Lunedì 8 febbraio.
Una nuova settimana e di conseguenza, nuovo inferno. Mi svegliai a causa dei pochi raggi di sole che penetrarono dalla finestra. Restai sotto le coperte a fissare i muri della mia camera e senza accorgermene mi persi nei miei pensieri: «Sono bianchi, come la neve. A molti i muri bianchi danno una sensazione di tristezza, dato che all'interno della loro mente si va a creare l'immagine di ciò in cui nessuno vorrebbe mai recarsi, ovvero l'ospedale. Al contrario, dentro di me nasce un senso di tranquillità e protezione; forse questo è dato dal fatto che, siccome andavo sempre in compagnia dei miei genitori in montagna a sciare, in un certo senso, guardando queste pareti ricordo loro e grazie a ciò riesco a sentirmi al sicuro.»
Oppure, semplicemente, mi piace il bianco.
La sveglia si attivò, ma come sempre mi attivai prima io di lei. Mi allungai per spegnerla e notai che sul davanzale della piccola finestra, situata poco più in là del mio letto, era presente della sostanza bianca. Decisi di alzarmi, mi avvicinai e mi rensi conto che si trattava di ciò che avevo sempre amato. Sì, stava nevicando e io mi sentii più sicura del momento precedente. Con un piccolo sorriso sulle labbra indossai un paio di scarponi e mi recai fuori. La neve si unii con il freddo creando un'atmosfera a dir poco fantastica, ero a casa: mi distesi per terra, iniziai a muovere gambe e braccia insieme creando dei piccoli coni. Indossavo solo il pigiama e ne ero consapevole della piccola pazzia, ma non potevo perdere altro tempo. Mi alzai e allungai le braccia davanti a me, tenendo le mani ben aperte; un piccolo fiocco di neve si poggiò tra la fine del palmo e l'inizio del mio dito indice. Senza pensarci due volte chiusi la mia piccola e fredda mano, strinsi forte e lentamente la riaprì: non c'era più nulla, il fiocco di neve era scomparso ed era ciò che stava accadendo a me. Io ero un piccolo fiocco di neve.
Presa dall'entusiasmo non mi accorsi che si era fatto tardi.
Rientrai in casa e guardai l'ora: 8.45. Molto tardi. Ero troppo eccitata per pensare alla scuola e così decisi di marinarla per raggiungere un posto, quel posto.Scelsi cosa indossare: un pantalone semplice nero, maglia degli arctic monkeys, ovviamente non poteva mancare il mio adorato felpone nero e infine un cappello, anch'esso nero. Indossai un paio di scarpe abbastanza calde, presi il mio zaino, le cuffie e m'incamminai. Ovviamente trovai le cuffie tutte ingaburgliate e mentre tentavo di scioglierle, caddi, dato che ero più concentrata sull'oggetto che avevo tra le mani che alla strada. Non vidi nessuno e lentamente tentai di alzarmi da sola, ma non ci riuscì, poichè nel tentativo provai un forte dolore alla caviglia e mi accasciai al suolo. Abbassai uno dei calzini che avevo indossato per tenere i piedi caldi, precisamente quello destro e notai che si era gonfiata e si stava formando un livido. «Ci mancava solo questo. Quale altra sorpresa hai in serbo per me?» pensai alzando gli occhi al cielo. Non c'era nessuno che mi avrebbe potuto aiutare, ero sola e non avevo idea di cosa fare. Sbuffai più di una volta. Dovevo alzarmi, per forza, siccome avevo intenzione di raggiungere quel luogo e non mi sarei arresa.
Mille soluzioni mi vennero in mente, ma ce n'era una e non me ne resi conto che ce l'avevo proprio davanti agli occhi.
La soluzione era alto, moro e con due occhi languidi, ma erano pur sempre due occhi meravigliosi.
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Bufere nel cuore
RomanceSophie, una ragazza dai capelli rossi, perde i genitori a causa di un incidente stradale. Dopo il terribile accaduto non riesce a più a staccarsi dal suo diario, come se scrivendoci sopra potesse, in un certo senso, comunicare con i suoi, i quali or...