Jimin, piccolo crisantemo

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Incontriamo diversi angeli nella vita. Sono quelle persone che sul pullman ti fanno sedere accanto a loro, coloro che ti sorridono per strada nonostante non ti conoscano, quelle cassiere che ti chiamano tesoro o quel ragazzino che ti ha tenuto compagnia silenziosamente mentre tornavi a casa. Sono quelle persona che quando arrivano a casa sorridono ai propri familiari. Nelle loro camere ci sono quadri, canzoni, poesie e colori caldi. Nelle loro camere però lasciano cadere vestiti che coprono le loro cicatrici, fanno comparire le ali. Sono quelle persone a cui non diresti che va male, ma non vedi ciò che hanno dentro, le tempeste, le lotte contro se stessi. Le loro ali sono bianche ma lentamente diventano nere. Ci mettono anni a scurirsi quelle grandi e splendide ali e nessuno le vede. Gli angeli non sanno di essere angeli. Pensano, si convincono, di essere persone normali con qualche problema, come tutti, di essere persone felici. Ma non si sentono così non sono felici. Si sentono soli e puntualmente parlano alle persone sbagliate dei loro problemi, persone a cui non interessa veramente. Poi, conoscono un altro angelo, un angelo pronto ad ascoltarli, ecco questo angelo donerà all'altro rassicurazione, speranza.

Ma come detto prima le ali degli angeli si scuriscono e la speranza defluisce dalle loro anime e nonostante l'angelo che ha rassicurato o che lo ha rassicurato esista ancora, sia lì pronto a dargli altra speranza, perdono qualunque interesse nei loro hobby, nel vivere, si sentono in trappola, soli, sentono di non contare più per nessuno ed è allora che le ali diventano completamente nere. Le ali diventano nere e gli angeli muoiono. La gente piange si dispera, dicono che erano delle brave persone, che non dovevano fare ciò che hanno fatto, ma passati due mesi si dimenticano di cosa voleva dire avere quell'angelo nella propria vita e ritorna tutto come prima, sarà all'ora che quell'angelo morirà una seconda volta.

Park Jimin era uno di quegli angeli e ora Park Jimin stava morendo. Moriva lentamente ogni fottuto giorno. Moriva quando gli arrivavano dei messaggi, quando non gli arrivavano, quando riusciva a dormire e quando passava le notti a fissare la luna dal lucernaio di camera sua. Jimin moriva e basta.

Aveva avuto degli amici e forse ne aveva ancora. Ma lui stava morendo, era ormai inutile pensare a loro.
Moriva da un bel po' di tempo effettivamente.
Ma quel giorno stava morendo per davvero e cominciò a piangere scuse su scuse alle persone che un tempo gli avevano voluto bene.

Jimin era costantemente vissuto nell'ombra, nell'ombra della sorella Park Chaenyeol che, povera piccola, aveva avuto tutte le attenzioni dei genitori su di sé per tutti i suoi anni di vita perché dislessica e con altri problemi qua e là. Corri dal logopedista, corri dalla neuropsicomotricista, parla con le maestre, spiega ai professori. Non odiava sua sorella per questo, povera piccola non era colpa sua,ma avrebbe voluto avere i genitori anche per sé in qualche momento. Invece si era ritrovato a studiare solo, a risolversi qualunque possibile problema da sé senza fiatare o disturbare.

Era vissuto all'ombra del suo migliore amico Jeon Jungkook. Era bravo a fare qualunque cosa quel ragazzino; scrivere, disegnare, cantare, parlava anche con un linguaggio che lasciava tutti ammirati. Era sempre stato la sua spalla, sorridente al suo fianco, che continuava a sorridere nonostante nessuno guardasse nella sua direzione e nonostante il fascio di luce che costantemente illuminava il suo migliore amico e mai lui. Jimin era sempre lì a supportarlo e amarlo, senza ricevere niente in cambio, fino a quando si accorse che a forza di dare non aveva più niente ormai.

Era vissuto per un breve periodo nell'ombra del suo fidanzato, Jung Hoseok, che, solare ed espansivo, faceva anche lui di Jimin un'ombra di cui nessuno si accorgeva. Poi Hoseok l'aveva lasciato, tornando indietro sui suoi passi pochi giorni dopo chiedendogli scusa e di rimettersi assieme, ma Jimin sotto stretto consiglio di Jungkook aveva rifiutato. E ora che sta morendo si chiede se sia stata la scelta più giusta. Era stato bello stare con Hobi, si era sentita amato e poi era finito tutto in un battito di ali.

