"Hai capito Natasha?! In piedi, ADESSO!"
"Non riesco, mi fanno male i piedi..." borbottò la bambina, pentendosene qualche attimo dopo.
"Romanoff, sai cosa sono capace di fare, non tentarmi." minacciò l'insegnante. Lei annuì tremante tenendo lo sguardo puntato sul pavimento scivoloso della saletta. Si fece forza, appoggiando i gomiti a terra e aiutandosi con le gambe per rialzarsi. Sfortunatamente il parquet era marcio e lei, inconsapevolmente, aveva poggiato tutto il suo peso proprio su una dei listoni rotti. Cadde di nuovo, trattenendo un lamento. Non fece in tempo ad aprir bocca per giustificarsi che Audrey l'aveva già afferrata per un braccio e la stava trascinando verso la Camera dei Ferri .
"La prego! Non lì, per favore! Farò tutto quello che vuole!" gridò la ballerina cercando di attirare l'attenzione del suo insegnante, ormai perso nei suoi pensieri. Appena lei pronunciò le ultime parole, si voltò, incatenando il suo sguardo con gli occhi azzurri della piccola: "Hai detto tutto quello che voglio: sei sicura? Natasha non promettere qualcosa che non puoi mantenere"
Il dito di Audrey era a qualche centimetro dal naso della bambina, che cercava disperatamente di trattenere le lacrime.
"Quindi? Sei sicura al 100%? Devi essere sicura! SEMPRE!" la incalzò lui nuovamente.
Lei annuì cercando di scampare alla mano del professore, che stava tentando, per l'ennesima volta, di afferrarle il braccio. Non appena ci riuscì la trascinò all'interno di una delle poche aule dell'istituto che non aveva ancora avuto il "piacere" di visitare.
Natasha spostò lo sguardo verso Audrey, troppo concentrato a cercare, stringendo gli occhi, qualcosa a lei sconosciuto. Non appena seguì sguardo dell'insegnante rabbrividì: nell' angolo più buio della stanza polverosa si poteva intravedere una figura che si dimenava su una vecchia sedia scricchiolante.
Il maestro allentò la presa affinché Natasha potesse analizzare meglio la situazione. Lei, indecisa se esaminare più da vicino la scena che si trovava davanti o rimanere di fianco all'insegnante, fece un passo incerto verso la figura. Appena la luce che proveniva dalla piccola finestra incastrata tra le travi tremolanti della mansarda le concesse un raggio di vista più ampio, notò che l'uomo incappucciato era immobilizzato sulla sedia da corde spesse che gli impedivano il movimento. Natasha si avvicinò ulteriormente, accortasi che al lato del termosifone ormai in disuso era situato una valigetta riempita da un generoso numero di pistole. Si voltò verso l'insegnante in segno di sfida. Era questo quello che doveva fare? Uccidere un uomo sarebbe stata la sua punizione? Prima che potesse rendersene conto, due lacrime le rigavano le gote. Doveva farlo, oppure sarebbe stato ancora peggio. Spostò la mano che aveva precedentemente utilizzato per asciugarsi le guance verso le armi da fuoco. Afferrò la prima che si trovò davanti, senza neanche preoccuparsi del peso o della forza che avrebbe dovuto mettere sul grilletto per sparare la pallottola. Impugnò la pistola nel modo in cui le era stato insegnato e prese un respiro profondo, chiudendo perfino gli occhi nella speranza che si rivelasse tutto uno scherzo, mentre Audrey rimuoveva il sacchetto che le impediva di ammirare il viso della sua futura vittima. Quando riaprì gli occhi perse un battito nel ritrovarsi davanti Steve Rogers.
Natasha si svegliò di colpo. Percepì una goccia di sudore accarezzarle la tempia mentre cercava di liberarsi dalla presa delle coperte in cui si era avvolta durante la notte. Poteva sentire i suoi battiti rimbombarle in testa. Si avvicinò sbandando al tavolo della cucina e si sedette malamente su una delle sedie che circondavano il piano di legno, prendendosi la testa con le mani. Erano settimane che non riusciva a dormire serenamente perché Steve, in un modo o nell'altro, era sempre oggetto dei suoi incubi. Le lacrime era già pronte a bagnarle il viso, offuscandole la vista.
Si alzò faticosamente correndo verso i bagno. Appena si buttò sul water il vomito si fece strada nella sua bocca. Una mano era appoggiata alla tavolozza mentre l'altra stringeva la treccia di capelli che le sfiorava il collo. Quando terminò, la ragazza si girò verso il lavandino per risciacquarsi la bocca. Sfortunatamente per lei, lanciò un occhiata allo specchio che le si trovava davanti. Il suo viso, un tempo pieno e desiderabile, sembrava appartenere a uno scheletro: le occhiaie ormai si erano impossessate anche delle sue guance, i suoi zigomi sembravano scavati fino all'osso e le sue labbra erano piene di tagli ricoperti dal sangue ormai incrostato.
Una ciocca più corta di capelli le ricadde sulla fronte, subito prima di essere riportata al suo posto . Natasha spostò lo sguardo verso il lavandino, rimasto nello stesso stato dal primo giorno in cui era arrivata: un bicchiere rosso, con la stampa di un vecchio fumetto di Captain America era rovesciato sul marmo, ormai ricoperto da uno spesso strato di polvere, al cui interno c'erano due spazzolini, uno nero e l'altro blu, tutto ciò vicino ad una confezione di sapone liquido ormai finito. Lei non ci faceva più caso: per essere un "alloggio temporaneo" era perfetto. Tony le aveva consigliato l'appartamento di Steve come rifugio, non potendo rimanere più nella Torre degli Avengers.
Si sedette con la schiena al muro sulle mattonelle fredde del bagno, avvicinandosi le ginocchia al seno. Le mani iniziarono a tremarle, mentre veniva travolta da un pianto silenzioso:
-Dove sei Steve? Ti prego torna qui...- sussurrò guardando il soffitto ammuffito.
Si addormentò con le lacrime che le bruciavano il viso e che le accarezzavano la pelle in un modo spaventosamente rilassante, come quel giorno.
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Where is he? |Romanogers
FanfictionQuesta storia è ambientata durante Civil War. Ci saranno anche personaggi di Agents of SHIELD, ma la trama non sarà affine a quella della serie, quindi non preoccupatevi se non la conoscete. Non voglio anticipare niente, scoprirete leggendo.