Prologo

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Riaprì gli occhi dopo due giorni, ma quando lo fece, non vide nulla.

Era buio pesto, l'aria affannosa. Lei era legata a una sedia, non la vedeva ma riusciva a percepirla.

«Dove mi trovo?» chiese enigmatica. Non ricevette alcuna risposta.

«Dove mi trovo?!» richiese, questa volta alzando leggermente il tono. Dal silenzio tombale la testa le fece credere che fosse sola, e invece no. Non lo era.

Il suo respiro era impercettibile, anche concentrandosi era impossibile udirlo, ma era lì.

La ragazza smise di parlare invano e iniziò a piangere sussurrando qualcosa... «Avrei dovuto ascoltarlo», pronunciò singhiozzando, «perché sono così testarda! Mi dispiace, mi dispiace.» Il tono di voce diminuiva meccanicamente, come un motore con un fil di benzina.

Nella sua mente balenavano tanti, tanti pensieri: variavano dall'uccisione dei suoi genitori alle serate passate Al Pub, dal compagno di avventure negative al raggio di sole di cui si innamorò, da quando la sua vita era solo buio a quando trovò uno spicchio di luce, che si spense rapidamente, di nuovo.

Uno scricchiolio della porta la riportò nella vita reale, interrompendo la sua evasione mentale. Qualcuno, o meglio qualcun altro, era appena entrato.

«Signorina Owen?» disse lo sconosciuto. L'unica cosa che Ophelia riuscì a comprendere era che fu un uomo a pronunciare il suo nome. Ma lei non rispose.

«Signorina Owen, riesce a sentirmi?» chiese nuovamente. Il suo tono era dolce, anche canzonatorio; l'uomo, che non ricevette ancora una risposta, trasformò la sua modulazione da dolce a dura, rude. Rimproverò la persona presente insieme a lei in quella stanza:

«Non era sveglia?»

«Sì, lo è»

«E per quale motivo non risponde?»

«Lo ignoro. Ma poco prima che arrivassi parlava fra sé e sé»

«Appena si sveglia portala direttamente da me»

L'uomo uscì lasciando la persona già presente all'interno sola con Ophelia. A quel punto lei trovò il coraggio di parlare nuovamente, fece la stessa identica domanda di qualche minuto prima: «Dove mi trovo?», chiese, «e chi diavolo siete voi?» aggiunse.

La persona lì con lei si alzò repentinamente da dove si trovava avanzando verso di lei con passo svelto. La slegò dalla sedia afferrandola violentemente da un braccio, lei non fiatò.

Arrivò l'attesa e sacra luce, ma nonostante ciò tutto continuava a essere confuso. Capì che stava attraversando un lungo corridoio dalle pareti bianche. Le palpebre si aprivano e chiudevano di continuo: era sfinita, affamata, disidratata.

Giunse in una camera senza porta con le pareti anch'esse bianche, al suo interno si trovava un semplice tavolo con due sedie posizionate una di fronte all'altra. Fece sedere Ophelia con la forza, anche se lei non mostrava alcuno spirito di resistenza.

E poi iniziò a udire passi. Il suono si intensificava secondo dopo secondo, finché una figura possente si posizionò di fronte a lei.

Ophelia non riuscì a mettere a fuoco, sapeva che era un grosso omone dalla voce profonda, seppe questo dopo che disse cinque parole, cinque semplici parole: "Benvenuta all'inferno, signorina Owen".

Era la fine dell'inizio, o l'inizio della fine. Difficile comprendere in questa maniera, ma lasciate che la storia venga narrata sin dalle origini.

 Difficile comprendere in questa maniera, ma lasciate che la storia venga narrata sin dalle origini

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Ciaoo, ecco qua il prologo! Spero vi abbia incuriositi almeno un po'!

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