Infine c'era stato Min Yoongi. Min Yoongi era stato la sua estate, la sua ventata di fresco per respirare un poco dopo tutte quelle sofferenze, no, non sofferenze, dopo tutto quel tempo passato nell'ombra; Min Yoongi era stato il suo raggio di sole sottile, la sua luce. Lo era ancora la sua luce, ma la disperazione aveva portato via Jimin lasciandone solamente solchi di lacrime sulle sue pallide guance. Jimin era stato l'angelo di Yoongi il quale avrebbe voluto dargli la speranza di cui aveva bisogno, ma stava morendo ormai anche lui e probabilmente la morte di Jimin gli avrebbe dato un colpo di grazia.

Jimin mentre moriva cominciò a scusarsi
«Kookie, mio fiore, ti prego perdonami- singhiozzò- perdonami per non essere riuscito a parlarti di tutti ciò che mi è accaduto, perdonami per non averti visto ancora crescere, perdonami per averti tolto la possibilità di ridere con me, di leggermi i tuoi temi e di farmi ascoltare i tuoi pensieri o le tue canzoni preferite. Scusami per averti arrecato inutile dolore di cui non avevi bisogno, di averti privato di un amico -emise un sospiro spezzato- Ti prego solo di non essere arrabbiato con me nella tua vita perché mi distrugge il pensiero, ti prego Kook, perdonami. Ti prego trova la tua felicità con chiunque, come quel ragazzo di cui tanto mi parlavi, Taehyung, te ne prego, sii felice con lui o con chiunque tu voglia, ti prego- quasi si strozzo con la sua stessa saliva piangendo- sii felice mio fiore»

Scrisse il poco che aveva detto su un foglio, pensava che fosse giusto per Jungkook sapere che non aveva alcuna colpa attiva nella morte del suo migliore amico .

«Hoseok,-sospirò- mi hai distrutto, e se io non fossi stato io probabilmente mi avresti aiutato a crescere, ma annegavo da troppo tempo e tu hai solo aggiunto un masso alla corda che mi tira verso il gli abissi impedendomi di tornare in superficie. Scusami per non essere stato il meglio di me quando ero con te.»

Digrignò i denti al pensiero di Hoseok e pianse ancora di più pensando che nonostante tutto avesse pensato per un secondo "vorrei che mi amassi" soffrendo di più.

Infine per Min Yoongi scese una sola lacrima carica di parole. Parole che Jimin non volle né scrivere né sussurrare al nulla, parole che dicevano semplicemente che Yoongi gli era stato portato via, portato via da quella società malsana che per un poco di fama aveva lasciato che dei ragazzi distruggessero Yoongi, il suo Yoongi che ora era lontano da lui per togliersi il dolore che gli avevano provocato quei poveri stronzi. Parole che dicevano di un Yoongi che prendeva il dolore di Jimin dopo che Chim aveva preso il suo. Ormai Jimin era assuefatto dal dolore, delle ombre della società che gli aveva portato via Yoongi, e incise un'ultima parte del suo braccio.

«YOONGI!» urlò disperato
«Perché ti hanno portato via da me. Perché quei bastardi l'hanno fatto?! PERCHÉ?!» singhiozzò. Pianse e pianse e pianse ancora.

Park Jimin stava morendo e prima di chiudere gli occhi e lasciarsi andare alla morte sussurrò.
«Ti amo Yoongi hyung»

Dei petali di crisantemo galleggiavano nel sangue.

Due mesi dopo Jeon Jungkook vagava per le strade del quartiere di Taehyung, bussando alla porta del ragazzo in piena notte dopo l'ennesimo incubo dato dal suicidio di Jimin. Quando il castano aprí la porta si fece stringere da quelle belle braccia color miele, singhiozzando e addossandosi colpe, mentre Taehyung stava male vedendo il suo amore soffrire così tanto.

Min Yoongi, invece, aveva appena fallito due mesi di terapia e stava per raggiungere il suo piccolo Jimin.
Per stare nella morte insieme, finalmente, e felici. Senza dover riprovare su di loro cos'era successo nella loro triste e breve vita.

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ー𝐝𝐢 𝐉𝐢𝐦𝐢𝐧 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐛𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞;; ᵖᵃʳᵏ ʲⁱᵐⁱⁿDove le storie prendono vita. Scoprilo ora