure e attente, brillanti e bagnate.

Mi sorrise piano, ed allora parlai con falsa leggerezza.

«Come ti ho detto, veglierei sulla tua salma. Credo che non riuscirei a lasciarti andare, anche se sarebbe egoista.» non sapevamo ancora, non sapevamo nulla.
«Ordinerei di piantare centinaia di migliaia di margherite bianche a palazzo, dappertutto, per far vivere il tuo ricordo in ogni essere vivente, che conosca già o meno il tuo nome.» lo vidi arrossire. Sapeva che mi riferivo ai fiori bianchi e gialli che adorava osservare assieme a me su una di quelle alture.

Iniziai preso a spingermi oltre, oppresso dall'ipotesi che Patroclo potesse davvero andarsene via da me. «Correrei da mia madre, troverei il modo di convincerla a trasformarti in schiuma di mare piuttosto che in cenere, o di fare diventare il tuo corpo frammenti di conchiglie rosa disperi per l'oceano. Annegherei lì dove il mare sei anche tu, berrei l'acqua salata fino al collasso.»

«Non vorrei mai che tu ti uccidessi per me, il mio spirito soffrirebbe terribilmente.» ora anche Patroclo si era tirato a sedere.

«Mi pare di aver capito che vuoi che io sia sincero, e le mie parole non potrebbero che essere più vere.» gli rivolsi un sorriso fascinoso.

Patroclo scosse la testa «D'accordo. Hai altro da aggiungere?»

Fissai un punto indistinto all'orizzonte e riflettei scavando ancora più in profondità, in paure ed angosce che non credevo capaci di esistere.

«Sí.» mormorai quasi impietrito. Anche solamente il pensiero che il cuore di Patroclo prima o poi non avrebbe più pompato sangue mi atterrí. Percepì una sensazione che era una rarità in me: la paura.

«Se tu morissi io mi sentirei asfissiato. Resterei sveglio ogni notte aspettando che il tuo fantasma mi toccasse, rimarrei vigile alla ricerca di un segno, un gesto...delle tue mani come ali sulla mia pelle. Leggere e fresche, soffici.»

«Io ti verrei a cercare.» la sua volle sembrare una rassicurazione, sia a me che a se stesso. Una promessa forse.

Sorrisi provando a rilassare la scura aura di morte che roteava tra di noi. Mi trascinai più vicino al fianco di Patroclo prendendogli con una mano la guancia affiliata. Avevo ciuffi d'erba incastrati nelle pieghe del palmo. Il sorriso di Patroclo si tese contro la mia bocca rosea, i nostri denti batterono con un live schiocco. Un altro dettaglio che avrei sussurrato ad Ade per convincerlo a non rubarmi Patroclo era quella piccola fossetta che si scavava al lato sinistro ogni volta che il mio diletto era contento. Nemmeno l'oro lavorato dai migliori artigiani del continente avrebbe guadagnato un simile valore.

Patroclo mi assaggiò con la lingua, solito istigatore, sempre voglioso. Colsi l'occasione senza la minima distrazione, e lo spinsi in terra delicatamente sorreggendomi sopra il suo corpo in fremito. Un ginocchio tra le sue gambe, la tunica corta che Patroclo indossava lasciò scoperto immediatamente il sesso sviluppato già turgido.

Nulla di più prezioso, pensai ancora: niente di tanto divino.

Gli baciai il collo in tensione, aveva un sapore pungente e arido, provocatorio ai limiti dell'erotismo. Patroclo si aggrappó alle mie forti spalle giovani, ampie e lisce. Solamente i segni lasciati delle sue unghie mi marchiavano e arrossavano l'adipe perfetta. Ma io ne ero assuefatto, mi offrivo alla violenza della sua passione come se fossi una tela e lui un pittore.

Quando gli respirai dentro l'orecchio Patroclo emise in gemito e spinse il sesso duro contro il mio.

Ricordo continuamente quella sensazione come il fuoco della mia vita, la piccola fiamma che aveva scatenato l'incendio intero di ogni parte di me.

Eravamo oggetti della terra e delle nuvole, nutrimento per il sole e vanto per la luna.

Toccandogli selvaggiamente il viso ed il collo mi fermai a guardarlo, nonostante i miei lunghi capelli biondi ad ostacolare la messa a fuoco.

Non conoscevo l'amore ma sapevo di Patroclo.

Quasi commosso gli accarezzai ancora il viso con le nocche, simile ad una madre che venera incondizionatamente il proprio figlio.

Lui tremó, lo faceva spesso quando lo eravamo nel pieno del vigore.

«Noi due non moriremo mai. Saremo parte della storia, l'invidia degli dei stessi.» gli dissi emozionato e sicuro di me.

Patroclo immerse le mani tra i miei capelli: «Non m'importa chi o per quanto tempo ci ricorderanno, voglio solo essere assieme a te ovunque. Nell'Ade, sotto terra, nel vento e nei fiori.»

Sospirai. Avrei voluto abbracciarlo, ma forse mi sarei lasciato andare troppo a quello che avevo dentro al cuore.

«Cosí sarà. Eternamente.» giurai.

Abbandonammo quell'angoscia immotivata e ritornammo a dedicarci l'uno all'altro.

Persino quella terra su cui avevamo fatto l'amore si sarebbe ricordata di noi.

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