Era una piovosa, grigia e fredda giornata d'inverno. Chiara se ne stava lì, seduta scomposta sulla sedia della cucina, rigirandosi tra le mani la tazza piena di quella che, prima, era una camomilla fumante, raffreddata dai lunghi pensieri che balenavano nella testa di lei. Non erano pensieri collegati tra di loro, erano sconnessi, disordinati e disorientati. Pensava a come fosse la sua vita fino a qualche anno prima e come, in così poco tempo, fosse cambiata quasi radicalmente.
Quasi come risvegliatasi da uno stato di trance, Chiara guardò l'orologio appeso sopra il frigorifero, e realizzò di avere ancora tempo per fare una tra le cose che le piaceva di più. Andò in bagno, trascinandosi a fatica, lasciando la tazza sul bancone. Si strofinò gli occhi ancora truccati dalla sera precedente con il lembo del maglione, per poi spogliarsi e infilarsi sotto la doccia, sperando con tutta se stessa di scacciare via i pensieri negativi.
"Devo essere forte, devo" continuò a ripetere a se stessa
Uscì dalla doccia quasi rigenerata. Si guardò allo specchio, vide la sua immagine riflessa e il suo viso assunse un'espressione contratta. Non si piaceva, non si era mai piaciuta. Probabilmente aveva visto un barlume di speranza pochi anni prima, in un periodo particolare della sua vita, ma anch'esso si era affievolito, per poi spegnersi.
Ripensò molto a quei momenti, mentre si stava dirigendo verso il suo posto felice, la sua bolla che la isolava dal mondo: i colli bolognesi. Erano stati la spalla su cui aveva pianto, l'amico in cui aveva trovato conforto, stando in silenzio, essendoci solamente, consolandola quando si sentiva la persona più sola sulla faccia della terra. Si sentiva tale, ma non lo era, non lo era mai stata. Aveva da sempre avuto una mano ad un millimetro da lei, e molte volte non l'aveva afferrata, convincendosi del fatto che ce l'avrebbe fatta da sola.
Spense il motore della moto e si sfilò il casco, liberando i suoi capelli lisci e lasciandoli in balia del vento e del sole che, timidamente, si stava insinuando tra le nuvole. Camminò un po', per poi ritrovarsi in un punto panoramico, dal quale ammirare la sua amata ed odiata Bologna. Si sedette sul prato, raccogliendo le ginocchia al petto, e appoggiò il mento su di esse, aggiustandosi gli occhiali. Bologna le aveva donato tanto: una carriera dopo la laurea, paesaggi meravigliosi, persone che provenivano da ogni parte del mondo. Ma le aveva anche tolto gli affetti più cari. Stette lì per un po', ad ascoltare alcuni brani in riproduzione casuale. Estrasse il cellulare dalla tasca del giubbotto per cambiare canzone, e i suoi occhi caddero su una playlist in particolare.
Sorridi, tesoro.
La fissò per qualche secondo di troppo, rendendosi conto di avere le lacrime che minacciavano di fuoriuscire dai suoi occhi, per ricacciarle indietro come meglio poteva. L'aveva creata lui, qualche anno prima, per lei. Aveva inserito melodie del passato, per accontentare la sua testa dura, l'animo vintage che non l'aveva mai abbandonata. E fu allora che decise di lasciarsi cullare ancora una volta dal paesaggio intorno a lei, sfogando tutta la sua tristezza e rivelandola al mondo esterno.
D'improvviso, il suo telefono squillò, ridestandola dai suoi pensieri. Recuperò il cellulare dal prato e vide sullo schermo un numero sconosciuto.
"Pronto?" disse, cercando di recuperare la sua compostezza
"Signora De Santis?"
Odiava quel cognome, non era suo e non lo era mai stato.
"Sì, sono io. Chi parla?"
"Salve, sono la maestra di Giulio"
"Oddio, è successo qualcosa a mio figlio?"
"No, signora, nulla. Mi chiedevo dove fosse finita. Le lezioni sono finite e suo figlio è rimasto qui"