Louis
Freddie è bellissimo. Più cresce più sono convinto che non mi stancherò mai di guardarlo assorto e adorante come un sognatore guarda le stelle nel firmamento brillare di luce propria nella volta celeste.
O come un tossico dipendente guarda la propria dose quotidiana. Lo sguardo è quello.
E pensare che questo ragazzo dalle spalle larghe e da una spanna in più di me in altezza somiglia incredibilmente al sottoscritto. A detta degli altri eh.
Nonostante io lo percepisca come un complimento in realtà non saprei se dare corda al pensiero altrui.
Purtroppo non posso farci nulla, per quanto lo senta parte di me lo vedo comunque fin troppo diverso. Lui è meglio. È sempre così sorridente, quando mostra i denti e gli compaiono quelle stupende fossette che tanto amo mi sento come se potessi morire di felicità, e i suoi capelli biondi che gli ricadono spesso sul viso facendogli ombra sugli occhi di un azzurro quasi plumbeo. Sospirai.
Ultimamente lo sentivo più distante, non mi parlava più come faceva quando aveva quattro anni e si soffermava a indicare qualsiasi cosa bella o curiosa vedesse così che io potessi sorprendermene come faceva lui, non come quando a sette anni lo portavo al cinema a vedere le prime della disney, non come quando a tredici guardavamo tutte le serie tv disponibili insieme, non come il mese prima quando stavamo sdraiati sul divano a parlare per ore e ore. Non ridacchiava più abbassando il volto quando facevo qualche battutina, ormai mi sorrideva e basta, in maniera quasi spenta, come a volermi dare sazio, come se mi stesse solo assecondando. E io non lo so, davvero, non lo so quando è successo tutto questo.
A volte mi ci soffermavo a pensare. Ho fatto qualcosa di male? Gli ho fatto intendere qualcosa che non avrei dovuto? Mi ripetevo che fosse l'adolescenza, ma non mi era sufficiente come scusa, non mi davo pace.
Qualcosa fra di noi non andava, e avrei venduto l'anima al diavolo per sapere di cosa si trattasse.
Una fitta mi colpì proprio sotto il diaframma mozzandomi il respiro quando pensai che potesse sentirsi oppresso da me, e che magari volesse tornare da sua madre, magari non mi voleva più fra i piedi, magari voleva solo andarsene.
"Com'è andata a scuola oggi?" La mia voce era uscita gracchiata, flebile, tanto valeva che gli sputassi le mie preoccupazioni addosso se proprio dovevo fargli notare quanto fossi preoccupato.
Un deficiente. Un emerito deficiente. Ecco cosa ero. Che razza di domanda è?! Io la odiavo quando me la chiedeva mia madre. È la scuola! Come voleva che andasse? Una noia mortale ecco come andava.
"Nulla di che" fece spallucce, tossicchiando piano e portandosi una mano alla bocca.
In quell'ampio soggiorno i rumori bassi e secchi come la tosse o i singulti rimbombavano, e in un momento come quello non facevano che conferire ulteriore pesantezza a quella situazione.
Deglutii.
Freddie si sistemò con un gesto veloce i capelli che ora portava un po' più lunghi del solito e sbatté le palpebre ripetutamente. Aveva gli occhi fissi sul proprio piatto, persi fra chissà quali pensieri. Non aveva toccato cibo.
"Bee, c'è qualcosa che non va?"
Usavo quel nomignolo spesso, solo con lui, perché da piccolo aveva un pupazzo che portava ovunque, era un'ape quasi più grossa di lui, estremamente morbida, un giorno però, durante un natale con sua madre, lei lo aveva perso, credo non l'abbia mai veramente perdonata per quel pupazzo e forse è anche per questo che ora vive con me.
Comunque, una sera era scoppiato a piangere perché gli mancava e perciò l'avevo abbracciato, dicendogli che quando avrebbe avuto bisogno sarei stato io la sua ape, così come già lui lo era per me, la mia Bee.
Il piccolo bambino che adesso era un ragazzo quasi adulto, seduto al tavolo sulla sedia alla mia destra, scosse leggermente la testa, poi più freneticamente, come a voler palesare il proprio punto.
Stava dicendo di no, che non c'era nulla che non andasse, ma era più che ovvio che non fosse così.
Se non c'era nulla che non andasse allora io ero la reincarnazione di Whitney Huston.
Freddie si sistemò sulla sedia in maniera nervosa e lo sentì lanciarmi uno sguardo di sottecchi. All'inizio pensai che stesse per alzarsi e liquidarmi con uno dei suoi soliti mugolii seguito da uno stanco "Vado a studiare" ma oggi c'era qualcosa di diverso, potevo sentirlo nell'aria, potevo percepirla fra noi quella pesantezza di un qualcosa che moriva dalla voglia di dire ma che non si sentiva di esprimere.
Lo sapevo perché conoscevo quella sensazione e nello stesso modo conoscevo la frustrazione che sembrava scorrerti nelle vene in quelle situazioni, e avrei potuto giurare di aver visto quelle di Freddie gonfiarsi in prossimità delle braccia, così come avevo visto le sue guance tingersi di un colore più acceso del solito.
Improvvisamente una strana ansia mi solleticò le viscere e mi riempì il petto.
Che Freddie avesse problemi a scuola e volesse parlarmene ma non ci riuscisse? E se stesse subendo bullismo e io non me ne fossi accorto? Possibile che sia così bravo a nascondere i lividi e le sbucciature? Magari ha solo qualche problema in qualche materia, o ha avuto qualche battibecco con un professore.
