Cap 1

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"Dove stai andando?".
"Tanc...?".
"Perché non rispondi?"
"Dimmi solo che stai bene, ti prego."

Persi il conto degli innumerevoli messaggi che inviai a colui che potevo di nuovo definire il mio ragazzo. Il mio cuore pareva esplodere a causa dell'enorme preoccupazione che mi provocava il suo silenzio. Nonostante le mie preghiere di ricevere una risposta da parte sua, il nulla fu l'unica replica che ricevetti.
Erano ormai trascorse un paio di settimane dall'ultima volta che avevamo trascorso un'intera giornata insieme e la sua assenza mi stava lentamente e violentemente uccidendo, così come a lui. Ero tornata a Roma, dove mamma aveva ormai stabilito una vera e propria relazione con il padre di Edoardo, cosa ch'io avevo già intuito dal principio ma che i due amanti non volevano ancora ammettere, forse per timore, forse, invece, per mancanza di sicurezza, di coraggio.
Capitava, talvolta, che mi trattenessi nella mia città natale, Reggio Emilia, per salutare i miei amici di una vita e la parte della mia famiglia ch'era rimasta lì, durante il tragitto per raggiungere Tancredi a Milano. Nonostante la grande distanza, riuscivamo a vederci molto spesso, trascorrendo anche più giorni insieme, dormendo nello stesso letto, vivendo nella stessa casa, amandoci sempre di più.
Il mio cuore saltó un battito quando il cellulare emise una flebile vibrazione che, a causa dell'agitazione, mi parve un terremoto.

"Scusa amore, sto bene. Sei a casa?".
Finalmente la risposta tanto attesa di Tanc arrivó, limitandosi peró a queste poche parole. Almeno avevo la certezza della sua salute!
"Si, sono a casa. E mi manchi da morire." Digitai velocemente emettendo un sospiro contrastante di sollievo e frustrazione.
"Speravo di sentirtelo dire. Scendi, stupida, e vieni a baciarmi.".

Freeze.

Diedi un paio di rapide lette al messaggio, giusto per accertarmi di non aver capito male. Pizzicai con due dita la pelle del mio braccio: ero sveglia.
Non era un sogno. O meglio, lo era, si, ma diventato realtà.
Mi affrettai a raggiungere la porta di casa e, quando la aprii, dietro un enorme orso di peluche e un altrettanto grande mazzo di girasoli, fece capolino Tancredi. Portai le mani a coprirmi il viso, colta incredibilmente alla sprovvista. In pochi secondi una lacrima sfioró la pelle del mio dito: solo in quel momento mi accorsi che stavo piangendo.
"Ciao, piccola." Disse, quasi in un sussurro, tentando di posare l'orsacchiotto all'ingresso, accanto alla porta, per riuscire così a liberarsi le braccia e stringermi in quell'abbraccio in cui avrei
voluto fermare il tempo.
"Sei pazzo, amore." Fu tutto ciò che riuscii a dire mentre le mie guance continuavano a bagnarsi. Non erano certo lacrime di tristezza, no. Erano più un mix di emozioni positive incastrate tra loro fino quasi a fondersi l'una con l'altra, fino a rendermi difficile la decifrazione di esse.
"Mi sei mancata così tanto." Sussurró al mio orecchio. Un brivido corse lungo la mia schiena, in pochi istanti mi sentii sospesa in aria, tra le nuvole di un cielo senza fine, avvolta nell'ala dell'amore. Non parlai, in quel momento non servivano le parole. Afferrai il suo viso tra le mani e lo baciai con tutta la passione che avevo in corpo. Fu un bacio lungo, le nostre labbra si sfioravano scambiandosi i sentimenti che spiegati a parole parevano così minimizzati. Le nostre lingue si cercavano, ballando un valzer sulle note della canzone d'amore più bella di sempre: noi.