"Papà?" Quasi gemette il ragazzo dinanzi il mio sguardo, che in quel momento, ai miei occhi sembrava aver assunto nuovamente le sembianze di un bambino.
Quando i suoi occhi s'incrociarono con i miei, per un attimo, mi tornò in mente quando correva nel mio letto e si nascondeva sotto le coperte al mio fianco durante le notti più buie in cui gli incubi venivano a fargli visita, disturbandolo e tormentando puntualmente il suo sonno.
Aveva la stessa faccia, le stesse sopracciglia aggrottate, lo stesso luccichio nelle pupille, la stessa smorfia della bocca.
"V-Volevo chiederti se ti dispiacesse, insomma... cioè nel senso, se tu tipo fossi d'accordo... o in disaccordo, sì ecco, nel emh, ecco vedi-" prese un bel respiro e distolse lo sguardo da me, strofinò rapidamente i palmi sui jeans, buttò fuori l'aria in maniera sofferta e poi, tutto d'un fiato, riprese dicendo: "- posso dormire da un amico?"
Non nego che in un primo momento rimasi interdetto.
"C-certo." Risposi, forse con un tono un po' troppo interrogativo perché valesse come assenso di un genitore responsabile. Quindi riprovai tentando di ricordarmi e replicare il tono di voce rigoroso e austero che avevo sentito utilizzare dai genitori nei film "Certo. Hai diciassette anni Bee, ci mancherebbe altro che non ti facessi dormire con i tu-"
"Non è solo un amico"
Se quello fosse stato il momento adatto allora mi sarei bellamente preso la briga di fargli presente di poter prendere in considerazione la portentosa carriera da rapper che avrebbe potuto intraprendere viste le sue abilità nel parlare più velocemente di Eminem in Rap God.
"Cosa?"
Stavolta però lui scandì bene ogni parola, distinguendo i suoni i maniera lenta e sonante.
"Non è solo un amico."
Il tempo si era fermato. Almeno per me. E Freddie doveva aver percepito la mia esitazione nel rispondere visto che riprese dicendo: "O almeno io voglio che non sia solo un amico. L-lui si chiama Aidan, ed è del mio anno, è una brava persona."
Freddie si morse il labbro e mi guardò dritto, più spavaldo e risoluto di quanto non l'avessi mai visto, le sue gote ora erano di un rosso lampante e tutto il suo corpo era rivolto verso di me. Aveva persino le mani intrecciate fra loro, giunte sulle ginocchia. Aveva un'aria più adulta di quanto non avessi io.
"Mi odi?"
"Che cosa?! Bee, ma che diavolo ti salta in mente?"
"Se mi odi dimmelo papà"
Mi sentì la saliva nella bocca seccarsi e perciò stavolta faticai incredibilmente a deglutire.
Un ricordo lontano, lontanissimo, che avevo provato a seppellire con tutte le mie forze, con tutto me stesso, mi riaffiorò alla mente e mi travolse con la stessa brutalità di un'onda anomala: un paio di occhi verdi lucidi mi guardarono accusatori, sembravano star dicendo "come puoi fare questo a me?", una smorfia di puro disgusto sul suo volto dai lineamenti perfetti, le sue mani che mollavano le mie come se si fossero scottate, il labbro inferiore che gli fremeva, mentre con glaciale fermezza lo cacciavo dalla mia vita come se quello che avevamo vissuto non fosse stato nulla, come se ciò che avevano sentito non fosse mai accaduto, come se l'uno per l'altro fossimo sempre stati poco più che sconosciuti.
"Credo che lui abbia capito che mi piace,- la voce di Freddie mi riportò alla realtà come una secchiata d'acqua gelata dritta in faccia- volevo dirtelo perché non so cosa fare ed è tutto un casino, ho una paura del cavolo di parlarne con gli altri, ma avevo anche più paura che mi odiassi tu, mi sento uno schifo e non voglio tornare a vivere con la mamma perché ora sta in Arizona con quello lì e io voglio solo poter, p-poter-" la voce gli si ruppe quando gli presi le mani tremanti e gliele strinsi fra le mie.
Parlai, parlai come non avevo mai fatto, glielo dissi con una voce che credevo non mi appartenesse più, con un sentimento che non pensavo di possedere ancora, con un dolore al petto con cui avevo imparato a convivere ma che adesso, in quella casa vuota, in cui c'eravamo solo io e mio figlio, solo io e Bee, era un bruciore lancinante, acuto, ardente, mi ricordava la solitudine con cui vivevo, la pesantezza delle scelte sbagliate prese nel corso della mia vita. Gliel'avrei impedito. Avrei impedito tutto questo a Freddie, a mio figlio, lui non se lo meritava, non meritava quello che invece mi meritavo io.
"Non devi avere paura di niente e di nessuno Bee, se gli altri non ti accetteranno è un problema loro. Non permettere agli altri di decidere per te, né di controllare la tua vita. Non permettere al giudizio altrui di strapparti la felicità dalle mani, dal corpo e dall'anima. Io l'ho fatto ed è stata la scelta peggiore che io abbia mai preso in tutta la mia esistenza e lo rimpiango ogni fottuto giorno della mia vita."

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Only for the Brave
Fanfiction"La gente può pensare quello che vuole ma-" dovetti deglutire per poter continuare. Mi sentivo gli occhi di tutti puntati addosso, penetrarmi le carni, scavare nella mia anima, indagare sulla mia espressione pur di vedere quel bagliore che sapevano...