"Tancredi! Ciao!" Mia madre irruppe nella stanza interrompendo il momento, il nostro momento.
Il mio ragazzo assunse una posizione composta, drizzó la schiena sistemandosi la felpa con una mano, mentre con l'altra non aveva mai accennato a lasciare la mia. Si scambiarono diversi aneddoti riguardo a come andassero le cose lassù a Milano e quaggiù a Roma, a come stessero la sua famiglia e i suoi amici. Poi mamma spostó lo sguardo sull'enorme peluche adagiato accanto alla porta, in seguito sul mazzo di fiori. Potrei giurare di averla vista sorridere mentre la luce nei suoi occhi si spegneva lentamente fino a rendere cupa persino la stanza.
"Mamma?" La richiamai. Lei scosse la testa affrettandosi a togliere la mano dal petto, esattamente sopra al cuore.
"Va tutto bene?" Insistetti.
"Certo, tesoro. Solo...un ricordo, niente di che." Si limitó a dire. Conoscevo bene mia madre e, per aver avuto una reazione simile, ciò che le era comparso nella mente era tutt'altro che nulla di che. Decisi di lasciar perdere in quel momento: sapevo bene che non avrebbe dato voce ai suoi pensieri in presenza di altre persone perciò avrei approfondito l'argomento quando saremmo state sole, senza Tanc.

"Ma questo sono io!" Esclamò indicando alcune fotografie appese alla parete della mia stanza. Mi strinsi nelle spalle prima di allacciare le braccia al suo collo a stringerlo forte a me.
"È così bello averti qui, piccola." Portò una ciocca di capelli dietro al mio orecchio, poi un dito sotto al mio mento imponendomi di alzare il viso e guardarlo negli occhi.
"Sei sempre più bella.".
"Amo essere bella per te." Sorrisi. Lui fece lo stesso.
Istintivamente tentai di portare una mano a coprirmi le labbra ma sapevo bene che lui, quel sorriso, lo amava da impazzire, soprattutto quando sapeva di esserne la causa.
"Lo sarai per sempre." Aumentó la stretta delle braccia attorno alla mia vita.
"Per sempre è tanto tempo." Scherzai con la consapevolezza che, al suo fianco, anche il per sempre appariva qualcosa di insignificante.
"Lo so, e voglio passarlo interamente con te.".
Sentii le guance prendere colore, una vampata di calore avvolse il mio corpo. Spostai lo sguardo sulle mie gambe: tremavano. Esattamente come la prima volta, e come tutte le volte successive. Era lo stesso effetto di sempre, solo amplificato. Sentivo le stesse farfalle nello stomaco, lo stesso subbuglio mentale. Non era cambiato niente dall'ultima volta, a parte noi. Eravamo cresciuti, sia fisicamente che mentalmente; avevamo compreso il verso significato dell'amore lottando, giorno dopo giorno, per poter stare insieme, per non dover mettere un punto alla nostra relazione. Avevamo capito anche cosa fosse il perdono, quanto peso avessero gli sbagli, quanto difficile fosse dimenticare qualcosa che aveva fatto così male. Ma non avevamo mai, mai, perso la voglia di amarci, il desiderio di averci.
E ora mi trovavo lì, a guardarlo come fosse l'opera d'arte più bella del museo, e pensavo che, alla fine, n'era valsa davvero la pena. Perché talvolta il dolore, gli ostacoli e le incomprensioni sono necessarie per godersi al meglio il finale, per capire che nulla è mai perduto finchè si è in due a lottare. Lo guardavo e perdevo il controllo del mio corpo, come stregata da un incantesimo troppo forte da contrastare.
Ti guardo fisso e tremo, per sempre. Sorrisi vedendolo passare delicatamente un dito su una delle foto che ritraevano i nostri momenti più belli, pensai che ogni cosa doveva prima finire per poi poter ricominciare. Ed era quello, il nostro inizio. Uno dei tanti ma, questa volta, l'ultimo. Perché da quel momento in poi non ci saremmo più separati, mai.

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Ciao cuoricini, come state? A grande richiesta, ecco a voi l'inizio del sequel di "Ti guardo fisso e tremo". Spero vi piaccia tanto quanto vi è piaciuto il primo.❤️

Senza mai dirci addio - Tancredi GalliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora